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Un tentativo costituzionale del governo borbonico in esilio alla vigilia della terza guerra d’indipendenza

Ivan Costanza, Università di Milano

Con le capitolazioni di Gaeta il 13 febbraio 1861 e di Civitella del Tronto il 20 marzo, il Regno delle due Sicilie cessava di esistere come stato. Tuttavia Francesco II di Bor- bone creò subito a Roma un governo provvisorio in esilio presieduto dal costituzionali- sta Pietro Calà Ulloa.1 Gli obiettivi immediati di questo governo erano due: guidare le

forze fedeli ai Borboni nella penisola contro il Regno d’Italia e ostacolarne il ricono- scimento internazionale.2

Il governo era minato dai contrasti tra i conservatori, che ritenevano il collasso del regno una conseguenza dell’aver ceduto ai principi costituzionali, paladini di una re- staurazione integrale e i liberali, di cui faceva parte lo stesso Ulloa. Sulla sua attività esiste una buona memorialistica di età coeva, che mostra tutte le divisioni interne tra le varie fazioni, ma si sofferma sui casi dei singoli personaggi, e poco sull’attività del go- verno. L’azione del governo di Palazzo Farnese3 è stata oggetto di studi; in particolare è

stata analizzata la sua azione diplomatica internazionale.

Nel meridione la riflessione sulle forme da dare al governo era stata molto attiva a partire dalla Repubblica partenopea del 1799, che aveva innestato gli esiti della Francia rivoluzionaria sul terreno preparato dall’illuminismo napoletano, frustrato dalla sua scarsa influenza reale sugli affari del regno. Dopo alterne vicende, nel 1805 i borboni furono confinati in Sicilia sotto la protezione inglese, mentre nel Napoletano si costitui- va un regno napoleonico retto prima da Giuseppe Napoleone e poi da Gioacchino Mu- rat. Sotto Murat il napoletano conobbe riforme profonde, tanto che l’ideale napoleonico della monarchia amministrativa vi trovò una delle sue più compiute realizzazioni, dan- do il nome a uno specifico orientamento politico in materia, il cosiddetto ‘murattismo’.4

1 Pietro Calà Ulloa (15/02/1801-21/05/1879). Resse il governo in esilio borbonico sino alla sua fine nel 1866.

Dopo l’annessione di Roma all’Italia nel 1870 tornò a Napoli, rimanendo sempre fedele alla dinastia borbonica. Scrisse vari testi storici e amministrativi, prima e dopo la fine del regno borbonico, tra cui

L’unione e non l’unità d’Italia, Roma, 1867, e Un re in esilio: la corte di Francesco II a Roma dal 1861 al 1870: memorie e diario inediti pubblicati con introduzione e note di Gino Doria, Bari, 1928.

2 Un ampio resoconto sull’attività svolta sul piano diplomatico dal governo borbonico in esilio si trova in F.

Leoni, Il governo borbonico in esilio, Napoli, 1984.

3 Il governo borbonico si era insediato a Roma in questo Palazzo, tuttora esistente, il cui nome era diventato

un suo sinonimo.

4 Con questo termine si fa riferimento alla corrente d’opinione che guardava come esempio all’esperienza

politica e amministrativa del regno d’età napoleonica subito dopo il 1815. Il termine tornò alla ribalta dopo il 1848 per indicare i fautori dell’erede di Murat, il principe, Napoleone Luciano Carlo Murat, dopo che l’evidente fallimento delle capacità di autoriforma della dinastia borbonica divenne palese. I suoi sostenitori sostenevano che il cambio dinastico avrebbe permesso il mantenimento del regno e la sua evoluzione, ponendosi in contrasto contemporaneamente con i legittimisti borbonici e i fautori dell’unità italiana. In materia si veda F. Bartoccini, Il murattismo: speranze, timori e contrasti nella lotta per l’unita italiana, Milano, 1959.

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In Sicilia nel 1812 Ferdinando I di Borbone fu letteralmente costretto dai propri protet- tori inglesi a emanare una costituzione, atto che avrebbe condizionato i futuri rapporti dell’isola con la dinastia.

Con la caduta di Napoleone e poi di Murat la dinastia borbonica recupera Napoli che nel 1818 andava a costituire assieme alla Sicilia il Regno delle due Sicilie. La costi- tuzione siciliana fu lasciata cadere nell’oblio, ma buona parte delle strutture ammini- strative ereditate da Murat fu mantenuta, grazie alla firma del trattato di Casalanza.5

Questa decisione fece sì che lo stato borbonico potesse essere preso ad esempio di una Restaurazione moderata e aperta al rinnovamento,6 ma le tensioni tra murattiani, costi-

tuzionalisti e reazionari incrinarono ben presto il sistema, provocando lo scoppio della rivoluzione del 1820. Da allora in poi lo stato borbonico mancò sistematicamente ogni appuntamento con la storia.

Nel 1821 Ferdinando I a Lubiana7 rinnegò il moto costituzionale guidato da Gu-

glielmo Pepe e la costituzione emanata sul modello di quella di Cadice,8 Ferdinando II

concedette una costituzione l’11 febbraio del 1848, costrettovi dall’ondata rivoluziona- ria9 che percorreva lo stato, in maniera non dissimile da quanto avrebbe fatto Carlo Al-

berto in Piemonte di lì a poco. Tuttavia mentre Vittorio Emanuele II manterrà lo statuto nonostante la sconfitta militare, il parlamento napoletano sarà sciolto appena il re ne avrà l’occasione per non essere più convocato.10 Questo atto segna la fine della monar-

5 Dopo l’esito disastroso della campagna di Russia Gioacchino Murat si allontanò da Napoleone, nel tentativo

di mantenere il proprio regno, ma una volta constatato che le potenze antinapoleoniche erano orientate al ripristino dei Borboni a Napoli cercò di ribaltare la situazione con una disperata avventura militare. Dopo essere stato sconfitto a Tolentino non gli restò che firmare questo trattato il 20 maggio 1815, con il quale il suo esercito e i quadri dirigenti ‘murattiani’ furono inclusi nel restaurato regno borbonico. Prende il nome dalla villa in cui fu sottoscritto, nei pressi di Pastorano.

6 Su questa felice interpretazione del periodo 1815-1820 non tutti concordano, e vi vedono l’origine di alcune

tare che si riveleranno fatali per il regno del sud; cfr. A. Spagnoletti, Storia del Regno delle due Sicilie, Milano, 1997, p. 47: «Fu in quegli anni che si accentuarono le tendenze populistiche della dinastia che portarono alla ricerca di un demagogico consenso tra le classi più umili della popolazione, viste come puntello del trono, a tutto discapito di un più proficuo rapporto con gli strati della borghesia agraria e delle professioni; infine fu nel quinquennio che le finanze napoletane assunsero tratti che le avrebbero accompagnate fino al 1860 […] aprì la strada a quella caratteristica finanza borbonica che poco prelevava e poco spendeva, limitando in questo modo il progresso stesso del paese al quale venivano a mancare gli investimenti e le spese produttive».

7 Questo atto, oltre a procurargli l’accusa di tradimento, sollevò anche lo scetticismo delle grandi potenze

sulle sue capacità politiche.

8 M.S. Corciulo, Una rivoluzione per la Costituzione (1820-21): agli albori del Risorgimento meridionale,

Pescara, 2009.

9 Per un breve ragguaglio sulla situazione costituzionale italiana nei vari stati italiani durante il 1848-1849 si

veda F. Livorsi (a cura di), Liberta e Stato nel 1848-49: idee politiche e costituzionali, Milano, 2001.

10 Un lapidario giudizio sulla politica borbonica si trova in M. Rosa de Simone, Istituzioni e fonti normative in Italia dall’antico regime all’unità, Torino, 1999, p. 259: «In realtà i regimi rappresentativi del 1820-21 e

del 1848-1849 appaiono solo brevi parentesi senza durevoli conseguenze in un contesto politico di tipo assolutistico che negli ultimi anni andò progressivamente peggiorando a causa dell’accentuarsi degli atteggiamenti tirannici e paternalistici del re. Così, quel meccanismo amministrativo, che all’inizio della restaurazione era uno dei più razionali e funzionali d’Italia, finì per deteriorarsi contribuendo con la prepotenza, la corruzione e l’inefficienza dei suoi quadri, ormai privi della dignità e delle capacità tecniche della generazione murattiana, alla rovina del regno».

Un tentativo costituzionale del governo borbonico in esilio 141 chia, perché quasi tutti i liberali l’abbandonarono e sposarono la tesi dell’Unità d’Italia.11

Francesco II, l’ultimo sovrano napoletano, dopo aver compiuto ogni errore diplo- matico possibile nel corso del suo breve regno, ripristinò il regime costituzionale il 25 giugno 1860, dopo che Palermo e la Sicilia occidentale erano stati conquistati dalla spedizione dei mille, in un disperato tentativo di rinsaldare il regno, quando ormai an- che la classe dirigente stava abbandonando la sua causa.

Con questi trascorsi e la perdurante divisione del governo in esilio tra liberali e reazionari, la riflessione sulla forma costituzionale da dare allo stato fu paralizzata, an- che se la Costituzione del 1848, riesumata nel 1860 dopo lo sbarco di Garibaldi, non venne formalmente messa in discussione. Nel 1866 l’imminenza della terza guerra d’indipendenza spinse Palazzo Farnese ad abborracciare in extremis un progetto costi- tuzionale, di cui è rimasta traccia in due lettere conservate nell’Archivio di Stato di Genova. Il rinvenimento di questi documenti a Genova si deve al suo ruolo di snodo lungo le maggiori vie di comunicazione dell’epoca. Per questo motivo in città erano molte at- tive le società segrete ostili al nuovo stato unitario.12

Si tratta di una pagina poco nota del Risorgimento italiano successivo alla procla- mazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861; la storiografia si è soffermata sulla re- pressione del brigantaggio filo-borbonico nel meridione, ma non sul fuoriuscitismo ‘lealista’ dopo il 1861 e sulle sue congreghe segrete in Italia. I sostenitori del ripristino del Regno delle due Sicilie erano la parte nettamente preponderante di questi gruppi, ma non mancavano fedeli dei ducati padani e sostenitori della sovranità pontificia.13 I

documenti dell’Archivio di Stato di Genova testimoniano la frenetica attività di prefet- tura e questura nel controllo dei gruppi della ‘reazione’ e anche degli esponenti del par- tito d’azione (mazziniani).14

Nel giugno del 1866 il governo in esilio inviò copie del progetto ai vari gruppi sparsi nella penisola per sentire le loro opinioni sulle scelte fatte ed eventualmente ap- portare dei cambiamenti in base alle loro osservazioni. Questo forse annunciava che la nuova Costituzione sarebbe stata sottoposta al voto di approvazione di un’assemblea costituente, a differenza di quella del 1848, che, come lo statuto albertino, era una carta ottriata.15

11 Tra i pochi rimasti fedeli ai borboni vi furono Carlo Filangieri e Ulloa.

12 Dai documenti genovesi emerge l’attività non solo di gruppi borbonici, ma anche di fedeli dei ducati di

Modena e Piacenza e del Granducato di Toscana.

13 Questo periodo non è stato molto studiato. Nuove informazioni in materia potranno forse venire da una tesi

di dottorato in via di elaborazione da A. Facineroso, stando alla sua relazione letta al Seminario nazionale dottorandi di Catania, 26-28 maggio 2011, Le dimore del tempo sospeso. L’esilio borbonico nel primo

decennio dopo l’Unità.

14 I. Costanza, L’esordio della prefettura genovese (1859-1866), «Storia Amministrazione Costituzione»,

2010, pp. 153-178.

15 Sia lo Statuto Albertino sia la Costituzione borbonica erano carte ottriate o elargite, nel senso che la loro

emanazione andava considerata una benevola concessione del sovrano ai propri sudditi, e non erano quindi frutto di nessuna elaborazione o approvazione da parte di assemblee elettive. Il termine venne per la prima volta usato nella Carta Costituzionale francese del 1814, cui si richiamarono poi molte costituzioni successive. Al momento della sua promulgazione questa Costituzione voleva conciliare l’ideale monarchico con quelli più accettabili portati dalla rivoluzione francese e dal periodo napoleonico.

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Le lettere inviate al prefetto di Genova con le informazioni sul progetto costituzio- nale borbonico risalgono al 19 e al 25 giugno 1866. La terza guerra d’indipendenza scoppiò il 16 giugno 1866 sul fronte tedesco e il 20 su quello italiano. La prima parte della circolare fu inviata correttamente il 20 giugno al Ministero degli interni a Firenze, e non è stato possibile recuperarne copia. La seconda parte, di cui il prefetto fu informa- to il venticinque, sembra non sia stata spedita; quantomeno la copia trovata nelle carte genovesi non ha l’aspetto di una minuta. È possibile che nel rapido rincorrersi degli eventi del conflitto sia stata messa da parte o dimenticata, perché il 24 giugno tutta l’attenzione dovette essere calamitata sugli effetti della sconfitta di Custoza.

Proprio in considerazione di un collasso militare italiano Ferdinando II fu proba- bilmente convinto da Ulloa a preparare una nuova Costituzione, per sancire la seconda rinascita del regno dopo quella del 1816, mentre nel frattempo venivano mobilitate le scarse forze operative rimaste a disposizione dopo l’annientamento dei briganti filo- borbonici.16

L’esito del conflitto seppellì però le ultime speranze borboniche; nonostante Custo- za e Lissa le vittorie prussiane furono quelle che contarono. Anche il fatto che la com- pagine statale italiana riuscisse a reggersi, nonostante la pessima condotta di guerra, fu una paradossale prova di forza che rese il suo auspicato crollo lontano.17 I lavori in cor-

so su una nuova Costituzione terminarono con la guerra e di lì a pochi mesi il governo in esilio si sciolse.

Le lettere riportano solo parte delle linee guida su cui si doveva basare la progettata Costituzione, e su questi pochi dati è difficile giudicare l’obiettivo finale del suo ignoto estensore; tuttavia è possibile fare un paragone tra i punti salienti delle lettere e i corri- spondenti articoli della Costituzione borbonica del 1848, per cercare di intuire quali cambiamenti si volevano apportare.

La schematicità di molte affermazioni del progetto sconsiglia una loro interpreta- zione, ma alcune differenze emergono dal testo del 1848: 1) La responsabilità dei mini- stri per i propri atti è verso la ‘Nazione’; questo potrebbe indicare che esiste una cer- ta apertura nei confronti di un eventuale sviluppo verso una forma di governo parla- mentare; 2) Il sovrano può emanare atti di Pubblica Sicurezza solo durante il periodo tra una convocazione delle Camere e in via provvisoria. Nel 1848 il controllo della po- lizia era rimasto al sovrano, cosa che aveva facilitato la reazione; 3) Sulla struttura e composizione del Parlamento il parere del governo in esilio sembra confuso; è ispirato a soluzioni che al bicameralismo francese previsto dalla carta ottriata del 1814 sovrap- pone reminescenze dei medioevali tre stati. In particolare questa idea riguarda il ‘Sena- to’, in cui si prevede la presenza di nobili e religiosi in rappresentanza dei rispettivi ce-

16 Secondo alcuni studiosi la rivolta palermitana del 16-22 settembre 1866 fu l’estremo colpo di coda

operativo dei borbonici, anche se dalle comunicazioni coeve del Ministero degli Interni ai prefetti non risulta che la responsabilità vada addebitata ai mazziniani.

17 Le sconfitte ebbero sull’opinione pubblica italiana un effetto notevole, senza provocare però un crollo

morale come molti legittimisti si aspettavano. Le reazioni furono indirizzate contro i responsabili militari delle ‘umiliazioni’ inflitte alla nuova Nazione, in primo luogo all’ammiraglio Persano comandante la flotta italiana a Lissa e, in misura minore, al generale Alfonso La Marmora per la sconfitta di Custoza. Sulla conduzione e sugli effetti del conflitto si veda: M. Gioannini, G. Massobrio, Custoza 1866: la via italiana

Un tentativo costituzionale del governo borbonico in esilio 143 ti; è dibattuta la possibilità di inserirvi membri della borghesia. La Camera dei pari del 1848 prevedeva la presenza di alcuni nobili per diritto di nascita (art. 46), ma era formal- mente aperta a tutti e non prevedeva nessuna rappresentanza specifica per la nobiltà. Un ‘Senato’ eletto per ordini era un passo indietro che non è facilmente spiegabile se non per ragioni politiche. Dato l’asilo offerto dal governo pontificio, avverso a ogni innovazione li- berale e costituzionale,18 si era pensato di addolcire le sue reazioni offrendo al clero una po-

sizione che, rifacendosi agli ordinamenti tradizionali, gli permettesse di vigilare sulla cri- stianità dello Stato. Questo significava anche il mantenimento della confessione cattolica come unica religione ammessa nello stato, nello spirito dell’art. 3 della Costituzione del 1848: «L’unica religione dello Stato sarà sempre la cristiana cattolica apostolica romana, senza che possa mai essere permesso l’esercizio di alcun’altra religione»; 4) L’ammontare delle imposte sarebbe stato deciso dalla sola Camera elettiva (rappresentativa), mentre nel 1848 era previsto l’intervento di entrambe le camere; 5) La libertà di stampa sembra garan- tita in maniera molto più ampia che nel 1848, perché non si fa cenno ai numerosi limiti allo- ra posti al suo esercizio, in particolare per quel che riguarda la religione.

Il giudizio di massima che si può trarre è che si trattasse di un progetto alquanto con- fuso, in cui convivevano l’adozione del modello liberale e una concezione della società ancora concepita per ordini medioevali. Tutto questo rafforza l’idea di una iniziativa det- tata dall’imminenza della terza guerra d’indipendenza e dalla necessità di mostrarsi sia li- berali che attaccati alla tradizione. Le proposizioni elencate sembrano tradire la volontà di accogliere pienamente il modello costituzionale liberale, probabilmente sotto lo stimolo di Ulloa, temperata però dalla necessità di non scontentare il proprio protettore politico. Questo scritto d’occasione, per quanto modesto, rappresenta il canto del cigno di ogni progettualità statale borbonica. Sciolto il governo provvisorio dopo la sconfitta austriaca, cessa ogni serio tentativo di elaborazione costituzionale, anche se molti nostalgici svilup- peranno a un’ampia memorialistica, in prevalenza di stampo reazionario.

Lettere e raffronto con gli articoli corrispondenti della Costituzione del 184819

Questura di sicurezza Pubblica – Gabinetto n. 1820 – In ordine al partito borbonico – istruzioni sui suoi mezzi d’azione. Genova 19 giugno 1866

Al Prefetto della provincia di Genova Da confidente, ben addentro nei maneggi del partito borbonico, essendosi ottenuto l’estratto di parte di una circolare che i capi comitato del partito stesso hanno di re-

18 La posizione retriva della chiesa sulla società moderna era stata appena ribadita dalla pubblicazione del Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores, comunemente noto con l’acronimo di Sillabo, l’otto

dicembre del 1864.

19 Gli articoli della costituzione napoletana dell’11 febbraio 1848 sono tratti dal testo edito in A. Aquarone,

M. D’Addio, G. Negri (a cura di), Le Costituzioni italiane, Milano, 1958.

Le lettere del Questore alla Prefettura provengono dall’Archivio di stato di Genova, fondo Ex Prefettura di Genova, Faldone 128.

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cente diramato in Italia per disciplinare i reazionari onde pervenire alla restaurazione del regno di Francesco II, le quali istruzioni vanno corredate da elenco di persone invise al partito medesimo, e quindi designate per essere all’opportunità tolte di mezzo; lo scrivente crede dover suo rendere d’ogni cosa istrutto il sig. prefetto della provincia e si riserva a continuare tali comunicazioni non appena sia fatto dal confi- dente il promesso seguito, per quel conto che stimerà conveniente.

Il questore Verga[20]

Sicurezza Pubblica – Ufficio di Questura – Genova addì 25 giugno 1866 – Gabinetto n. 1884

Facendo seguito il sottoscritto alla sua nota 19 corrente mese n. 1820 si pregia vol- gere qui compiegata al sg. Prefetto la continuazione annunciata della circolare por- tante discipline per la ricostituzione della monarchia borbonica nel Regno delle due Sicilie.

Il questore Verga Seguito a precedente comunicazione ossia della circolare n. 195.

Testo contenuto nelle lettere Parti della Costituzione borbonica del 1848 trattanti i corrispettivi argomenti

2° Il Re è pure conosciuto quale depositario del potere esecutivo in tutta la sua pienezza.

Art. 5. – Il potere esecutivo appartiene esclusi- vamente al Re.

3° I ministri di stato sono risponsabili verso la nazione del loro operato. La promulga- zione delle leggi spetta ai rappresentanti della nazione sotto la clausola della sanzio- ne Reale al consentimento della massima capitolare: la legge è fatta dal consorzio dei popoli, e dalla costituzione del Re.

Art. 71. – I ministri sono risponsabili.

Art. 72. – Gli atti di ogni genere sottoscritti dal Re non hanno vigore se non contrassegnati da un ministro segretario di stato, il quale perciò solo se ne rende risponsabile.

4° Il re potrà far legge di polizia, di ammini- strazione durante lo spazio che si frappone tra una convocazione e l’altra successiva, ma esse saranno provvisorie, e la registra- zione sarà libera.

5° Convocare, prorogare e disciogliere la rappresentanza nazionale spetta al Re. Ap- pena però avrà egli sciolta una rappresen- tanza, dovrà senza indugio decretare una nuova convocazione.

Art. 64. – Il Re convoca ogni anno in sessione ordinaria le camere legislative: ne’ casi di ur- genza le convoca in sessione straordinaria: ed a Lui è dato di prorogarle e di chiuderle. Egli può anche sciogliere la camera dei depu- tati, ma convocandone un’altra per nuove ele- zioni fra lo spazio improrogabile di 3 mesi.

20 La firma è difficilmente intellegibile; il Calendario generale del Regno d’Italia del 1866 riporta che in

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