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modalità di composizione dei consigli comunali in Italia dalla Rivoluzione alla Restaurazione

3. La stagione napoleonica

L’avvento di Napoleone al potere, dagli esordi consolari alla stabilizzazione imperiale, si accompagna con una netta inversione di tendenza nella disciplina giuridica dei criteri di composizione degli enti locali. L’ideologia gerarchica, centralistica e autoritaria che con-

Elezione, nomina, cooptazione e sorteggio 5 nota il nuovo regime politico non può non riverberarsi sugli apparati statali e sulle struttu- re amministrative. Già la Costituzione del 1799 non soltanto introduce, su suggerimento di Sièyes, le c.d. ‘liste di confidenza’ da utilizzare per la cernita degli amministratori di- partimentali e nazionali, ma conferisce al I Console, e solo a lui, il compito di nominare quelli comunali. L’elettività conquistata all’epoca della Rivoluzione – più precisamente, già a partire dal 1789 – viene dunque brutalmente cancellata a favore della secca designa- zione dall’alto. La grande legge organica del 28 piovoso a. VIII (17 febbraio 1800), a sua volta, modifica, di poco, tale normativa attribuendo la nomina dei consiglieri comunali al prefetto che, del sovrano, tramite il ministro dell’interno, è la longa manus, il fedele ese- cutore della volontà governativa che da esso continuamente promana alla velocità del ‘fluido elettrico’. Una parziale correzione di questo rigido sistema di copertura delle cari- che si ha poi con la Costituzione dell’anno X (1802) allorché si opera una distinzione fra i comuni che hanno di più, e quelli che hanno di meno, di 5.000 abitanti. Nella prima ipo- tesi la scelta prefettizia viene ‘ammorbidita’ e, in qualche misura, condizionata, attraverso il diaframma della ‘dupla’ indicata dall’assemblea elettorale di cantone. In sostanza, la selezione del rappresentante dell’esecutivo deve avvenire all’interno di una rosa di nomi, che rientrino fra i 100 maggiori contribuenti del cantone stesso (o, dal 1806, della Città), in numero doppio rispetto a quello dei posti che si rendono vacanti. Il Consiglio si rinno- va infatti per metà ogni 10 anni. È appena il caso di notare che questo abnorme prolun- gamento della ‘legislatura’ comunale rispondeva a una visione politica sicuramente anti- democratica proprio perché impediva, o meglio, procrastinava, il consueto, salutare e fi- siologico ricambio ravvicinato dei rappresentanti dei cittadini nella conduzione del go- verno locale. Solo nei comuni più piccoli – ma, sul punto, permane qualche incertezza in- terpretativa fra gli stessi storici francesi delle istituzioni – il principio elettivo veniva pre- servato in quanto la volontà espressa dall’assemblea cantonale, formata da tutti gli iscritti in una ‘lista di notabilità’, non necessitava di alcun intervento ‘gerarchico’. Un modello, quello sopra descritto, destinato a durare anche dopo la caduta di Napoleone e a influen- zare, pesantemente, gli ordinamenti locali di molti Stati dell’Europa continentale, Italia compresa.

Vediamo, allora, qual è la sua ricaduta sugli assetti amministrativi che si vengono a formare presso di noi nel primo decennio dell’Ottocento. Cominciamo dal Nord e soffer- miamoci, innanzitutto, sul sistema applicato nella Repubblica italiana, al cui vertice costi- tuzionale, come risaputo, era insediato lo stesso Napoleone. E sarà proprio il Bonaparte a manifestare qualche perplessità sulla legge del 24 luglio 1802 perché un po’ troppo dif- forme da quella vigente oltralpe.5 D’altronde, il periodo repubblicano è proprio quello in

cui una (relativa) autonomia progettuale riconosciuta di fatto alle élites autoctone consen- te loro di dar vita a istituzioni originali e non passivamente ricalcate su quelle francesi. In effetti, come si è accennato, il meccanismo di composizione dei consigli locali rispondeva a una logica ‘circolare’ che non trova riscontro in Francia. Spettava infatti al Consiglio dipartimentale – interamente all’inizio, e poi in rapporto ai posti vacanti – nominare i membri dei consigli dei comuni di I e II classe, che, a loro volta, predisponevano, alla bi- sogna, delle liste ‘triple’ di eleggibili. A questo movimento discendente corrispondeva un

Piero Aimo 6

moto ascensionale: i consigli dipartimentali erano infatti eletti da tali consiglieri comunali (a maggioranza assoluta e con ‘scheda segreta’) nella proporzione di 8 membri per i co- muni con più di 50.000 abitanti, di 6, in quelli con più di 20.000, e di 4 in tutti gli altri.6

Non è facile cogliere le ragioni che inducono il legislatore repubblicano ad adottare que- sta peculiare forma di nomine ‘incrociate’: nei registri delle sedute del Consiglio legisla- tivo, nel corso delle quali il testo del progetto viene analizzato, discusso e modificato, non si trovano, purtroppo, indicazioni esplicative al riguardo.

Più fedele all’originale è, al contrario, l’ordinamento locale che entra in vigore, nel 1805, nel neo-costituito Regno italico. Secondo il decreto dell’8 giugno, la designazione dei consiglieri spetta, nei comuni di I e II classe, direttamente al re e, in quelli, di III, al prefetto. Solo l’anno successivo viene introdotto l’ormai noto meccanismo delle ‘duple’ che, tuttavia, tarderà a entrare in funzione e, in ogni caso, non vincolerà più di tanto il so- vrano, il quale, a onor del vero, avrebbe potuto respingerle. Nel 1808 il principio della nomina dall’alto dei consiglieri municipali – nel caso di specie, ‘decurionali’ – si trova accolto anche nel napoleonico Regno di Napoli; nei comuni maggiori la scelta spetta al re, su ‘terne’ predisposte dall’Intendente, mentre in quelli minori essa è delegata diretta- mente a quest’ultimo funzionario statale. Venivano così velocemente superati i sistemi adottati appena due anni prima e che si erano basati, all’inizio (legge dell’8 agosto 1806) – e per non discostarsi troppo dalla tradizione –, sulla elezione da parte dei capi-famiglia ‘in pubblico Parlamento’ e, in un secondo momento (legge del 18 ottobre 1806), sul sor- teggio entro liste preparate dall’Intendente stesso.

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