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Dal Senato Subalpino a quello unitario (1848-1861)

2. Il Senato Subalpino (1848-1860)

In questa prima fase di attività del Senato (1848-1860), Cavour – che sarà poi il nume tutelare dello Statuto fin dagli esordi – sarebbe stato più favorevole ad una camera Alta elettiva, nel timore che la mancanza di rappresentatività la rendesse troppo succube nei confronti del sovrano (e del Governo); tuttavia la sua proposta non ebbe seguito e non risulta che egli sia tornato su di essa.12 Tale presunta carenza del Senato – considerata il

10 In tal senso, Guido Melis, ha parlato di una seconda camera nella quale si ricompone la dialettica tra politi-

ca e i grandi Corpi; cfr. G. Melis, La partecipazione dell’alta burocrazia al Senato nell’età liberale, «Trime- stre», XXI , 1-4, 1988, pp. 226 ss.

11 Cfr. G. Grassi Orsini, Uno sguardo sul Senato Subalpino, in Repertorio biografico, Il Senato Subalpino (A-L),

vol. I, p. 20.

12 L’Elettività del Senato fu oggetto, negli anni successivi alla morte di Cavour, di varie proposte, nelle quali,

comunque, veniva mantenuta la sua subalternità; cfr. N. Antonetti, Il Senato tra la riforma elettorale del 1882

e la proposta di riforma delle nomine senatoriali, «Trimestre», XXI, 1-4, 1988, pp. 151 ss.; cfr., inoltre, M.S.

Piretti, La riforma del Senato nel dibattito della seconda metà del XIX secolo, «Trimestre», XXI, 1-4, 1988, pp. 67-96; M.E. Lanciotti, La riforma impossibile. Idee, discussioni e progetti sulla modifica del Senato regio

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vulnus principale di un bicameralismo ‘zoppo’ – non fu ritenuta una deminutio da Pel-

legrino Rossi, che la considerava la logica conseguenza di una prevalenza della funzio- ne politica (attribuita al Senato) rispetto a quella più propriamente ‘sociale’. Nello Sta- tuto Albertino non era prevista, in effetti, nessuna subalternità della potestà legislativa del Senato di fronte a quella della Camera; soltanto l’art. 10 imponeva all’esecutivo di sottoporre le leggi finanziarie dapprima all’Assemblea rappresentativa e, successiva- mente, a quella di nomina regia.13

Tuttavia, tale deminutio istituzionale è stata considerata rilevante da quasi tutti i cultori di studi sul Senato, costituzionalisti e non, in particolare nel processo di ‘parla- mentarizzazione’ della monarchia. La prassi parlamentare del nostro Statuto, afferman- dosi – come è noto – dapprima de facto, portò a una preminenza politico-istituzionale della Camera elettiva, che diventò l’arbitro della maggioranza parlamentare e, conse- guentemente, della fiducia o sfiducia ai governi; di conseguenza, in questo ‘nuovo’ as- setto costituzionale il Senato veniva ad essere marginalizzato secondo la nota afferma- zione che «esso non faceva maggioranza». L’affermazione dell’’asse’ Camera dei De- putati – Governo comportò un ridimensionamento del ruolo della Corona e, di conse- guenza, del Senato. A questo proposito, bisogna sottolineare che l’effettiva minore par- tecipazione della Camera Alta nel processo di parlamentarizzazione è una caratteristica tipica nella transizione dal regime costituzionale a quello parlamentare e accomuna l’Italia ad altri Paesi europei, tra cui, in particolare, la Francia.14 Tuttavia, intorno a

questo processo, il Senato – quando fu necessario – fece sentire la sua voce, come av- venne, per esempio, in due rilevanti circostanze.

La prima, nel 1851, allorché nacque una querelle tra la Camera Alta, che intendeva prender parte alla legge finanziaria, e quella rappresentativa, contraria a un allargamen- to di tale facoltà. In quella occasione, i senatori tennero un atteggiamento più che mai fermo, tanto che fu necessario l’intervento mediatore di Cavour per sanare il dissidio istituzionale. Si stabilì allora, una volta per tutte, la prassi legislativa – mantenuta in fu- turo – che permetteva al Senato di intervenire in materia di leggi finanziarie, purché non ne mutasse l’importo complessivo, limitandosi cioè a ridistribuire diversamente la somma varata dalla Camera dei Deputati nella maniera che ritenesse più equa. Si trattò di un’attribuzione con un significato politico molto rilevante, che incideva notevolmen- te nei rapporti ‘di forza’ tra le due Camere.

La seconda volta in cui il Senato fece sentire la sua voce fu nel 1855-1856, durante la cosiddetta ‘questione Calabiana’, relativa ai rapporti politico-economici fra Stato e Chiesa. In tale occasione la presa di posizione dei senatori fu così convinta e decisa con- tro la legge varata dalla Camera dei Deputati che si dovette giungere ad un compromesso, per evitare che essi votassero contro la proposta governativa e la facessero cadere.

13 Si trattava di una consuetudine risalente alla prima fase di insediamento delle istituzioni rappresentative,

cioè degli antichi parlamenti medievali europei, nei quali, dapprima l’accesso, e successivamente l’assenso al bilancio reale, furono determinanti per la loro evoluzione politico-istituzionale da assemblee de facto in orga- nismi de iure all’interno degli assetti territoriali di potere.

14 Mi permetto di rinviare, a questo proposito, al volume M.S. Corciulo, Le istituzioni parlamentari in Fran- cia. Cento Giorni – Seconda Restaurazione (1815-1816), Napoli, 1996.

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Ho voluto ricordare questi due episodi poiché mi sembra che essi attenuino note- volmente la cosiddetta ‘passività’ politico-istituzionale del Senato.

Anche la presunta minore autonomia di esso, legata alla considerazione che la scel- ta dei presidenti e dei vice-presidenti competeva al sovrano, e pertanto era sottratta all’Assemblea, si attenua poiché le diverse nomine furono sempre gradite alla stessa: mi riferisco a personaggi molto rilevanti, quali, per esempio, Gaspare Coller, Giuseppe Manno e Cesare Alfieri Di Sostegno.

Per quanto concerne poi un altro aspetto di debolezza istituzionale imputato al Se- nato – e cioè la scarsa partecipazione dei suoi membri ai lavori dell’Assemblea (si è so- stenuto che costoro fossero raramente presenti, anche a causa della loro avanzata età) – essa viene inficiata da due considerazioni: la prima fa riferimento alla richiesta di una più limitata disponibilità temporale per i senatori rispetto ai deputati (con riferimento alla specifica durata dei lavori). La seconda tende a ‘giustificare’ il loro assenteismo, derivante essenzialmente dagli impegni istituzionali in loco, in particolare nei consigli provinciali e comunali, ove i senatori erano più numerosi dei deputati.15 Queste espe-

rienze di governance locale caratterizzarono la cultura giuridica dei senatori, contraria- mente alla pratica forense più diffusa tra i deputati.

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