Territorio e amministrazione: appunti di lavoro sul tema delle circoscrizioni amministrative nell’Italia unita
2. Tradizione/innovazione
«Tutto quel che fu fatto, fu fatto a sproposito, a casaccio, senza concetto, senza dise- gno; o non fu che il trapianto inconsulto e pusillo degli ordini e della rotina piemon- tese, infardata di straniere contraffazioni, in tutte le parti d’Italia. […] Il compartimento territoriale imposto al nuovo Regno d’Italia è, come tutti in generale i prodotti del genio che aleggia sulla Dora, una mala copia dell’ordinamento francese». Così il mantovano Consiglio Norsa, in uno dei non molti scritti esplicitamente dedicati alla nuova maglia amministrativa del Regno d’Italia, radicalmente critico nei confronti dell’opera di Rattazzi, al quale imputa, di aver, a mo’ dei ‘barbari’, raso al suolo, senza conoscerle, le istituzioni Italiane.14
Le critiche di Norsa non erano certo isolate, né tantomeno originali, nel dibattito sull’ordinamento politico-amministrativo del nuovo Stato unitario; esse però si distin-
13 Cfr. L’identité et la représentation. Eléments pour une réflexion critique sur l’idée de région, «Actes de la
recherche en sciences sociales», 1980, 35, pp. 63-72. Da questa impostazione muove anche M.-V. Ozouf- Marignier nel suo classico lavoro sulla nascita dei dipartimenti francesi: La formation des départements. La
représentation du territoire français à la fin du 18 siècle, Paris, 1989.
14 C. Norsa, Sul compartimento territoriale e sull’amministrazione del nuovo Regno d’Italia. Considerazioni statistiche ed economiche, Milano, 1863 (ampi estratti anche sugli «Annali universali di statistica, economia
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guevano laddove confutavano analiticamente, comparandole alla coeva situazione dei dipartimenti francesi, le scelte operate in merito alla suddivisione territoriale dell’amministrazione, stigmatizzando la confusione che si era prodotta e proponendo una drastica semplificazione e razionalizzazione.15
Il suo bersaglio polemico, come detto, era la legge Rattazzi del 1859, estesa poi con il compimento del processo di unificazione nazionale al resto del Regno d’Italia. Essa, emanata in virtù dei pieni poteri concessi al sovrano in caso di guerra con l’Austria (legge 25 aprile 1859, n. 3345), non si discostava molto dall’analoga legge sarda del 1848, se non per la denominazione degli ambiti territoriali (le divisioni diventavano province e le province circondari), introducendo la suddivisione territoriale che rimarrà inalterata alla base dell’Allegato A: «Legge comunale e provinciale» della successiva «Legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia» (20 marzo 1865, n. 2248).16 Il Titolo primo delle due leggi, «Divisione del territorio del Regno e autorità
governative», si apriva con la medesima elencazione delle suddivisioni territoriali: «Il Regno si divide in provincie, circondari, mandamenti e comuni».
Gli enti territoriali propriamente intesi previsti dalle due leggi erano, come si evin- ce chiaramente già dalla Relazione presentata da Rattazzi al sovrano, per il quale la leg- ge doveva tendere «ad accentrare nell’ordine politico e ad emancipare nell’ordine am- ministrativo», i comuni e le province. I primi, «il nido delle libertà moderne in tutta Eu- ropa», rappresentavano la cellula originaria della vita associata e la più grande gloria della civiltà italiana; le seconde, alle quali spettava un ruolo centrale nel disegno del ministro, si presentavano «come una grande associazione di comuni destinata a provve- dere alla tutela dei diritti di ciascuno di essi, e alla gestione degl’interessi morali e ma- teriali che hanno collettivamente fra loro» ed erano «costituite sopra basi abbastanza larghe, racchiud[endo] popolazioni e interessi economici e morali abbastanza conside- revoli e omogenei».17
La storiografia istituzionale, costituzionale e amministrativa, ha rilevato da tempo la distanza tra dettato normativo e prassi amministrativa, così come la contraddizione tra motivazioni ideologiche, di stampo liberale, e minuta previsione di controlli e tutele cui sottoporre il potere locale, come pure il modello amministrativo di riferimento, in- dividuato esplicitamente dallo stesso Rattazzi negli «ordini amministrativi che ressero durante una serie d’anni il Regno Italico, ordini che la Lombardia considera a ragione come suoi, e nei quali non ha mai cessato di ravvisare il migliore dei reggimenti, se-
15 Si veda analogamente, anche se con diverso orientamento politico, in particolare sulla questione regio-
nale, L. Carpi, Del riordinamento amministrativo del regno e del sistema proposto dal Ministro
dell’Interno nel suo discorso inaugurale dei lavori della Commissione speciale presso il Consiglio di Sta- to. Considerazioni di Leone Carpi, Bologna, 1860; e inoltre P. Ruscone, Sul compartimento territoriale e sull’ordinamento giudiziario e amministrativo del Regno d’Italia. Cenni di Ruscone Pietro già Deputato al Parlamento, Milano, 1867.
16 Come noto la legge conteneva sei allegati: la legge comunale e provinciale (all. A), la legge di pubblica
sicurezza (all. B) e di sanità pubblica (all. C), la legge sul Consiglio di Stato (all. D) e sul contenzioso ammi- nistrativo (all. E) e la legge sulle opere pubbliche (all. F). Ad esse fece seguito, a distanza di pochi mesi, la legge organica sull’ordinamento giudiziario (6 dicembre 1865, n. 2626).
17 Si veda il testo della Relazione, in A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale ita- liano, vol. III, pp. 151-155.
Territorio e amministrazione 31 condo cui sia stata da molti secoli governata».18 Non si è riflettuto a sufficienza invece
sulle partizioni amministrative del Regno d’Italia e sulle contraddizioni e «sconcordan- ze» che scaturivano dalla trasposizione di un disegno pensato per il piccolo regno sar- do-piemontese a una realtà ben più vasta e ben più complessa e diversificata quale era la penisola italiana. Questioni ben presenti in una cerchia, sia pure ristretta, di studiosi che si cimentavano con temi di carattere eminentemente tecnico-amministrativo come pure geografico e statistico.
È sufficiente prendere in mano i due volumi dell’«Annuario statistico italiano» per il 1857-58 e per il 1864, opera dei menzionati Correnti e Maestri, per avere un quadro delle riflessioni critiche che il riordinamento amministrativo del Regno d’Italia aveva suscitato; riflessioni tanto più interessanti se si pensa che in parte erano già state for- mulate ancor prima del compimento dell’unificazione. Nel primo dei due volumi l’accento è posto anzitutto sulle differenze «tra le istituzioni comunali dell’Italia mediana e continentale e quelle dell’Italia insulare e meridionale», di cui si sottolinea la diversa origine: «feudale» nelle seconde, «municipale» nelle prime ed in specie in Lombardia e in Toscana;19 ma non si trascura però di accennare anche alla necessità che
siano prese in considerazione le «condizioni materiali», «la diversa importanza statistica dei comuni nelle varie regioni italiane», così come le tipologie insediative.20
Questioni, queste ultime, analiticamente discusse nel volume del 1864, laddove, dopo aver rilevato «le difficoltà pressoché insuperabili, che incontra il legislatore volendo ridurre a una sola norma giuridica tutti i Comuni del regno», si insiste, a partire dai numeri delle rilevazioni statistiche, sulla «sproporzione grandissima del comune» in rapporto alla consistenza demografica e all’estensione territoriale.21 Il disegno della
maglia amministrativa comunale, nella quale si registra il retaggio della tradizione, risalendo, come rilevato da Lucio Gambi, in molti casi al tardo medioevo e al Rinascimento, non è in grado pertanto di tenere il passo, di adeguarsi alle novità istituzionali e territoriali della nuova compagine statuale, intralciando per la varietà delle sue forme e delle sue dimensioni gli stessi progetti di riforma amministrativa.22
18 Relazione, in A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, vol. III, p. 152:
passo da leggere in stretta relazione con l’esito dei lavori della Commissione Giulini per l’ordinamento prov- visorio della Lombardia.
19 «Annuario statistico italiano», 1857-58, pp. 502-507, paragrafo dedicato all’«Italia politica»: «Nelle Sicilie,
come in Francia, il comune è creatura dello stato; nel resto d’Italia invece, lo Stato, meno Savoia e Roma, esce dal comune» (p. 506). Sulla vita dell’Annuario, cfr. B. Fiocco, Le «misure» dell’Italia nell’Annuario
Statistico Italiano, «Documenti Istat », 2009, 3. 20«Annuario statistico italiano», 1857-58, p. 506.
21 «Annuario statistico italiano», 1864, pp. 48-49: «rispetto al numero degli abitanti, [il comune] in
Lombardia, a cavarne le città e le borgate di poco passa il numero medio di 1000 dove in Toscana e in Romagna è sette volte maggiore: e v’ha comuni rurali in Toscana che fanno tanto popolo, quanto una gran città. Maggiore la sproporzione del territorio comunale. In Lombardia la media estensione d’un comune non giugne a 10 chilometri quadrati; in Toscana è poco lontana dai 100: cotalché il comune toscano potrebbesi, per conto della popolazione e del territorio, assomigliare all’antico distretto censuario della Lombardia e al mandamento del vecchio Piemonte».
22L. Galeotti, La prima legislatura del Regno d’Italia. Studi e ricordi, Firenze, 1866, p. 339: «Infatti fra i
7720 comuni nei quali dividesi il Regno d’Italia, vi è una sproporzione grandissima rispetto alla loro entità di superficie, di popolazione e di forze economiche, e questa sproporzione che si osserva principalmente nelle province settentrionali, non è di lieve impaccio ogni qualvolta si tratti di leggi e di riforme amministrative, nel
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Anche a livello sovracomunale, la maglia amministrativa, vale a dire il reticolo provinciale, non poteva non registrare la medesima grande varietà di situazioni, conseguenza della filosofia e delle circostanze che avevano guidato il processo di unificazione politica dello Stato unitario e il disegno di compartimentazione amministrativa. Anche in questo caso, seguendo Correnti e Maestri, si era trattato di una ‘piemontesizzazione’: invece di cancellare le «antiche provinciuzze sarde», «s’inventarono quei corpi senza nervi e senza vita che sono i circondarii», i quali erano inseriti però, dopo la riforma carloalbertina, all’interno di «sopraprovincie» (lettere patenti del 25 agosto 1842) che prendevano il nome di divisioni e che ora, con la legge Rattazzi, venivano a sparire. Con il risultato che, invece di seguire un disegno generale, «la membrificazione territo- riale» del nuovo regno rimase quella dell’«antico regnetto delle cinquanta provincie» e il resto del territorio nazionale si trovò diviso in 59 province, «delle quali ve n’ha che sono, come Porto Maurizio e Massa, toppe e rapezzi; o distretti urbani, come Livorno; o poco men che regioni come Torino, Genova, Umbria, Basilicata».23
Stigmatizzando ancora l’assenza di un disegno unitario e ispirato a criteri medita- ti e omogenei, che per Correnti non potevano non avere base topografica, così si con- cludeva:
Se la provincia (e perché non diremo compartimento, che è voce toscana, già in uso, e per etimologia e suono esprimente insieme divisione e congiungimento?) non ha ad essere che l’antico municipio col suo agro, allora non basterà forse raddoppiare il numero delle nostre articolazioni; se invece si vuol costituire un consorzio di grandi interessi topografici, allora converrà restringersi a meno d’una trentina. Ma ad ogni modo bisognerà risolversi. Perché dalla sconcordanza ne’ criterii che condussero al- la riforma o alla conservazione delle circoscrizioni territoriali ne venne ad ogni parte dell’Amministrazione un disagio grandissimo; e un disagio più grande ai cittadini i quali non trovano chi li possa scorgere sicuramente in codesto viluppo di partizioni ammattassate e accavallate senza fermo disegno.24
Sempre restando al livello sovracomunale, la partizione che è stata fatta oggetto di maggiore attenzione sia da parte della storiografia, come della geografia e della geogra- fia amministrativa in particolare, è stata certamente quella regionale; attenzione favorita sicuramente dalla successiva introduzione nella carta costituzionale repubblicana delle regioni come livello di governo tra le province e lo Stato. Ma anche per quanto riguarda la regione intesa come partizione amministrativa, esce confermato il dilemma tra forza della tradizione e incapacità di gestire e governare, tenendo il passo delle trasformazio- ni economiche, sociali, materiali, gli ambiti territoriali. Come ha esemplarmente dimo- strato Lucio Gambi, l’«equivoco tra compartimenti statistici e regioni costituzionali», stando al titolo di un suo notissimo saggio, ha caratterizzato tutta la storia di questa par- tizione territoriale finendo con il riverberarsi anche sulla storia dell’istituto. Il fatto che sistema specialmente fra noi prevalso di volere una legge comunale unica, che, senza distinzione alcuna fra Comuni e Comuni, vuole applicare a tutti le identiche disposizioni».
23 «Annuario statistico italiano», 1864, p. 44-45. 24 «Annuario statistico italiano», 1864, p. 45-46.
Territorio e amministrazione 33 da Pietro Maestri ad oggi non si sia ritenuto (o non si sia potuto) di intervenire sulla circoscrizione territoriale regionale suona come conferma della difficoltà di sciogliere l’innata ambivalenza del dato territoriale, funzionale-gestionale e/o identitario- comunitaria. Le due dinamiche, distinte e contraddittorie, del ‘regionalismo’ e della ‘regionalizzazione’, su cui si è soffermato Gambi e non solo, ne sono la prova.25
Le critiche più convinte e preoccupate alla nuova compartimentazione territoriale dell’Italia unita, negli interventi coevi che utilizzo, sono rivolte però ancor più che all’assenza di un disegno organico, al groviglio delle circoscrizioni che si era venuto a creare, alla non corrispondenza tra di esse, al ‘labirinto territoriale’ prodottosi nei diver- si rami dell’amministrazione dello Stato; quasi che
ogni ministro ha affettata l’Italia a suo uso; e che perciò tante vorrebbero essere le topografie amministrative, quanti sono i ministeri: e ancora non basterebbe, dacché il ministero, per esempio, delle Finanze, ha diviso il regno in cinque regioni pel de- bito pubblico, in sei per le consulte legali del contenzioso, in quattordici pei catasti, in diciotto per le Direzioni del Tesoro, in ventisette per le direzioni delle gabelle, in cinquanta per la direzione del Demanio: e i sottocompartimenti di codeste partizioni sono anch’essi diversi e s’intralciano e s’intersecano variamente.26
Sulla medesima lunghezza d’onda, le osservazioni di Leopoldo Galeotti, che pure non si nascondeva la delicatezza e la difficoltà di rimaneggiare le circoscrizioni amministra- tive, nel suo studio sulla prima legislatura (che è poi l’VIII) del Regno d’Italia:
Le circoscrizioni territoriali, nell’ordine giudiziario, amministrativo e finanziario, non corrispondono punto fra loro, e per tacere degli ordini finanziarii basti il notare, che mentre agli effetti amministrativi le cinquantanove province del Regno sono di- vise in 193 circondarii, e 1597 mandamenti, agli effetti giudiziarii invece sono divise in 142 circondarii, e 1686 mandamenti. Oltre a ciò intendesi agevolmente, che la formazione del Regno abbia fatto scuoprire non pochi inconvenienti nelle circoscri- zioni antiche scomparse una volta le barriere che dividevano le popolazioni destinate dalla natura a vivere insieme e che hanno comunanza d’interessi.27
Le sintetiche riflessioni proposte abbisognano di ben altri approfondimenti, ma sono comunque sufficienti a confermare da un lato l’assenza di un disegno organico nel trac- ciare i confini delle circoscrizioni amministrative, finanziarie, giudiziarie e, dall’altro, il groviglio e la confusione di ambiti territoriali che si registra alla nascita dello Stato uni- tario e che sarà destinato a perpetuarsi nella storia successiva del Paese; e rivelano al- tresì l’incapacità della classe dirigente liberale di sciogliere il nodo tra peso della tradi- zione e nuovi bisogni dello Stato unitario e della società nazionale in costruzione, per
25 Sulla divisione regionale, oltre ai lavori citati di Gambi, si veda almeno il saggio risalente ma ancora fon-
damentale di Olinto Marinelli, al quale si deve il termine «geografia amministrativa», La divisione dell’Italia
in regioni e provincie con particolare riguardo alle Venezie, Firenze, 1923 (estratto da «L’Universo» IV, n.
11-12); e quello recente di A. Treves, I confini non pensati: un aspetto della questione regionale in Italia, «Acme. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano», 2004, fasc. II, pp. 243-264.
26 «Annuario statistico italiano», 1864, p. 46. Cfr. anche sul punto C. Norsa, Sul compartimento territoriale. 27 Galeotti, La prima legislatura, p. 338.
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cui alla fine è la prima, la tradizione degli stati preunitari, marginalmente modificata o adattata, a determinare il riassetto del nuovo Stato, trascinando con sé tutta una serie di contraddizioni che finiranno col condizionare pesantemente la storia successiva dello Stato unitario. Il compartimento territoriale, vale a dire la dimensione spaziale dell’azione amministrativa, non è solo infatti una cornice, un quadro di riferimento da utilizzare per i fini più diversi, ma piuttosto la struttura profonda entro cui non solo prendono forma i fatti sociali ed economici ma si realizza la vita delle istituzioni e il senso di appartenenza civica, territoriale, nazionale dei cittadini. Per tale ragione lo stu- dio delle unità amministrative di base come delle circoscrizioni intermedie e delle grandi divisioni territoriali, va condotto sul lungo periodo, tematizzando le continuità di fondo come anche i mutamenti e le trasformazioni.28