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Distretti e regioni tra Crispi e Bodio Un nulla di fatto

2. Un altro vano tentativo

Ritornato al governo e investito di un largo e contraddittorio mandato di salute pubbli- ca, Crispi riprende i progetti di riordinamento, sia pure questa volta non direttamente. Sceglie la strada della delega, già largamente battuta, nel corso della pure ancora breve storia amministrativa dell’Italia unita, in diverse occasioni, la prima addirittura nel 1866. Diversi governi avevano chiesto e ottenuto una larga delega per la razionalizza- zione dei servizi amministrativi, con il conferimento dei «pieni poteri per la riforma dei pubblici servizi». Da ultimo era stata riproposta dal governo Rudinì-Nicotera che era seguito alla prima caduta di Crispi,13 sempre con un nulla di fatto.

10 Discussioni, 30 gennaio 1891 p. 432 11 Discussioni, 31 gennaio 1891, p. 498.

12 E. Rotelli, Le circoscrizioni amministrative italiane come problema storiografico, «Amministrare», XII,

n. 1, aprile 1992, pp. 151-159. Si vedano poi almeno P. Aimo (a cura di), Le province dalle origini alla

Costituzione, Milano, 2009, con un mio intervento sulle circoscrizioni provinciali, pp. 27-68.

13 A.P., Leg XVII, documenti, n. 338, presentato il 4 maggio 1891, Autorizzazione al governo di modificare

Francesco Bonini 42

Crispi ripropone il 21 febbraio 1894 un disegno di legge per la Concessione al Go-

verno di poteri straordinari per la riforma dei pubblici servizii,14 in termini molto am-

pi. La formulazione lasciava infatti larga discrezionalità al governo e adombrava la pos- sibilità di intervenire, per questa via, anche sulle circoscrizioni provinciali. Il sospetto è immediato, ancora nella fase di redazione del disegno di legge, tanto che da Lecce due deputati crispini, Gaetano Brunetti e Francesco Loré, telegrafano preoccupatissimi il 25 gennaio, cioè ancora una volta prima dell’effettivo deposito alla Camera del provvedi- mento: «Mattino, Secolo, Corriere della sera pubblicano certa soppressione provincia prefettura Lecce: città, comuni agitatissimi. Comprendiamo ciò impossibile trattandosi provincia delle più importanti Italia. Comprendiamo essere siffatte notizie arma opposi- zione, non pertanto per calmare agitazione occorre ufficiale smentita».15

Questo riflesso difensivo immediato certificava la volontà della stessa maggioran- za, che pure era disponibile al governo forte delle emergenze sociali e politiche, di non concedere alcuna delega in bianco a Crispi sul tema apparentemente ‘tecnico’ del rior- dinamento delle circoscrizioni. D’altra parte il presidente del Consiglio pervicacemente continuava a lavorare per l’elaborazione di una proposta di riordinamento delle circo- scrizioni amministrative funzionale alla governabilità.

Le ragioni profonde sono ben espresse in un appunto redatto nel corso dell’ela- borazione della riforma della legge comunale e provinciale, in cui si legge: «L’Italia ha sortito le conseguenze delle invasioni francesi e del dominio dei francesi. La provincia ci venne dalla Francia e non abbiamo saputo disfarcene. La provincia in molte parte d’Italia non è un ente naturale. Bisogna naturalizzarla e toglierle quanto ha di fittizio facendone una gran comune. Il comune ha il suo sindaco, il quale dovrebbe essere elet- tivo. Perché non deve averlo la provincia?».16 Insomma, sistemate le questioni della

rappresentanza, occorre porre quelle del governo.

In cosa consista il «sistema francese» spiega Marco Minghetti, quando presenta il progetto di regionalizzazione all’indomani dell’unificazione. È il modello «pel quale la potestà governativa assume in sé, così nello Stato come nel dipartimento, di porre in at- to le decisioni dei consigli». In quella sede il ministro dell’Interno dell’ultimo governo Cavour, restato per alcuni mesi anche in quello formato da Ricasoli all’indomani della morte improvvisa del Conte, affermava di sostenere «con grande fermezza l’indi- pendenza dell’amministrazione della provincia», proponendo invece il sistema francese per il governo delle regioni.17 La regionalizzazione negli stati unitari, come dimostra

con chiarezza l’archetipo francese, nasce proprio qui, sul problema del governo, e certo non su quello della rappresentanza. La regione insomma è la circoscrizione di azione del governo. Crispi ha ben presente questo dato, e segue con infastidito distacco le preoccupazioni unanimi che i componenti della Commissione incaricata dell’esame del disegno di legge delega, esprimono quando propongono di inserire una esplicita dispo-

14 A.P., Camera dei Deputati, Leg. XVIII, Documenti, n. 299. 15 Acs, Carte Crispi, Roma, fasc. 635.

16 Appunti autografi di Crispi sulla legge comunale e provinciale, 1887-1888, in Acs, Carte Crispi Reggio

Emilia, busta 6, fasc. 12, stf 22 ins 2.

17 Cit. da C. Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica da Rattazzi a Ricasoli, Milano,

Distretti e regioni tra Crispi e Bodio 43 sizione per cui «nulla sarà innovato per effetto della presente legge nelle attuali circo- scrizioni del Regno»: così tra gli altri Bonasi, Carmine, Cibrario, pure esponenti della maggioranza crispina.

L’intervento più ampio e acuto in commissione è ancora dovuto ad Alessandro For- tis, che, il 17 marzo 1894, argomenta in prospettiva. Pur «riconoscendo che tutti gli altri colleghi si manifestarono concordi nel concetto che si dovesse escludere dai poteri straordinari da concedersi al Governo la facoltà di toccare alle circoscrizioni territoriali, ricorda e svolge il proprio concetto che ogni riforma dell’amministrazione dello stato debba avere necessariamente per base una radicale riforma delle circoscrizioni per otte- nerne lo scopo di semplificazione e decentrare la pubblica amministrazione e diminuir- ne le spese».18 La sua proposta comunque è enfatica, dunque molto debole, per la con-

sapevolezza del nulla di fatto inevitabile, ma merita di essere ricordata perché evidenzia la questione aperta: «riassume il suo avviso sul da farsi colla formula: Costituente am- ministrativa affidata al governo, con esclusione di tutte le leggi riguardanti i diritti civili e politici dei cittadini, e la parte tributaria, col triplice obbiettivo della semplificazione dei servizi pubblici, del decentramento e della diminuzione delle spese». Si tratta ov- viamente di una posizione estrema, di un argomentare per paradosso, che indica co- munque con chiarezza il problema. Anche la costituente politica, nel 1946, non sarà ac- compagnata o preceduta, da una «costituente amministrativa», ma si realizzerà piuttosto la «continuità dello Stato».

Già un deputato-costituzionalista come Giorgio Arcoleo non aveva fatto a meno di notare in sede di discussione generale della riforma, nel luglio 1888: «abbiamo oggi una circoscrizione amministrativa, una politica, una militare, una scolastica, una giudiziaria, ma spesso senza alcun legame tra loro; vi aggiungo la vacuità del circondario e l’assenza del vero comune consorziale».19

Quella di Fortis è ovviamente una posizione isolata.

Crispi ne prende atto e a un altro componente della commissione, pur suo sosteni- tore, Ercole, lapidariamente scrive: «Duolmi non poter essere d’accordo» con le preoc- cupazioni e dunque le conclusioni della Commissione. Svuotato dell’obiettivo non af- fermato, ma chiaramente percepito dalla preoccupatissima base parlamentare, il 3 giu- gno 1894 il disegno di legge è ritirato.

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