Territorio e amministrazione: appunti di lavoro sul tema delle circoscrizioni amministrative nell’Italia unita
1. Unità/varietà
«Unità nella varietà. È la definizione che molti filosofi danno della bellezza, ed è il carattere principale della nostra patria comune, dell’Italia. Massima unità nella mas- sima varietà. Non v’ha al mondo vasta regione geografica meglio conterminata dell’Italia; non ve n’ha alcuna più riccamente membrificata».
Così esordisce Cesare Correnti in uno dei primi scritti dedicati alla comparti- mentazione territoriale dell’Italia di là da venire, giustamente considerato anche da Lucio Gambi, lo studioso che più si è occupato del tema, coniugando esemplarmen- te, e quasi isolatamente nel panorama scientifico italiano degli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, competenze geografiche e storiche, un punto di partenza e di rife- rimento obbligato.9
Ho voluto prendere le mosse da questa citazione, solo apparentemente eccentri- ca, per sottolineare la rilevanza dei due termini «unità» e «varietà», non solo nelle osservazioni di carattere geostorico di Correnti, bensì in tutto il dibattito sull’orga- nizzazione del nuovo Stato, dominato appunto dal dilemma su come realizzare l’unità politica di un Paese così differenziato e plurale quale la penisola italiana.
Essa consente altresì di porre l’accento sul momento genetico della questione, strettamente intrecciata con le discussioni e le polemiche di natura politica e giuri- dico-amministrativa ma anche tecnico-scientifica; sul ruolo e lo spazio dei saperi, latamente intesi, coinvolti in queste discussioni; e infine sui modelli e moduli orga- nizzativi, o più precisamente sugli strumenti e sulle categorie di pensiero o schemi mentali all’opera nelle scelte riguardanti la nuova compartimentazione territoriale della penisola.
Quello che ho chiamato momento genetico della compartimentazione territoria- le non si può circoscrivere al limitato e convulso arco temporale che va dall’emana- zione della legge Rattazzi per il Piemonte subalpino (1859) alla successiva esten- sione della stessa alle nuove province accorpate al Regno di Sardegna (a cominciare dalla Lombardia per la quale pure si era istituita una Commissione, cosiddetta Giu- lini dal nome del suo presidente, incaricata di elaborare schemi di decreti per
8 E. Rotelli, Le circoscrizioni amministrative italiane come problema storiografico, «Amministrare», 1992, 1,
pp. 151-159: 151.
9 C. Correnti, Fisionomia delle regioni italiche, «Il Nipote del Vesta-Verde. Strenna popolare», 1852, p. 42
(questo almanacco popolare, confezionato quasi per intero da Correnti tra il 1848 e il 1859, merita una mag- giore e più analitica attenzione). Per i lavori sul tema di Gambi, si vedano almeno Le «regioni» negli stati
preunitari, Studi di storia medievale e moderna per Ernesto Sestan, vol. II, Età moderna, Firenze, 1980, pp.
885-901; Le «regioni» italiane come problema storico, «Quaderni storici», 1977, 34, pp. 275-298;
L’equivoco tra compartimenti statistici e regioni costituzionali, Faenza, 1963 (ripubblicato col titolo Compar- timenti statistici e regioni costituzionali, in L. Gambi, Questioni di geografia, Napoli, 1964, pp. 153-187).
Luigi Blanco 28
l’amministrazione provvisoria lombarda),10 fino alla legge di unificazione amministra-
tiva (20 marzo 1865, n. 2248).11 Esso va allargato quantomeno al decennio di prepara-
zione, senza dimenticare che la rottura più significativa per la penisola è stata quella napoleonica, con l’introduzione dei dipartimenti sia nei territori direttamente annessi all’Impero che negli Stati satellite, e che pertanto anche le vicende amministrative della restaurazione negli Stati preunitari devono essere opportunamente indagate se si vuole comprendere il retroterra immediato della nascita delle divisioni amministrative dell’Italia unita.
Tale momento genetico va studiato, di conseguenza, contestualmente alle coeve di- scussioni, destinate a trascinarsi anche dopo la conquistata unificazione nazionale, tra unitaristi e federalisti, tra accentratori e decentratori. Sono dibattiti ampiamente noti, almeno nelle punte più significative, ma di cui non sarebbe infruttuosa una rivisitazione alla luce del tema degli squilibri territoriali e delle partizioni amministrative del nuovo Stato unitario.12 Non si tratta cioè di ripercorrere le vicende che hanno portato alla scel-
ta del modello amministrativo franco-napoleonico, né tantomeno di individuare le svol- te o i tornanti più significativi di questa scelta, che ha visto nella ‘scoperta’ del Sud uno dei momenti, come noto, maggiormente dirimenti. Si tratta, piuttosto, a mio avviso, di rileggere la saggistica politico-amministrativa, gli interventi d’occasione come i dibatti- ti parlamentari (invero non numerosi né particolarmente rilevanti per via della delega concessa al governo), alla luce della ‘varietà’ del tessuto politico, economico, sociale, geo-storico della penisola e delle scelte inerenti la maglia amministrativa.
Per tale ragione, i saperi che vanno interrogati più da vicino per comprendere le modalità attraverso le quali si giunse a quel tipo di ritaglio territoriale non particolar- mente meditato da parte del legislatore non sono solo quelli cui immediatamente si ten- de a pensare, vale a dire quelli che hanno a che fare con le scienze dello Stato in via di formalizzazione, a fondamento giuridico, amministrativo e politico, ma sono anche, o forse soprattutto, quelli legati all’analisi del territorio, nelle sue molteplici componenti, fisiche, naturali, demografiche, economiche. Non è un mistero infatti che i due saperi che maggiormente hanno contribuito, nel momento genetico, alla fissazione della ma-
10 Si vedano gli Atti della Commissione Giulini per l’ordinamento temporaneo della Lombardia (1859), Mi-
lano, 1962, curati da N. Raponi, e la sua monografia sul moderatismo liberale lombardo. Poco prima dell’istituzione della Commissione era stata creata presso il Ministero degli esteri a Torino (il decreto istituti- vo del 3 maggio 1859 verrà ufficializzato solo il successivo 11 giugno) la Direzione generale delle province italiane, diretta da Minghetti, allora segretario generale del Ministero, divisa in due uffici, uno «per le provin- cie unite ai regi Stati» (Lombardo-Veneto e Ducati) retto da Antonio Allievi, e uno «per le provincie poste sotto la protezione di S.M.» (Toscana e Legazioni) affidato a Costantino Nigra. Nonostante la breve vita di questa direzione (verrà sciolta infatti dal nuovo ministero La Marmora-Rattazzi succeduto a quello Cavour dopo Villafranca il 31 luglio 1859, nello stesso momento in cui verranno dichiarati cessati i pieni poteri con- cessi al governatore di Lombardia sulla base dell’esito dei lavori della Commissione Giulini), essa ha svolto un ruolo importante nel processo di annessione delle nuove province. Il già richiamato Cesare Correnti fu membro autorevole della Commissione Giulini come della commissione incaricata di studiare la transizione amministrativa nel Veneto appena annesso.
11 Come noto, la legge del 1865 eliminava l’ultima enclave autonomistica rimasta, vale a dire quella della To-
scana, per l’autonomia della quale si era strenuamente battuto all’epoca del suo governatorato Ricasoli, prima di abbracciare l’opzione della centralizzazione amministrativa.
12 Cfr. G. Talamo, Il problema delle diversità e degli squilibri regionali nella cultura politica italiana dal pe- riodo dell’unificazione alla caduta della Destra, in Gli squilibri regionali e l’articolazione dell’intervento pubblico, Milano, 1962, pp. 92-130.
Territorio e amministrazione 29 glia amministrativa provinciale (e regionale), che si è poi trascinata nella storia dell’Italia unita, siano stati proprio la geografia e la statistica. L’individuazione del ritaglio ammini- strativo della nuova Italia è avvenuta infatti prevalentemente, come proposto da Correnti e attuato da Pietro Maestri, su base geografica, o topografica, e a fini statistici.
Solo tenendo conto della situazione di questi saperi, del loro grado di formaliz- zazione, della capacità di analizzare e rappresentare la realtà territoriale e sociale, si può ragionare sugli schemi mentali e sugli strumenti conoscitivi che hanno portato alle concrete scelte territoriali e amministrative, nella convinzione che, come ha osservato Pierre Bourdieu riflettendo sul concetto di regione, gli strumenti e le categorie di pen- siero attraverso cui si disegnano determinati ambiti territoriali o si rappresenta la realtà sociale sono forse più importanti della stessa realtà.13
La formazione dei dipartimenti nella Francia rivoluzionaria è l’esempio migliore, come noto, per illustrare la forza dei nuovi schemi mentali rivoluzionari: come nella notte del 4 agosto 1789 vengono aboliti tutti i privilegi, di natura feudale, corporativa, sociale ed economica, così con la creazione dei dipartimenti si aboliscono i privilegi territoriali e si semplifica drasticamente quel confuso groviglio di circoscrizioni, di va- ria estensione e diversificate competenze, a cominciare dai grandi pays d’états, che aveva caratterizzato la Francia d’antico regime. Nella sua geometrica razionalità, questa operazione riorganizza dalle fondamenta il territorio e l’amministrazione, e non solo su suolo francese, facendo circolare un modulo amministrativo, ma prima ancora una con- cezione dello spazio, vuoto e piatto, destinata a influenzare profondamente lo Stato amministrativo europeo-continentale.