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i comuni contro l’«omnibus» finanziario di Sella

3. La mobilitazione dei comun

Fu dapprima il Comune di Genova, guidato dal sindaco-deputato Andrea Podestà, a presentare petizioni a entrambe le camere per cercare di sensibilizzare il parlamento e il governo alle difficili situazioni economiche degli enti locali. Il 30 marzo, nel rispetto della procedura, il senatore Tommaso Manzoni, segretario della camera regia, sintetiz- zava con queste parole la petizione registrata al n. 4305:

Il Sindaco del Municipio di Genova fa istanza perché fra i provvedimenti annunziati dal Ministro delle Finanze per il pareggio del Bilancio, venga respinto come danno- so e ingiusto quello di togliere ai Comuni e alle Province la facoltà di sovraimporre centesimi addizionali sulla tassa della ricchezza mobile.24

20 Lo hanno rilevato M. Mancini e U. Galeotti, Norme ed usi del Parlamento italiano, Roma, 1887, p. 478. 21 L’invio agli archivi non si differenziò, nei fatti, dal passaggio all’ordine del giorno in quanto le petizioni

non lasciavano gli uffici nemmeno nel caso di presentazione di progetti di legge da esse ispirati. Cfr. Mancini e Galeotti, Norme ed usi del Parlamento italiano, pp. 478-479.

22 Per l’iter delle petizioni alle camere si veda Racioppi e Brunelli, Nozione, fondamento, importanza odierna del diritto di petizione, pp. 135 ss.

23 Così F. Racioppi e I. Brunelli, Il divieto delle petizioni presentate in persona ed in nome collettivo, in Commento allo Statuto del Regno, pp. 150-151.

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Analogamente il giorno successivo, esponendo il sunto delle petizioni, il segretario del- la Camera dei deputati, Luigi Gravina, riferiva di quella iscritta al numero 12.871:

Il municipio di Genova rassegna alcune considerazioni per indurre il Parlamento a non approvare i provvedimenti proposti dal ministro delle finanze, e relativi ad avo- care allo Stato i centesimi addizionali e all’aumento di un decimo dell’attuale tariffa del dazio di consumo governativo.25

Poiché il progetto di legge era stato presentato alla Camera, questa petizione – come detto – avrebbe dovuto essere trasmessa alla commissione incaricata di riferirne. In realtà, solo il 3 aprile, su proposta di Marco Minghetti, l’esame delle misure per il pa- reggio del bilancio era demandato a 4 commissioni, appositamente elette. Alle prime tre, ciascuna delle quali composta da 7 membri, si attribuiva rispettivamente il vaglio dei progetti relativi all’esercito (allegato A), alla pubblica istruzione (allegato C), all’unificazione legislativa, all’amministrazione della giustizia e alle tariffe giudiziarie (allegati D e P). La quarta commissione, di 14 membri, e perciò detta ‘dei Quattordici’, doveva studiare invece i provvedimenti finanziari contenuti nei rimanenti allegati.26

A quest’ultimo gruppo di lavoro, autorevolmente composto ma non accreditato di un largo consenso, per l’astensione dal voto di parecchi deputati, che pure avevano avuto «cura […] di far sì che l’astensione non nuocesse alla legittima efficacia del procedimen- to parlamentare»,27 fu mandata d’ufficio la petizione del Municipio di Genova.

Nel frattempo, la città ligure non aveva mancato di divulgare la notizia della “suppli- ca” presentata al parlamento, come si ricava dalla sollecitazione dell’assessore genovese Giuseppe Morro al sindaco di Milano, Giulio Belinzaghi, affinché si unisse alla prote- sta.28 Ma la rete orizzontale dei municipi fu soprattutto attivata dal Comune di Parma.

Dopo che la propria giunta ebbe deliberato d’urgenza una petizione, ne furono infatti di- stribuite numerose copie ai sindaci, invitandoli a utilizzare lo stesso strumento per «accre- scere autorità alle cose in essa dimostrate», ossia «come alcuni dei provvedimenti pel pa- reggio proposti dal Ministro delle Finanze [fossero] contrari ai principii amministrativi e altamente pregiudizievoli agli interessi comunali».29

Quali fossero tali provvedimenti era chiarito nelle prime righe della petizione: Ripartire le spese d’interesse generale e corrispondenti a funzioni proprie dello Sta- to, non nel Bilancio di questo e sulla generalità dei cittadini, ma nei Bilanci provin-

25 Atti Camera, tornata 31 marzo, p. 491.

26 Furono eletti Isacco Maurogonato Pesaro, Marco Minghetti, Ubaldino Peruzzi, Carlo Fenzi, Bertrando

Spaventa, Eduardo D’Amico, Massimiliano Martinelli, Casimiro Ara, Desiderato Chiaves, Giacomo Dina, Angelo Messedaglia (dimissionario, essendo stato eletto anche in altra commissione, poi sostituito da Luigi Nervo), Giuseppe Finzi, Francesco De Blasiis e Antonio Di Rudinì.

27 Lo avrebbe rimarcato il commissario Chiaves nella Relazione generale in Atti Camera, tornata 19 maggio,

p. 1424.

28 La nota, datata 30 marzo 1870, è conservata in Archivio di deposito del Comune di Milano [d’ora in avanti

Adcmi], Finanze e beni comunali, b. 75, fasc. 9. Un elenco delle petizioni (non solo in nome collettivo), comunicate alla commissione dei Quattordici fino al 13 marzo [recte maggio] è in Atti Camera, pp. 1485-1486.

29 Una copia della nota ciclostilata, datata Parma, 12 aprile 1870, f.ta dall’assessore anziano A. Balestra, è in

Le petizioni in nome collettivo 111 ciali e comunali a carico delle località in cui hanno sede i relativi servigi, – togliere ai Comuni, per darle allo Stato, imposte di natura essenzialmente locale; – cangiare ad ogni istante e sempre in danno delle locali Amministrazioni le norme amministra- tive e finanziarie che ne regolano le attribuzioni, le spese, i proventi.30

Critiche simili erano già state sollevate dal Comune di Parma alcuni anni prima, quan- do con una petizione, datata 12 aprile 1867, aveva denunciato all’assemblea elettiva il processo di erosione statale di imposte di natura locale e di addossamento ai comuni di spese di interesse generale. In quell’occasione i deputati avevano rinviato la petizione al neo-ministro delle Finanze, Francesco Ferrara, e agli archivi, in attesa di futuri pro- getti di legge. «Ma la nostra parola e il vostro rinvio a nulla valsero», si leggeva fonda- tamente nella petizione del 1870.31

L’eco che, nella primavera di quell’anno, le prime rimostranze comunali ebbero sulla stampa, contribuì ad alimentare il fenomeno imitativo. Esso riguardò innanzi tutto – come già accennato – le petizioni presentate da Parma e, in misura minore, da Milano;32 forse

non a caso le due città i cui sindaci, un trentennio più tardi, avrebbero guidato la neo- istituita Associazione nazionale dei comuni italiani. In particolare la giunta ambrosiana, ricordando come i municipi fossero «fattori necessari della prosperità della nazione», esortava il governo a non sacrificare gli enti locali in nome di un rapido pareggio del bi- lancio statale e a

contemperare le giuste esigenze dello Stato (alle quali – si avvertiva – nessun Co- mune è più disposto a fare in avvenire, come ha fatto in addietro, ogni compatibile sagrifizio) colle ineluttabili necessità del Comune, che non sono meno urgenti, né meno indispensabili, e che cospirano esse pure allo scopo finale della prosperità e grandezza della Nazione.33

Nei mesi successivi, tra le petizioni compendiate alla Camera in apertura di ogni sedu- ta, non mancò quasi mai quella di un sindaco, di una giunta, di un consiglio comunale che avversavano i provvedimenti presentati da Sella.

La mobilitazione interessò inizialmente soprattutto le città medio-grandi settentriona- li: Genova, Alessandria, Parma, Udine, Vicenza, Novara, Milano, Venezia, Cremona, Pa- dova, Treviso e Belluno; ma anche comuni più piccoli e/o di altre aree geografiche, basti ricordare Acireale (Catania), Palmanova (Udine), Pontremoli (Massa) o Palermo.

In breve, poi, il fenomeno assunse portata nazionale e si caratterizzò per l’attivazione di diverse reti. Sottoscrissero infatti una petizione 24 sindaci della provincia di Parma, i

30 Cfr. Comune di Parma, Petizione al Parlamento intorno ai provvedimenti pel pareggio proposti dal ministro delle finanze deliberata d’urgenza dalla Giunta municipale il 9 Aprile 1870, Parma, 1870, p. 3. La si

veda in Ascd, Incarti commissioni, b. 117.

31 Comune di Parma, Petizione al Parlamento, p. 3.

32 Così, ad esempio, dopo che il quotidiano «La Lombardia» del 19 aprile ebbe pubblicato la notizia della

petizione deliberata dalla giunta municipale di Milano, il sindaco di Lecco chiese di averne una copia per seguirne l’esempio e alla petizione milanese si richiamarono esplicitamente, tra le altre, quelle di Mantova, Padova e Trani. Si veda la nota datata Lecco, 20 aprile 1870, in Adcmi, Finanze e beni comunali, b. 75, fasc. 9.

33 Ascd, Incarti commissioni, b. 115, petizione a stampa della giunta municipale di Milano, s.d. [9 aprile

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delegati dei sindaci dei comuni del circondario di Vercelli e l’associazione dei sindaci del distretto di Oderzo (Treviso). Inoltre, la petizione del municipio di Montagnana, in pro- vincia di Padova, fu «avvalorata dalle adesioni di 147 municipi, di cui 25 capoluoghi di distretto e 86 di mandamento».34

Alla protesta non si unirono, invece, Firenze e Torino. Potrebbero avervi influito ra- gioni legate al loro status di “capitali” o, presumibilmente, la vicinanza tra élites politiche locali e nazionale, basti ricordare che il governo ebbe il sostegno della destra piemontese e di gran parte della consorteria toscana.

Certo è, tuttavia, che i due comuni avevano nella commissione dei Quattordici alme- no due influenti sostenitori: Ubaldino Peruzzi,35 sindaco di Firenze, e Domenico Chiaves,

consigliere comunale di Torino.

Tornando agli aspetti procedurali, va osservato che, in aula, spesso i deputati non chiesero di riferire con urgenza sulle petizioni. A esporsi furono soprattutto autorevoli esponenti di sinistra. Parlarono: Urbano Rattazzi per Alessandria, Mauro Macchi per Cremona, Benedetto Cairoli per Pavia, Giovanni Nicotera per Salerno, Francesco De Sanctis per Serra-Capriola (Foggia), Giuseppe Guerzoni per Francavilla Fontana (Brindi- si), Giorgio Asproni per Cagliari, Bellino Briganti Bellini per Osimo (Ancona), Luigi Minervini per Eboli (Salerno), Ernesto Di Sambuy per Chieri (Torino), Antonio Mordini per Lucca e Filippo Mariotti per Pioraco (Macerata).36

Sul mancato ricorso a tale pratica poté pesare la consapevolezza che le petizioni sa- rebbero state comunque trasmesse alla commissione incaricata di riferire sui provvedi- menti finanziari e l’irrilevanza, a livello procedurale, della concessione dell’urgenza, che infatti – come accennato – era diventata una mera formalità e veniva solitamente accorda- ta senza discussione.

Non è possibile, in questa sede, dilungarsi sui contenuti, sulle argomentazioni, sui firmatari o sul linguaggio giuridico e burocratico delle petizioni, ma è certo che esse mostrano il tentativo degli enti locali di trovare nella Camera dei deputati un’arena di confronto e di dialogo sull’omnibus Sella che – per riprendere le drammatiche parole pronunciate da Cairoli, raccomandando la petizione di Pavia – «mira[va] al pareggio colla rovina dei comuni, mentre invece dalle loro condizioni di prosperità o di deca- dimento dipend[eva]no quelle generali dello Stato».37

34 Atti Camera, rispettivamente pp. 1031, 1331, 1917 e 1953.

35 Su Peruzzi, sindaco dal 1868 al 1878, si veda P. Causarano, Il Comune patrizio: i notabili moderati fiorentini alla prova del governo locale, in E. Colombo (a cura di), I sindaci del re 1859-1889, pp. 119 ss.

Nella commissione sedevano anche ex sindaci o consiglieri comunali; basti accennare che Martinelli era stato gonfaloniere di San Giovanni in Persiceto e consigliere comunale a Bologna, Fenzi consigliere comunale a Firenze e Di Rudinì sindaco di Palermo dal 1863 al 1866. Sulla sua sindacatura si veda E.G. Faraci, I sindaci

di Palermo tra moderatismo e regionalismo, in Colombo (a cura di), I sindaci del re 1859-1889, pp. 213 ss. 36 Cfr. Atti Camera, rispettivamente pp. 591 (Rattazzi chiese l’urgenza per le petizioni presentate prima dalla

giunta e in seguito dal consiglio comunale di Alessandria, quest’ultima Atti Camera, p. 1558), 943, 1249, 1279, 1368, 1525, 1829, 1933, 1969 (Chieri e Lucca), 2033 e 2197.

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