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Democrazia, rappresentanza e cittadinanza politica femminile: le consultric

3. Chi erano le consultrici?

Oltre alle azioniste, facevano parte di questo primo nucleo di donne politiche italiane figure che, come la Gobetti e la Musu, erano piuttosto «conosciute nel mondo politico, dirigenti la cui esperienza – sottolinea Patrizia Gabrielli – era più che consolidata».15 Si

erano tutte distinte per l’impegno antifascista e di combattenti partigiane e, nell’immediato dopoguerra, divenute quadri dei rispettivi partiti nonché appassionate animatrici dell’Udi o dei movimenti femminili cattolici, si erano mobilitate nella difesa dei diritti civili e politici delle donne, decise a promuovere la partecipazione femminile alla vita politica «non soltanto come elettrici ma come elette».16 Dopo quella «guerra totale»17 che le

aveva viste soffrire e rischiare la vita al pari degli uomini, niente poteva essere più co- me prima, nessuna arrendevolezza poteva consentirsi, nemmeno di fronte ai reduci che, come nel ’19,18 accusavano le donne di occupare posti di lavoro che dovevano essere

‘restituiti’ agli uomini e che avrebbero voluto un massiccio rientro femminile in fami- glia, affinché, obbedienti, tornassero ad assumere il loro ruolo ‘naturale’.19

Le altre consultrici, designate dai rispettivi partiti, erano le democristiane Laura Bianchini e Angela Maria Guidi Cingolani, le socialiste Clementina Caligaris Velletri, Jole Tagliacozzo Lombardi e Claudia Maffioli, la liberale Virginia Quarello Minoletti e le comuniste Gisella Floreanini della Porta, Ofelia Garoia Antonelli, Teresa Noce Lon- go, Rina Picolato ed Elettra Pollastrini.20 Era comunista anche Adele Bei Ciufoli, desi-

gnata, però, non dal partito ma dalla Cgil. Demolaburisti, monarchici e qualunquisti, invece, non avevano proposto alcuna designazione femminile per la Consulta. Anche il Partito d’azione, che oltretutto poteva contare su un personale politico femminile di alto spessore culturale, attivissimo in clandestinità e durante la Resistenza, si era in fondo limitato a designarne una soltanto, esprimendo, come i liberali, sostanziale sfiducia e disinteresse verso un’attiva partecipazione delle donne alla vita politica.21

Se su alcune consultrici – specie su quelle che poi furono elette alla Costituente – si è scritto molto, sia per ricordarne l’azione partigiana che per il successivo impegno po- litico, di altre si hanno scarne notizie. Vale, comunque, per tutte una certa indifferenza verso la loro attività in Consulta nazionale, da parte sia della stampa del tempo che del- la storiografia.

15 Gabrielli, Il 1946, le donne, la Repubblica, p. 228.

16 Roma, Archivio Centrale Udi, Cronologico, b. 9, fasc. 89, Commissione elettorale, citato da Gabrielli, Il 1946, le donne, la Repubblica, p. 118.

17 Così Gabrielli, Il 1946, le donne, p. 43.

18 Cfr. G. Melis, Introduzione, in L’altra metà dell’impiego. La storia delle donne nell’amministrazione, a cu-

ra di C. Giorgi, G. Melis, A. Varni, Bologna, 2005, pp. 7-11.

19 Una polemica protrattasi nel periodo costituente e anche oltre, fino alla metà degli anni Cinquanta; cfr.

G. Focardi, «Guerra alle impiegate!». Il dibattito nelle commissioni nel periodo della Costituente, in L’altra

metà dell’impiego, pp. 119-142.

20 Ho elencato in modo uniforme le consultrici anteponendo, per le coniugate, il loro cognome a quello del

marito. In realtà, nei registri e nella documentazione ufficiale della Consulta le coniugate erano indicate diversamente, in qualche caso omettendo il nome da sposate (così Clementina Caligaris, Ofelia Garoia, Te- resa Noce e Adele Bei), in altri anteponendolo (Angela Maria Cingolani Guidi e Virginia Minoletti Qua- rello), in altri ancora usando solo quello del marito e omettendo il cognome di famiglia (Jole Lombardi e Gisella Della Porta).

21 I rapporti (e i contrasti) tra le azioniste e gli uomini del loro partito meriterebbero maggiore attenzione.

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In realtà, la curiosità destata da quelle prime ‘signore della politica’ nella seduta di insediamento della Consulta era stata pari al novum che esse rappresentavano nella sto- ria parlamentare italiana:22 «la novità delle novità», scriveva Clelia d’Inzillo sulle pagi-

ne di «Azione Femminile»,23 il periodico del Movimento femminile della Dc. E tuttavia

quella presenza, politicamente significativa, avrebbe finito per assumere la coloritura della nota di costume. La Gabrielli lo sottolinea riprendendo alcuni articoli di cronaca che, in più d’un caso, indulgevano in commenti futili sull’eleganza delle consultrici,24

senza curarsi, invece, di essere approssimativi persino sul loro numero: «una quindici- na» secondo «L’Illustrazione italiana»,25 «più di 12» per il cronista de «La Domenica

del Corriere», il quale peraltro, quando si era già prossimi alla fine dei lavori, non tro- vava di meglio da scrivere sulle consultrici che le seguenti note:

Per la prima volta nella storia d’Italia, anche le donne si siedono oggi sugli scanni di Montecitorio […]. Dove sono le consultrici comuniste? – Eccole laggiù tutt’e cin- que. – E quell’elegante signora che sta per uscire dall’aula? – È la signora Minoletti, del partito liberale: È la consultrice più elegante. Si figuri che cambia abito per ogni seduta. Tutto l’opposto della sua collega comunista Picolato, che resta fedele alla sua camicetta rossa dal giorno dell’inaugurazione.26

Le consultrici vivevano, invece, sin dall’inizio quell’esperienza con grande serietà e cogliendone gli oneri più che gli onori o la notorietà che ne sarebbe derivata. L’articolo sulla seduta inaugurale della Consulta pubblicato da Jole Lombardi su «Noi Donne» ne è prova, declinato com’è sul versante delle responsabilità. La consultrice, nel ricostruire il clima di quella giornata, restituiva innanzitutto ai suoi lettori l’ansia, l’incertezza, il timore avvertito da lei e da altri consultori riguardo alla capacità di realizzare i risultati che il paese si aspettava da loro:

Avevamo temuto – scriveva – che il dibattito avrebbe acuito i dissensi fra i rappre- sentanti delle più diverse correnti, che avrebbe accentuato vieppiù i lati negativi del- la vita politica attuale piuttosto che valorizzarne quelli positivi, che avrebbe raffor- zato la sfiducia che affiora purtroppo qua e là nell’animo di molti. Ma nulla di tutto questo è avvenuto, che anzi i vari discorsi si sono succeduti in atmosfera di serena cri- tica e di correttezza.27

Un approccio rigoroso, di per sé utile a differenziarle. Proviamo adesso a conoscerle meglio.

Si è detto che erano antifasciste militanti, partigiane o dirigenti di partito. Dieci di loro erano dell’Udi28 e quasi tutte avevano vissuto le ansie della clandestinità, le perse-

cuzioni del regime o le drammatiche esperienze della deportazione, dell’esilio o del

22 Sull’interesse della stampa, diffusamente, anche Galeotti, Storia del voto, pp. 182-183. 23 C. d’Inzillo, Donne alla Consulta, «Azione Femminile» del 12 ottobre 1945. 24 Gabrielli, Il 1946, le donne, la Repubblica, pp. 226-229.

25 G.B., La Consulta, «L’Illustrazione italiana»,7 ottobre 1945. 26 Il Cronista, La Consulta, «La Domenica del Corriere», 3 marzo 1946. 27 J. Lombardi, La Consulta, «Noi Donne», n. 5, 15 ottobre 1945. 28 Rossi-Doria, Diventare cittadine, p. 95.

Democrazia, rappresentanza e cittadinanza politica femminile 95 carcere. Il loro ingresso in Consulta era dipeso dall’impegno nella Resistenza, che era stata vissuta in molti casi come attestazione dell’«inserimento pieno, cosciente, attivo della donna nella vita politica».29

Proprio perché selezionate su queste basi, le tredici consultrici erano, a differenza dei consultori,30 tutte del centro-nord. Unica eccezione: la napoletana Jole Tagliacozzo

Lombardi, che comunque al momento della nomina risiedeva a Roma.

La loro età media era di 42 anni; agli estremi: la sessantatreenne Caligaris e la ven- tisettenne Tagliacozzo. Solo la Bianchini e le due comuniste Picolato e Pollastrini erano nubili, mentre le altre erano sposate e con figli (la Tagliacozzo era incinta di un bimbo che sarebbe nato nel periodo di attività della Consulta, il 24 dicembre 1945); la Guidi, la Noce e la Bei facevano ingresso nell’Aula di Montecitorio insieme ai rispettivi mari- ti, i consultori Mario Cingolani, Luigi Longo e Domenico Ciufoli, ma anche le altre – di sicuro la Caligaris, la Prospero, la Tagliacozzo e la Quarello – avevano vissuto con i mariti sodalizi, oltre che sentimentali, di forte condivisione politica. Era in famiglia, «accanto al padre o al marito»31 oppure al fratello, che le future consultrici avevano ma-

turato sentimenti antifascisti e si erano nutrite di cultura e formazione politica.

Il livello d’istruzione era mediamente superiore a quello delle donne dell’epoca:32

su tredici, sei erano laureate (tutte in facoltà umanistiche),33 tre diplomate (la Floreanini

era musicista, diplomata al Conservatorio di Milano, la Caligaris aveva conseguito il diploma di insegnante elementare e la Pollastrini la licenza tecnica) e solo quattro (le comuniste e sindacaliste Bei, Garoia, Noce e Picolato) non avevano titolo di studio su- periore.

A eccezione della Guidi, che era ispettrice del lavoro, le laureate erano insegnanti presso istituti medi e superiori. Anche la Caligaris aveva alle sue spalle una lunga espe- rienza di maestra elementare svolta nell’Agro pontino e la Floreanini era insegnante di musica. Le comuniste Garoia e Pollastrini, pur registrate agli albi della Consulta come ‘impiegate private’,34 erano operaie, mentre la Bei era salariata agricola, la Picolato era

sarta e la Noce, formatasi alla scuola del partito, oltre ad aver svolto un’intensa attività sindacale, era pubblicista e aveva diretto più di una testata giornalistica.

29 E. Conci, Risultati politici della Resistenza, in Donne cristiane nella Resistenza. Testimonianze e documen- tazioni sul contributo femminile alla lotta partigiana in Lombardia, a cura del Movimento femminile della

Democrazia Cristiana di Milano, Milano 1955, p. 107, ricordato da A. Rossi-Doria, L’avvento del voto alle

donne in Italia, in M.A. Selvaggio (a cura di), Desiderio e diritto di cittadinanza. Le italiane e il voto. ‘A cin- quant’anni dal voto alle cittadine italiane: valore e significati del suffragismo nella tradizione politica fem- minile’. Atti del Convegno, Napoli 6-7 dicembre 1995, Palazzo Serra di Cassano, prefazione di A. Finocchia-

ro, Palermo, 1997, p. 35.

30 Tra i consultori, invece, i meridionali erano molti (circa 160), sia tra quanti erano stati designati dai partiti

politici, sia tra coloro che erano stati scelti tra gli ex parlamentari antifascisti e fra gli appartenenti a categorie e organizzazioni sindacali, professionali, culturali, di reduci, mutilati ecc. Particolarmente numerosi erano i siciliani e i campani.

31 Così Dau Novelli, Introduzione, p. XXV, per le costituenti. Considerazione valida anche per le consultrici. 32 Sempre a proposito delle costituenti, la Dau Novelli fa la stessa osservazione, mettendo in evidenza che

«nel decennio 1941-51 si contano 5.100 laureate l’anno, che sono decisamente una minoranza rispetto alle 141 mila ragazze che finiscono la scuola superiore» (Introduzione, p. XXV).

33 La Bianchini era laureata in Pedagogia e Filosofia, la Maffioli, la Prospero e la Quarello in Filosofia, la Ta-

gliacozzo in Lettere e la Guidi in Lingue e letterature slave (all’Orientale di Napoli).

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Donne di condizione sociale e con esperienze di studio e di lavoro diverse, che si erano però riconosciute nei modelli identitari della Resistenza e avevano trovato in quel nuovo protagonismo femminile unità d’intenti e motivi, se non di trasversalismo, cer- tamente di sintonia, rafforzata dal condiviso impegno per la ricostruzione e pacificazio- ne del Paese e dalle battaglie di emancipazione femminile che, dopo la conquista dei di- ritti politici, era forse apparsa una strada in discesa.

Alcune di loro avevano ricevuto maggiori riconoscimenti politico-istituzionali pri-

ma della conquista del voto che dopo, con il ritorno alla ‘normalità’ che in qualche caso

significherà, dopo il picco di protagonismo coincidente con la nomina alla Consulta Nazionale, ritorno al privato o all’impegno civile, ma fuori dai ‘palazzi’ e dai centri di potere. È quanto avviene, ad esempio, alla vedova Gobetti, vice-sindaca di Torino tra il 25 aprile 1945 e il 10 novembre 1946, o alla socialista Caligaris, assessora prima anco- ra che consultrice, le cui carriere politiche si sarebbero in seguito rivestite di invisibilità istituzionale. Anche la parabola politica della mitica ‘partigiana garibaldina’ Gisella Floreanini – nota come la prima ‘ministra’ italiana (nel governo della Repubblica della Val d’Ossola) – avrebbe subìto una brusca flessione rispetto alle sue potenzialità. Un divario quello «tra il forte protagonismo femminile durante la guerra, la Resistenza e il periodo immediatamente successivo alla liberazione, e il suo attenuarsi e scomparire in seguito»35 sul quale la storiografia continua a interrogarsi.

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