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Democrazia, rappresentanza e cittadinanza politica femminile: le consultric

5. Consultrici al lavoro

Dopo quegli esordi, per le consultrici iniziava il lavoro vero e proprio, tradotto in inter- venti e interrogazioni in Assemblea plenaria e soprattutto nelle attività svolte nelle Commissioni in cui la Consulta era stata articolata e alle quali consultrici e consultori erano stati assegnati all’atto della nomina.

Le comuniste Bei e Noce entravano a far parte di Commissioni a composizione prettamente maschile: la prima era l’unica donna dell’VIII Commissione Industria e

commercio e l’altra della II Affari politici e amministrativi. Più consistenti erano, inve-

ce, le presenze femminili nella IV Commissione Istruzione e Belle Arti, di cui entrava- no a far parte la Bianchini, che ne diveniva la segretaria, la Floreanini, la Tagliacozzo, la Maffioli e la Quarello (inizialmente assegnata alla Commissione Lavoro e Previden-

za sociale); nella VII Agricoltura e Alimentazione, cui venivano assegnate la Caligaris,

la Garoia e la Pollastrini, e nella IX Commissione Lavoro e Previdenza sociale, cui af- ferivano Ada Gobetti, la Guidi e la Picolato. La Tagliacozzo era, inoltre, nominata dal presidente Sforza componente della Commissione speciale incaricata di procedere alle modifiche nella composizione delle Commissioni.43

L’analisi dell’attività svolta dalle consultrici in Commissione e in Assemblea ple- naria è rinviata al prossimo lavoro monografico. Adesso ci limiteremo a pochi appunti di carattere generale, a due tra i tanti interventi significativi e a qualche considerazione conclusiva.

La partecipazione delle consultrici ai lavori della Consulta rientrava nella media;44

non tutte, però, avevano preso la parola. Delle comuniste Garoia e Pollastrini (quest’ultima in seguito piuttosto attiva come costituente e deputata) non si registra alcun intervento

42 C’era, infatti, chi temeva che l’uniformità di approccio facesse perdere identità e forza ai progetti dei diver-

si partiti creando confusione «e una rischiosa assimilazione tra associazioni e movimenti femminili di partito, oltre all’isolamento del fronte laico». Così, la dirigente azionista Maria Comandini Calogero, una tra le menti più lucide e lungimiranti del tempo sulla questione femminile; cfr. M. Comandini Calogero, Precisare i limiti delle

associazioni, «L’Italia libera», 29 ottobre 1945, citato da Gabrielli, Il 1946, le donne, la Repubblica, p. 230. 43 Cn Ap, verbale seduta del 27 settembre 1945.

44 Cfr. Camera dei deputati, Ufficio dei Questori, Ragioneria, Indennità ai consultori nazionali, per l’anno

1945 (10 febbraio 1946), [online], URL: <http://archivio.camera.it/resources/atc02/pdf/CD1400000249.pdf>. Merita di essere sottolineata la partecipazione della Tagliacozzo, divenuta madre il 24 dicembre 1945 e già presente alle sedute della Commissione Istruzione, di cui faceva parte, sia il 1° novembre 1945 che il 15 gen- naio 1946, dopo venti giorni dal parto.

Democrazia, rappresentanza e cittadinanza politica femminile 99 pubblico. Per quanto coraggiose in clandestinità e nella lotta partigiana, è facile imma- ginare il disagio di quelle giovani donne, con studi non elevati, entrambe di estrazione operaia, nel ritrovarsi sedute allo stesso tavolo a discutere di provvedimenti legislativi con severi e maturi avvocati, notai e professori universitari di diritto o con autorevoli esponenti dell’antifascismo liberale, abituati a parlare in pubblico e, in qualche caso, avvezzi ai meandri di Montecitorio e al lessico e alle prassi della sua burocrazia.

Anche quelli che adesso chiamiamo ‘i tempi della politica’45 erano loro ostili. Con-

tro i lunghi discorsi, le prolissità, lo sfoggio di eloquenza o le oziose diatribe di certi colleghi si sarebbe levata proprio la voce di una consultrice. Nella seduta pomeridiana dell’11 gennaio 1946, mentre si continuava a dibattere da tre giorni, in Assemblea ple- naria, sul progetto di Regolamento interno della Consulta esitato dall’apposita Giunta permanente,46 la Caligaris non riusciva a trattenere l’insofferenza e, nel tentativo di por-

re fine agli esasperanti distinguo sul termine più adatto da usare in un articolo di poco conto del Regolamento (l’art. 36),47 interveniva duramente in quella che definiva senza

mezzi termini una «discussione inutile», una superflua perdita di tempo.48

Ci voleva una maestrina dell’Agro pontino per riportare i consultori alla cruda real- tà del dopoguerra e ai ‘veri’ problemi di cui donne e uomini del Paese attendevano so- luzione. Dopo quel duro rimprovero, in un’Aula in cui doveva essere sceso il silenzio, l’art. 36 veniva approvato senza altre discussioni e così anche tutti gli altri articoli del Capo III. Solo sull’ultimo comma dell’art. 52 l’avvocato azionista Fenoaltea chiedeva di intervenire, ma in premessa auspicava «di poter contare […] sulla indulgenza della Consultrice Caligaris».49 Alle 17.25 di quello stesso giorno, comunque, i 78 articoli del

Regolamento erano infine approvati.

Anche in Commissione, oltre che in Aula, alcune consultrici riuscivano a imporre il loro punto di vista. Ad esempio, la Bianchini, tra le più attive,50 in Commissione Istru-

zione e Belle Arti, partecipava tra l’altro al dibattito sullo schema legislativo n. 40 rela-

tivo alla Soppressione delle facoltà e dei corsi di laurea in scienze politiche,51 ritenuti

45 Al riguardo, cfr. Gabrielli, Il 1946, le donne, la Repubblica, pp. 196-197.

46 Il dibattito in Aula aveva avuto inizio il 9 gennaio, protraendosi da tre giorni; cfr. Cn Ap, seduta di merco- ledì 9 gennaio 1946, pp. 171 ss.

47 L’art. 36, ripreso letteralmente dal vecchio Regolamento della Camera dei deputati, recitava: «Ogni impu-

tazione di mala intenzione, ogni personalità è violazione dell’ordine». La discussione – l’ennesima – si era arenata sull’opportunità di sostituire il termine personalità con quello di personalismi.

48 La Caligaris polemicamente proseguiva: «Stiamo qui perdendo tempo; il popolo italiano, i lavoratori, i bi-

sognosi, attendono ben altro da noi. Noi perdiamo tempo in discussioni per un Regolamento che avrà valore uno o due mesi. (Approvazioni). I reduci chiedono assistenza, i reduci chiedono l’allontanamento delle donne dai pubblici uffici. Cosa, questa, molto grave. Le donne che stanno negli uffici, anche se non hanno a loro ca- rico una famiglia, devono provvedere alla loro persona. Noi stiamo combattendo una lotta per la moralità. (In-

terruzioni, rumori). Noi chiediamo che le donne vengano protette, e quindi è inutile stare a perder tempo»

(Cn Ap, seduta di venerdì 11 gennaio 1946, p. 206).

49 Cn Ap, seduta di venerdì 11 gennaio 1946, p. 208.

50 Cfr. scheda Bianchini Laura, in Camera dei Deputati, La Consulta Nazionale, p. 70.

51 Cn Com, Istruzione e Belle Arti, Resoconto sommario della seduta di lunedì 14 gennaio 1946, pp. 17-23; Resoconto sommario della seduta di martedì 15 gennaio 1946, pp. 25-31.

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dal governo Parri «di pretto stile fascista»52 e pertanto da ‘recidere nettamente’ piuttosto

che da trasformare o modificare, tanto da disporre con circolare ministeriale l’imme- diato blocco delle iscrizioni.

Nel corso della discussione, si sarebbero contrapposte posizioni difficilmente con- ciliabili: dal pieno sostegno al provvedimento al suo totale rigetto. Tra queste soluzioni estreme, se ne collocavano altre intermedie, tra cui quella sostenuta dalla Bianchini che, condividendo con altri consultori la «necessità degli studi di scienze sociali e politiche, e l’opportunità di mantenerli in onore», inizialmente esprimeva deciso dissenso verso la chiusura indiscriminata di tutte le facoltà di scienze politiche istituite «per la prima vol- ta in Roma nel 1925» (così la Relazione ministeriale), facendo osservare che almeno tre erano nate prima del fascismo e su diversi presupposti. Erano la ‘Cesare Alfieri’ di Fi- renze e le Facoltà di scienze politiche di Padova e dell’Università cattolica del ‘Sacro Cuore’ di Milano, che non potevano essere considerate alla stessa stregua di facoltà come quella di Perugia, «che aveva carattere decisamente fascista» e sulla cui soppres- sione non aveva alcunché da eccepire. Meglio sarebbe stato

rimaneggiare due o tre facoltà di scienze politiche, sopprimendovi gli insegnamenti di diritto corporativo, la dottrina fascista dello Stato, la storia del fascismo e via di- cendo, onde permettere agli studenti, i quali vedrebbero così salvaguardati i propri diritti, di compiere i loro studi nella facoltà in cui si erano iscritti – e concludeva – esprimendo il voto che alle facoltà di scienze politiche [venisse] ridato onore e pre- stigio, e anche un contenuto che [fosse] più aderente alle esigenze del paese e alla storia del suo pensiero.53

Una richiesta cui si associava l’azionista Egidio Meneghetti, farmacologo e in seguito rettore (1945-47) dell’Università di Padova,54 il quale sottolineava come il giudizio ne-

gativo non potesse estendersi alla Facoltà di scienze politiche di Padova da cui erano passati docenti dai meriti indiscutibili, che mai avevano peccato di faziosità fascista né prima né dopo il 1925.55

Emergevano divergenze tra consultori dello stesso partito, rendendo evidente che la discussione era condizionata più dal senso di appartenenza agli Atenei o ai territori che dalla rappresentanza politica. Ciascuno (compresa la consultrice) difendeva, più che un’idea, l’interesse di determinate facoltà: anche l’intransigente Volterra, rettore dell’Uni- versità di Bologna e ostile alle facoltà di scienze politiche, era in realtà paladino delle facoltà di giurisprudenza, quasi che fossero state immuni da qualunque coinvolgimento con il regime. Il che non sfuggiva alla Bianchini che, per nulla intimorita dall’autorevolezza del romanista bolognese, non esitava a osservare che tutte le facoltà di giurisprudenza avevano portato il loro contributo alla compilazione dei codici fascisti

52 Cfr. la Relazione ministeriale, in Cn, Documenti, Schema di provvedimento legislativo n. 40 del 12 novem- bre 1945, proposto dal ministro della pubblica istruzione, Vincenzo Arangio Ruiz, e trasmesso dal ministro

della Consulta Nazionale, Manlio Brosio, per il parere della Commissione Istruzione e Belle Arti.

53 Bianchini, Resoconto sommario della seduta di lunedì 14 gennaio 1946, pp. 19-20.

54 Giova ricordare che presso l’Università di Padova insegnava anche il presidente della Commissione, il co-

munista Concetto Marchesi, illustre latinista, già rettore dell’Ateneo patavino.

Democrazia, rappresentanza e cittadinanza politica femminile 101 e che, se si fosse accettato questo punto di vista, si sarebbero dovuto «sopprimerle tutte. Cosa evidentemente assurda».56

La ricerca di una mediazione induceva in seguito la consultrice democristiana a so- stenere una proposta in parte diversa da quella originaria, volta a lasciare in vita, tra i due tipi di laurea conferiti dalla Cattolica di Milano (una in scienze economico- commerciali e l’altra in scienze politico-sociali), «quel ramo che non è affatto incrimi- nato, pure appartenendo alla facoltà stessa», ovvero la laurea in scienze economico- commerciali, che una generica soppressione delle facoltà di scienze politiche avrebbe automaticamente abolito. Riceveva, al riguardo, anche l’assenso di Volterra, con il qua- le tuttavia continuava a scontrarsi su un altro fronte, ovvero sulla presunta lesione dei diritti degli studenti iscritti a scienze politiche, contestata dal rettore bolognese e ribadita – a ragione – dalla Bianchini.57

Quando, nella successiva seduta del 15 gennaio 1946, venivano messi ai voti gli or- dini del giorno presentati da Andreotti58 e da Spallone,59 la Bianchini dichiarava di non

essere integralmente d’accordo con «nessuno dei due»60 e, dopo il rigetto dell’o.d.g. An-

dreotti e l’approvazione dell’altro, in sede di discussione dei singoli articoli, riusciva in- fine nel suo intento ottenendo l’approvazione di un emendamento sostitutivo dell’art. 5 dello schema che al 2° comma avrebbe precisato: «La soppressione della Facoltà di scienze politiche della Università Cattolica di Milano non implica la soppressione dei corsi e delle lauree in scienze economiche».61

L’episodio permette di apprezzare le competenze, le doti di mediazione e la capaci- tà della Bianchini di misurarsi alla pari con gli illustri accademici che componevano la Commissione Istruzione, aiuta a comprendere le ragioni del giudizio lusinghiero che su di lei, eletta nel ’46 alla Costituente, avrebbero espresso Concetto Marchesi e Umberto

56 Bianchini, Resoconto sommario della seduta di lunedì 14 gennaio 1946.

57 Nel resoconto sommario della seduta del 14 gennaio 1946 si legge, infatti: «Volterra insiste nell’affer-

mazione che i diritti degli studenti non sono violati perché, oltre la possibilità di conseguire la laurea nella fa- coltà in cui erano iscritti, è data loro la possibilità di conseguire un’altra laurea»; ivi, p. 22. La Bianchini con- trobatteva: «quando si è parlato di lesione di diritti – chiariva la consultrice – si è inteso accennare al fatto che non tutti gli studenti di scienze politiche sono forniti di titoli adatti per passare alla facoltà di giurisprudenza, quindi gli studenti che hanno il diploma di maturità scientifica si troveranno in condizioni di inferiorità rispet- to agli altri, perché dovranno continuare i loro studi nella facoltà di scienze politiche e conseguire così una laurea svalutata» (Bianchini, Resoconto sommario della seduta di lunedì 14 gennaio 1946, p. 22).

58 Andreotti proponeva il totale rifiuto del provvedimento.

59 L’o.d.g. Spallone, articolato in quattro punti, mediando tra le posizioni estreme, aveva di fatto assorbito

quello di Volterra perché approvava il principio informatore del disegno di legge e richiedeva che, dopo un lavoro preparatorio condotto insieme ai corpi accademici, si provvedesse «senza indugio» a un riordino dell’istruzione universitaria che restituisse «allo studio delle scienze politiche e sociali il compito [specifico] di educare e perfezionare molti di coloro che si avviano alle funzioni amministrative dello Stato democrati- co»; Cn Com, Istruzione e Belle Arti, Resoconto sommario della seduta di martedì 15 gennaio 1946, p. 26.

60 Bianchini, Resoconto sommario della seduta di martedì 15 gennaio 1946, pp. 26-27.

61 L’art. 5 disponeva una deroga anche per la Facoltà ‘Cesare Alfieri’ di Firenze che «provvisoriamente»

avrebbe continuato a sussistere col nome di ‘Facoltà di scienze sociali e politiche’ e con l’attuale ordinamen- to, in attesa, al pari della Facoltà milanese, di un ordinamento definitivo conseguente al complessivo riordino degli studi universitari di scienze sociali e politiche preannunciato dal 3° comma dell’articolo (Resoconto

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Calosso,62 ma anche a cogliere la sua autonomia rispetto all’altro esponente democri-

stiano, Andreotti, ancorato alla sua posizione iniziale.

Altri passaggi dell’esperienza delle consultrici meriterebbero – come si è detto – un approfondimento; penso, tra gli altri, alla discussione sullo schema di provvedimento legislativo per l’Ordinamento delle scuole elementari della provincia di Bolzano,63 di

cui era relatrice la socialista Maffioli; all’applaudito intervento di Gisella Floreanini sulle dichiarazioni di politica estera di De Gasperi, durante la difficile congiuntura della stesura del trattato di pace;64 al coinvolgimento delle consultrici nell’iter della legge

elettorale per l’Assemblea Costituente (anche se a partecipare alla Discussione sarebbe stata solo la liberale Quarello Minoletti, favorevole all’obbligatorietà del voto);65 al du-

ro affondo di Teresa Noce contro i colleghi della Commissione Affari politici e ammini-

strativi da lei accusati di volersi sottrarre, in base a cavilli giuridici, «alla responsabilità

[…] di pronunciarsi con un sì o con un no» sul provvedimento di revoca della nomina di Emilio Patrissi, un consultore macchiatosi di indegnità per aver insultato gli esuli an- tifascisti.66

Su queste e altre vicende ci soffermeremo altrove. Preferiamo concludere citando il testo di un’interrogazione presentata il 6 marzo 1946 per chiedere, con «discussione di urgenza», al

Presidente del Consiglio, Ministro degli affari esteri, se di fronte alla condanna a morte, da parte del Governo falangista spagnolo, per fedeltà ai loro ideali politici delle donne: Mercedes Gometz Otero, Isabel Sans Toletano, Maria Teresa Toral, il nostro Governo, facendosi interprete dell’unanime sentimento del popolo italiano, non sia intervenuto o non intenda intervenire per salvare la loro vita in nome dei sentimenti di giustizia e di umanità.67

Prima firmataria era Teresa Noce, in clandestinità Estella; seguivano le firme di «Rina Picolato, Angela Maria Cingolani Guidi, Gisella Della Porta, Laura Bianchini, Claudia Maffioli, Jole Lombardi, Virginia Minoletti, Caligaris Clementina», tutte insieme, soli- dali al di là delle appartenenze di partito, come durante la guerra di liberazione, unite per difendere, con gli strumenti della democrazia appena conquistata, la vita di altre donne che stavano lottando contro la dittatura franchista.

62 Cfr. A. Gotelli, in Le donne e la Costituzione, p. 11.

63 Si trattava di un provvedimento a prima vista tecnico, che rivestiva invece un notevole significato politico;

Cn Com, Istruzione e Belle Arti, Resoconto sommario della seduta di venerdì 18 gennaio 1946, pp. 41-47.

64 Cfr. Della Porta Gisella, in Cn Ap, seduta di giovedì 17 gennaio 1946, pp. 348-350. 65 Cfr. Minoletti Quarello Virginia, in Cn Ap, seduta di venerdì 15 febbraio 1946, pp. 722-724.

66 Il consultore Patrissi, designato in Consulta dalla Concentrazione Democratica Liberale, era accusato di

aver detto al congresso del Fronte dell’Uomo Qualunque: «L’origine di tutti i nostri mali presenti è una sola: al seguito delle truppe vittoriose, come branchi di iene e di sciacalli, dei rinnegati che per venti anni congiura- rono alla perdita della Patria, hanno inteso accamparsi sulle rovine comuni, sui lutti comuni, sulle miserie di tutti». Nella seduta del 18 febbraio, l’Assemblea plenaria aveva deplorato unanimemente tale condotta e, di conseguenza, il governo aveva approvato lo schema di provvedimento legislativo n. 144, intitolato Revoca

della nomina del professore Emilio Patrissi a componente della Consulta nazionale, trasmettendolo alla

Commissione Affari politici e amministrativi, per il parere; cfr. Cn Ap, seduta di lunedì 18 febbraio 1946, pp. 762-765; Cn Com, Affari politici e amministrativi, Resoconto sommario della seduta di giovedì 14 marzo

1946, pp. 117-120.

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