Michele Amari e l’Unità d’Italia: annessione e autonomia
1. La formazione politica e culturale di Amar
Amari, nato a Palermo (7 luglio 1806) da una famiglia piccolo-borghese, è assunto come alunno nella segreteria di Stato presso la Luogotenenza della Sicilia nel 1820, lo stesso anno in cui scoppia l’insurrezione indipendentista palermitana contro Napoli.
Chiusasi la parentesi rivoluzionaria con la repressione borbonica, prevalgono le posi- zioni secessioniste del cosiddetto ‘partito siciliano’ che, con il contributo di alcuni intel-
1 M. Amari, Sulla annessione e l’autonomia. Poche parole di un siciliano, Palermo, 1860, ristampato da
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lettuali (il principale è Domenico Scinà), contribuisce a costruire il mito della ‘nazione siciliana’. Il giovane Amari, dopo l’arresto del padre affiliato alla Carboneria e la sua condanna all’ergastolo per la partecipazione alle congiure, è attratto dall’acceso democra- tismo e dal sicilianismo.2
Risale a questo periodo la sua formazione intellettuale che si alimenta della lettura dei grandi storici europei e della letteratura romantica. Tramite gli studi di Scott, Hume, Robertson e Gibbon, Amari arricchisce il suo razionalismo ereditato dalla precedente ge- nerazione rivoluzionaria e matura l’interesse per la storia intesa come strumento di valu- tazione della consuetudine e del costume. Leonardo Vigo, che in quel periodo lavora nell’amministrazione regia, e Domenico Scinà, già suo maestro di fisica all’Università, memorialista e storico della cultura siciliana, nel 1834 gli offrono l’opportunità di cimen- tarsi con la ricerca storica.3 Sono costoro a suggerire l’argomento, invitandolo a replicare
a Giuseppe Del Re.
Nel suo recente volume questo studioso, appartenente al filone liberale napoletano, ha sostenuto l’unità del Regno normanno-svevo poiché Ruggero II nel 1130 aveva preso il titolo di re di Puglia, di Calabria e di Sicilia.4 La tesi, che implica un’originaria unione
della Sicilia con il Regno continentale, ha avuto grandi consensi a Napoli fino a diventare la posizione ufficiale del governo borbonico, impegnato in quel periodo a portare avanti una politica di centralizzazione e di assimilazione delle leggi e delle pratiche di governo del periodo francese. Per il ‘partito siciliano’ è difficile tollerare questa ricostruzione sto- rica, che fa dell’isola e della parte continentale del Regno una realtà unitaria sin dall’epoca normanna. Nella contesa ‘dottrinaria’ Amari diventa sostenitore del diritto sto- rico della Sicilia all’indipendenza perché, in base ai documenti, i monarchi normanni si chiamavano «rex Siciliae, ducatus Apuliae e principatus Capuae».5 Lo scritto documenta
la perizia dello scrittore, ma l’impegno politico sovrabbonda sulla ricostruzione storica. Scelta la via della ricerca, nell’aprile del 1834 Amari inizia la storia delle rivoluzioni del 1812 e del 1820. Già dopo il 1820 ha raccolto gli atti della Giunta provvisoria, che in quell’anno è stata alla testa dell’insurrezione palermitana, con l’obiettivo di scrivere una storia di quelle vicende e di inserirle in un quadro storico di più lungo respiro. Nel giro di pochi mesi stende una prima narrazione delle vicende siciliane dalla metà del Settecento al 1820, utilizzando principalmente le memorie di uomini dell’aristocrazia liberale del 1812 e le testimonianze di autorevoli superstiti. Ma sono le letture di Voltaire e degli sto- rici inglesi ad indirizzarlo nello studio delle istituzioni, delle leggi civili, delle condizioni economiche, sulle quali raccoglie ampi materiali. Nello scorcio del 1835 Amari, però, ab- bandona la stesura senza aver elaborato uno schema aderente o un titolo rispondente, per-
2 Cfr. R. Romeo, Michele Amari, in R. Romeo, Mezzogiorno e Sicilia nel Risorgimento, Napoli, 1963,
pp. 159 ss.; G. Giarrizzo, La Sicilia moderna dal Vespro al nostro tempo, Firenze, 2004, pp. 100-101 e I. Peri, Michele Amari, Napoli, 1976, pp. 31 ss.
3 M.S. Ganci, Michele Amari dall’indipendentismo all’unitarismo, «Archivio storico siciliano», s. IV, 16
(1990), pp. 77-78.
4 G. Del Re, Descrizione topografica, fisica, economica, politica, de’ reali domini al di qua del Faro del regno delle due Sicilie, Napoli, 1830.
5 M. Amari, Osservazioni intorno una opinione del signor Del Re espressa nella descrizione topografica, economica, politica de’ reali domini al di qua del Faro del regno delle Due Sicilie, «Effemeridi scientifiche e
letterarie per la Sicilia», t. XII (1834), n. 35, p. 231. Cfr. anche A. Spagnoletti, Storia del Regno delle Due
Michele Amari e l’Unità d’Italia 13 ché Studii su la storia di Sicilia della metà del XVIII secolo al 1820 sarà dato dall’autore solo nel 1888, poco prima della morte.6
Lo storico, mosso prevalentemente da un acceso e radicale sicilianismo, si accorge che il racconto di quelle vicende non potrebbe alimentare le tendenze rivoluzionarie. La fallita insurrezione del 1820, la modesta statura dei protagonisti e la fiacchezza delle pas- sioni politiche lo spingono a ricercare e a trovare nel passato più lontano lo spirito rivolu- zionario dei veri siciliani, pieni di energia e dal carattere fiero. Ad Amari sembra giunto il momento di «gridare la rivoluzione senza che il vietasse la censura»,7 dietro lo stimolo,
probabilmente, del Giovanni da Procida di Niccolini. I riferimenti letterari della sua for- mazione e l’esempio di Manzoni, d’Azeglio, Guerrazzi gli fanno balenare l’idea di un romanzo storico, che dovrebbe avere al centro il protagonista del Vespro siciliano.
Amari, accortosi subito di non avere gli strumenti per opere di immaginazione, alla metà degli anni Trenta inizia la ricostruzione storica, che deve interrompere nel 1837 per l’esplosione del colera.
Di fronte ai disordini e all’emergenza sanitaria prevale in Amari il dovere primo del- la salvezza dell’ordine civile. Passata la fase dell’emergenza, il funzionario ministeriale in luogo del riconoscimento per il servizio prestato è colpito dalla nuova legge del 30 otto- bre 1837. Con l’intento di ‘punire’ l’isola il governo borbonico ha avviato un nuovo im- pulso centralizzatore, sopprimendo il ministero di Sicilia a Napoli e stabilendo la promi- scuità degli impieghi tra napoletani e siciliani, un provvedimento che comporta il trasfe- rimento dei funzionari siciliani nella parte continentale e viceversa.8 Pertanto Amari, con
decreto del 9 marzo 1838, è inviato a Napoli presso il ministero di Grazia e Giustizia. Si tratta di un duro colpo per l’uomo cresciuto nel culto «della patria, [...] delle tombe e del- le memorie del Paese».9 Quel soggiorno giova alla preparazione dell’opera che Amari ha
intrapreso, consentendogli di consultare molti documenti conservati nell’Archivio di Na- poli. Nello stesso tempo, entrato in contatto con il comitato liberale napoletano di cui fanno parte i siciliani Giovanni Raffaele e il marchese Giuseppe Ruffo, lo storico scrive il
Catechismo politico siciliano.10
Con brevi ed efficaci formule emerge una piattaforma politica che affianca all’indipendenza della Sicilia da Napoli un’apertura verso soluzioni istituzionali di tipo federalista. A chi si oppone, obiettando l’inadeguatezza di una piccola isola come realtà statuale, il Catechismo rammenta che la logica degli equilibri europei garantisce l’indi- pendenza delle piccole nazioni. L’esigenza indipendentista è motivata dalla penalizzazio- ne in termini economici, ma anche di crescita civile, derivante dall’unione con Napoli.
6 Di recente Amelia Crisantino ha pubblicato questa opera con una puntuale ricostruzione critica Cfr.
M. Amari, Studii su la storia di Sicilia della metà del XVIII secolo al 1820, a cura di A. Crisantino, «Quaderni Mediterranea, ricerche storiche», n. 15, Palermo 2010, e A. Crisantino, Introduzione agli «Studii
su la storia di Sicilia della metà del XVIII secolo al 1820» di Michele Amari, «Quaderni Mediterranea,
ricerche storiche», n. 14, Palermo, 2010.
7 M. Amari, La Guerra del Vespro siciliano, pref. alla IV edizione, Firenze, 1851, p. XXVI.
8 Cfr. M. Meriggi, Società, istituzioni e classi dirigenti, in Storia d’Italia: 1. Le premesse dell’Unità. Dalla fine del Settecento al 1861, a cura di G. Sabbatucci e V. Vidotto, Roma-Bari, 1994, pp. 145-146; E. Iachello, La politica delle calamità. Terremoto e colera nella Sicilia borbonica, Catania 2000 e M. Grillo, L’isola al bivio. Cultura e politica nella Sicilia borbonica (1820-1840), Catania, 2000, pp. 263 ss.
9 A. D’Ancona, Carteggio di Michele Amari, vol. I, Torino 1896, p. 29, Tommaso Gargallo ad Amari,
Palermo, 14 febbraio 1838.
10 Catechismo politico siciliano, in Ristampa delle proteste, avvisi ed opuscoli clandestinamente pubblicati pria del 12 gennaro 1848, Palermo, 1848, pp. XLIII ss.
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Quanto alla forma di governo Amari si richiama alla Costituzione del 1812 che va pro- fondamente emendata. Ritenendo impossibile la fusione per l’esistenza di molti sistemi separati, egli propone la formazione di una federazione all’interno della quale «ciascuno Stato avrebbe per sé indipendente ogni parte di governo fuorché il diritto della guerra e della pace ed i trattati politici».11 Queste idee confluiranno nel programma politico e
nell’esperienza costituzionale quarantottesca, prefigurata nel testo, per molti versi, anche nei dettagli istituzionali e procedurali. Intanto, nel settembre 1840 Amari ottiene la con- cessione di ritornare in Sicilia. Può ora completare l’opera del Vespro pubblicata con il titolo anodino Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII (Palermo 1842). Il suc- cesso della prima edizione è superiore alle attese, non solo in Sicilia ma anche in Italia.12