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Antropogeografia e geografia politica in Ratzel

VI. GEOPOLITICA: LA SCIENZA NATURALE DELLA POLITICA

32. Antropogeografia e geografia politica in Ratzel

Ratzel, dopo aver studiato da zoologo, trascorse sette anni lavorando come giornalista. Fu solo nel 1875, quando scelse di dimettersi dalla “Kölnische Zeitung” e di rifiutare altre offerte di lavoro nel mondo del giornalismo e dell'editoria per divenire insegnante alla Scuola Tecnica di Monaco, che cominciò a essere in tutto e per tutto un geografo1. Il suggerimento d'optare per questa nuova carriera gli era giunto da Moritz Wagner ed era motivato prima di tutto dalle opportunità lavorative che apriva. L'approdo non disinteressato di Ratzel alla geografia fu non sorprendentemente accompagnato da un interesse precipuo per la vita e, in particolare, per quella dell'uomo. L'interesse per i nuovi popoli entrati in contatto con gli Europei, soprattutto primitivi, aveva stimolato nell'Ottocento un diffuso interesse per l'etnografia. Sia Peschel sia Ratzel scrissero dei compendi in merito, entrambi intitolati Völkerkunde. Ratzel seppe però, partendo dall'approccio descrittivo dell'etnografia, sintetizzare una nuova materia antropogeografica, incentrata sulla ricerca di leggi profonde nel rapporto tra l'uomo e lo spazio. Capel sintetizza il suo grande merito nell'aver saputo passare dalla concezione etnografica a quella antropogeografica2.

Per questo, nello studiare il rapporto tra uomo e ambiente, Ratzel riteneva d'essere affatto originale. Lo scienziato tedesco asseriva ciò dall'alto della sua conoscenza della storia della geografia, che aveva approfondito poiché la riteneva l'unica scienza di cui fosse necessario studiare l'evoluzione in quanto parte di rilievo della storia dell'umanità. Le conoscenze geografiche, spiegava Ratzel, sono spesso il risultato più durevole di grandi movimenti storici e v'è uno stretto nesso tra i movimenti politici e l'incremento della cultura geografica: bisogna conoscere il terreno sul quale si è posti o si voglia avanzare e, da questo bisogno elementare, deriva la geografia. Il rapporto è ovviamente reciproco: se la diffusione dell'uomo richiede la scienza geografica, essa a sua volta dipende dall'allargarsi dell'orizzonte geografico3. Le grandi scoperte geografiche sono tali non perché qualcuno fosse giunto in un punto mai toccato prima – Ratzel era consapevole che quasi sempre v'erano stati precursori ad anticiparle – ma perché sono rimaste documentate contribuendo così alla scienza umana4. Le navigazioni dei popoli iberici ebbero il ben noto impatto storico poiché coincisero con un rinascimento scientifico e con l'invenzione della stampa, che concorse a divulgarne gli esiti: allora l'umanità era come un bambino che s'imbeve di nuove esperienze facendo progressi enormi. Ogni nuova cognizione era un seme d'energia vitale che germinava nella mente facendo crescere la scienza5.

La storia della geografia non è solo esteriore (quella della scoperta della superficie 1 H. WANKLYN, Friedrich Ratzel, cit, pp. 16-17.

2 H. CAPEL, Filosofía y ciencia en la Geografía contemporánea, cit., p. 279. 3 F. RATZEL, La terra e la vita, cit., vol. 1, pp. 1-4.

4 Ivi, p. 5. 5 Ivi, pp. 16-17.

terrestre) ma – spiegava Ratzel – anche interiore, inerente l'indagine sulle leggi che regolano i rapporti tra le parti della superficie6. Nel Medioevo, in assenza dei concetti concreti e positivi che si acquistano con l'osservazione del mondo circostante, le facoltà mentali erano occupate infruttuosamente per speculare sulle forme. L'età delle scoperte abituò le persone alle novità, rendendo più agevole pensare in maniera innovativa e facendo di quella moderna l'epoca del nuovo7. In particolare nel XVII secolo, dopo che nel precedente s'erano utilizzati i mezzi dell'Antichità per procurare nuove scoperte, s'erano chetati gli impulsi politico-economici a nuove scoperte ed era partito un rinascimento delle scienze8. La geografia scientifica, proseguiva Ratzel, era nata già quando gli antichi Greci avevano rettamente concepito la forma della Terra, ma una nuova scienza moderna s'era inaugurata nel Settecento con l'organizzazione delle cognizioni geografiche e l'introduzione dello spirito scientifico nelle esplorazioni9. Di massima importanza secondo il geografo tedesco erano stati gli sviluppi in due ambiti fondamentali per la materia. Il primo era la geologia, che inizialmente della geografia fisica faceva parte prima di rendesi autonoma come scienza della profondità: senza penetrare il processo di formazione del suolo sarebbe stato impossibile concepirne esattamente le forme; nella seconda metà dell'Ottocento autori come Peschel, Von Richtofen e Lapparent trattarono geograficamente problemi interni al dominio della geologia10. Il secondo ambito era quello delle scienze naturali, senza le quali nessuna epoca può avere una geografia fisica essendone quest'ultima un ramo11. Come naturali sottoinsiemi di botanica e zoologia sorsero la fitogeografia e la zoogeografia. Darwin (i cui capitoli sulla biogeografia Ratzel reputava tra i migliori in assoluto) rivoluzionò le idee sulla diffusione di piante e animali. Fino ad allora si erano fissati limiti territoriali senza capirne il motivo; dopo di lui la diffusione geografica divenne un fatto capitale nella storia d'ogni organismo. Al «geniale» Moritz Wagner si doveva invece il merito d'aver attribuito la massima influenza sull'evoluzione a migrazioni e colonie («purtroppo – lamentava Ratzel – questo ottimo concetto non fu convenientemente apprezzato; ma si farà ancora strada»). Questi progressi aprirono a una biogeografia universale che concepisse, proprio come Ratzel, la vita vegetale, quella animale e l'umana quali un'unica manifestazione della vita sulla Terra12.

Gli antichi avevano già indagato sull'influenza naturale sull'uomo, a giudizio di Ratzel trovando intuizioni felici ma anche formulando ipotesi azzardate. In epoca moderna i naturalisti avevano fatto alcuni progressi nella ricerca di leggi in merito, ma gli storici, lamentava, non erano stati del pari. Montesquieu, Voltaire e Buffon avevano trattato dell'influenza naturale sulla storia ma senza originalità e profondità, ricorrendo a molti dati fantastici, in ultimo ricadendo nelle semplificazioni, nel riduzionismo e nel determinismo che avevano piagato le elucubrazioni ippocratiche. Johann Reinhold Forster fu il primo a sottolineare il deficit di conoscenze circa il rapporto tra uomo e natura e a 6 Ivi, p. 2. 7 Ivi, p. 17. 8 Ivi, p. 26. 9 Ivi, p. 38 e p. 47. 10 Ivi, pp. 51-52. 11 Ivi, p. 38. 12 Ivi, pp. 54-55.

mettere perciò in guardia da conclusioni affrettate. A lui si deve anche, secondo Ratzel, la prima concezione veramente antropogeografica, ossia quella dei popoli come masse in movimento, da cui derivava il postulato metodologico di non potersi concentrare solo sugli ambienti in cui vivono attualmente. In quest'errore incappò ad esempio Herder, che però per primo tentò una storia completa dell'umanità intesa come parte integrante della Terra. Da lui e dai suoi epigoni s'ebbe, per Ratzel, una trattazione solo letteraria ma mai analitica, certo inferiore a quella che seppero tentare di lì a poco i naturalisti. A Comte, che pure d'un naturalista (Lamarck) era debitore, il tedesco rimproverava non di meno d'aver incluso tra le influenze naturali solo il clima e l'alimentazione, trascurando le importantissime relazioni spaziali, ossia la posizione relativa di territori e popoli. La mancata considerazione di queste relazioni aveva portato a teorizzare erronee successioni di stadi di civiltà. Ancor meno Ratzel poteva apprezzare l'opera di Gobineau, secondo cui le doti naturali intrinseche sarebbero preponderanti rispetto a influenze e relazioni esterne. Anche quei filosofi della storia che affermavano l'influenza delle condizioni esterne, lamentava tuttavia il tedesco, indugiavano su questioni come il progresso dell'umanità o le origini della civiltà e della religione13.

Nel corso dell'Ottocento intervenne positivamente la geografia che, secondo Ratzel, proprio in quel secolo si staccava dall'arte, ripudiava la pittura del bello di maniera avvicinandosi alla rappresentazione scientifica e “fotografica”. Venivano così meno la concezione idilliaca della vita allo stato di natura e l'ammirazione per la natura tropicale. La geografia si faceva scienza dell'esplorazione della superficie terrestre con gli stessi metodi delle scienze naturali (eccetto quello sperimentale) e con un campo particolarmente vasto e vario perché includente pure l'uomo e, in generale, «i fenomeni della superficie terrestre in tutte le relazioni reciproche»14. Alla geografia andava il merito d'aver portato la teoria dell'influenza naturale sull'uomo sul terreno scientifico dell'indagine particolare, valorizzando l'elemento essenziale dell'ambiente che è lo spazio: da tale qualità derivano la densità, la concorrenza e in una parola il divenire storico. In antropogeografia, scriveva Ratzel, ogni concetto o fenomeno va localizzato, non si possono fare medie statistiche. Fu Ritter protagonista di quest'operazione di spazializzazione della materia e fu sempre lui a rilevare come l'uomo, con nuovi mezzi, modifichi le relazioni con gli spazi, sfuggendo così alle semplificazioni più volgari. Ritter aveva raccolto il pensiero di Herder, intendendo l'umanità come sublimazione della Terra e quest'ultima come sede in cui l'umanità compie il proprio tirocinio. Anche Ritter, tuttavia, aveva delle pecche agli occhi di Ratzel: non aveva saputo valutare meccanicamente il rapporto tra popolo e suolo, preferendo seguire un indirizzo teleologico15. La criticità per Ratzel non stava nella teleologia in sé: essa non esclude la scientificità, poiché una legge naturale non varia se a stabilirla è Dio piuttosto che il caso. L'insuccesso di Ritter stava nell'essersi fermato a un progetto (dimostrare che i destini dei popoli sono in parte determinati dall'ambiente) senza scendere nell'esame dei particolari. Ritter aveva incitato a praticare la geografia 13 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., pp. 14-29; F. RATZEL, La terra e la vita, cit., vol. 1, p. 58.

14 F. RATZEL, La terra e la vita, vol. 1, cit., pp. 59-60.

umana, senza però indicare come affrontarla16. La compenetrazione tra storia e geografia da lui proposta aveva avuto successo e sèguito tra gli storici, ma ancora una volta – secondo Ratzel – con applicazioni superficiali e letterarie, in cui era chiamata “legge” ciò che legge non è17.

Ratzel ambiva dunque a riprendere la geografia ritteriana correggendola. Egli non era d'accordo con Peschel che quella di Ritter fosse una geografia determinista e che la scientificità della storia naturale non fosse cosa per la geografia umana18. La sua voleva essere una «geografia comparativa» in senso ritteriano, ossia un'esposizione delle «reciproche relazioni che intercedono fra i fenomeni della superficie terrestre»: ogni parte di essa è da intendersi in innumerevoli rapporti coll'intero organismo mondiale. Essa è in rapporto metodologico con l'anatomia comparata, ma v'è un'essenziale differenza logica: la seconda procede da concordanze interiori, la seconda da somiglianze esteriori. Lo sguardo di Ratzel tendeva sempre alla dimensione umana: la geografia non doveva limitarsi a compilare un elenco dei fatti geografici, ma studiarne pure gli effetti sopra i sensi e la mente degli uomini, poiché uomo e suolo interagiscono reciprocamente19. Riteneva che Anthropogeographie in particolare continuasse l'opera di Ritter, ponendo il problema della geografia umana nel quadro d'una biogeografia universale e facendo recuperare alla geografia la «legittima influenza» su etnologia, sociologia e storia20. Con questa programma scientifico, Ratzel intendeva superare la geografia regionale (Länderkunde), ossia la rilevazione dei dati territoriali, verso una nuova impostazione storico-naturalistica della geografia21.

La geografia fisica, il cui compito è studiare e descrivere la Terra, era intesa da Ratzel come preliminare alla geografia umana e per essa imprescindibile22. La base di partenza dell'indagine propriamente antropogeografica è invece rappresentata dalle scienze naturali, anche se fino ad allora, lamentava, si erano studiate la fitogeografia e la zoogeografia, ma mai la biogeografia come un tutt'uno, malgrado la vita sulla Terra rappresenti in realtà un fenomeno unitario23. Questa concezione di unitarietà biogeografica era una delle importanti innovazioni che la formazione zoologica portava Ratzel a compiere rispetto alla geografia ritteriana24. Coi metodi di fitogeografia e zoogeografia l'antropogeografia poteva studiare la diffusione dell'uomo, ossia descrivere e rappresentare cartograficamente l'ecumene e le sue suddivisioni. Dopo di che l'indagine doveva passare a interrogarsi sulle cause di quella distribuzione, cosa che portava a studiare i movimenti umani nella loro dipendenza dal territorio. In questa seconda fase la contiguità disciplinare era con la storia. In terzo luogo lo studio si spostava sulle influenze che la natura esercita sul corpo e lo spirito di individui e popoli: la fisiologia, ma anche la 16 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., p. ix e p. 104.

17 Ivi, pp. 34-38.

18 M. HALAS, Searching for the perfect footnote, cit., pp. 4-5.

19 F. RATZEL, La terra e la vita, vol. 1, cit., pp. v-vi, p. 58 e pp. 328-329. 20 Ivi, p. 55.

21 P. CHIANTERA-STUTTE, Destino Mitteleuropa!, cit., p. 33. 22 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., p. 83 e p. 96.

23 Ivi, p. 7.

psicologia data l'influenza dell'ambiente su intelletto e attività intellettuale, accompagnavano qui l'antropogeografo. La commistione con varie discipline non preoccupava Ratzel: ogni scienza è ausiliaria ad altre, ma nessuna – scriveva – è esclusivamente ausiliaria25. In merito alla storia, Ratzel aggiungeva che non va introdotta da una semplice descrizione corografica del suo teatro ma dall'esame completo delle relazioni col territorio di popoli e Stati – relazioni ininterrotte e governate da una legge di necessità26.

La geografia umana era secondo Ratzel principalmente una scienza descrittiva: non compiva un'indagine profonda ma gettava le basi necessarie per giungere a conclusioni. Doveva essere prettamente scientifica, studiare tutto ciò che serviva a renderla tale (ossia gli attributi che spiegano la diffusione dell'uomo) e lasciare il resto alle applicazioni di geografia politica, commerciale e via dicendo. Un buon lavoro descrittivo richiedeva una classificazione, per non dover rifare la descrizione completa d'ogni oggetto affine. La classificazione, spiegava Ratzel, è un passaggio necessario tra la descrizione e l'individuazione di leggi naturali; è il primo passo del metodo induttivo. Questo ricorso a classi da confrontare rendeva l'antropogeografia una scienza comparativa. Il ricorso al metodo comparativo era dal geografo tedesco motivato con l'impossibilità di ricorrere a quello sperimentale: non si potevano ripetere fenomeni vitali di dimensioni telluriche. L'unico esperimento servibile era quello presentato dalla natura col ripetersi di processi analoghi in condizioni differenti. Tale vasto lavoro di comparazione richiede un'osservazione «ologeica», di tutta la Terra. Come le scienze naturali, l'antropogeografia adottava dunque il metodo scientifico, ordinava la materia con classificazioni e traeva conclusioni per mezzo di raffronti; ma come tutte le scienze umane, nemmeno l'antropogeografia poteva formulare leggi espresse da formule matematiche poiché – spiegava il tedesco – faceva i conti con l'indipendenza della volontà27.

Nel classificarli, rammentava Ratzel, bisogna fare attenzione al fatto che i popoli e i loro «organi» (ad esempio i confini) siano oggetti vivi. L'etnografia aveva proprie classi, ma la geografia umana basava le proprie su posizione e natura del territorio abitato: i popoli andavano studiati sempre e solo nel territorio in relazione alle condizioni naturali cui soggiacevano, e dunque l'antropogeografia delineava le sue leggi in forma geografica. Laddove l'etnografia era separatrice (studiava singoli aspetti dei popoli) l'antropogeografia era unitaria (rappresentava il popolo come un tutt'uno) e sintetica (alcuni fenomeni sono diffusi a tutto quanto il globo): nessun oggetto d'indagine antropogeografica poteva essere considerato come assolutamente indipendente. Le masse instabili dell'idrosfera e dell'atmosfera, che si muovono al di sopra della superficie, danno continuità alla Terra e pure collegano i popoli. Inoltre un Paese è contemporaneamente organismo se preso individualmente e organo se considerato in un insieme più vasto quale possono essere alleanze o civiltà. Perciò nell'indagine s'alternavano sintesi e analisi28.

25 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., pp. 75-77 e p. 101. 26 Ivi, pp. 84-85.

27 Ivi, pp. 88-91 e p. 96-97; F. RATZEL, La terra e la vita, vol. 1, cit., p. 60. 28 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., p. 89, pp. 92-94 e p. 98.

La geografia umana era per Ratzel un ramo della biogeografia, perché unitarie sono la Terra e la vita; ne conseguiva che i concetti biogeografici si applicavano anche allo studio della diffusione dell'uomo sulla Terra: era il caso di ecumene, posizione geografica, relazioni spaziali, azione sul terreno, confine29. Se la geografia umana non si fosse fondata sulle leggi generali che regolano la diffusione della vita sulla Terra, allora non avrebbe potuto dirsi scientifica30. Popoli e Stati rientravano tra i suoi oggetti di studio poiché considerabili alla stregua d'organismi viventi: per quanto certamente differenti da piante o animali, li accomuna con quelli l'avere nel suolo la base della loro coesione31. L'antropogeografia studiava le influenze naturali statiche e meccaniche sull'uomo, ossia sul modo di essere e le attività. Estensione, giacitura e configurazione dei territori fornivano elementi per giudicare la vita dei popoli. Con tali dati di fatto antropogeografici si costruiva un'equazione con una sola incognita, il tempo: date certe condizioni di estensione, spazio e giacitura necessariamente si sarebbe manifestato un certo fenomeno, ma non era possibile predire quando32.

La geografia umana di Ratzel, ricapitolando, era intesa come lo studio delle influenze naturali sull'essenza, l'attività e la diffusione dell'uomo; uno studio principalmente descrittivo cui seguivano applicazioni incaricate di giungere a particolari conclusioni. Tra esse la più studiata dal tedesco fu senz'altro la geografia politica, che gli appariva arretrata rispetto a tutti gli altri rami della geografia e che ambiva a risollevare dal discredito scientifico in cui era caduta33. Questa branca della geografia era da lui investita del compito di determinare, come base per la politica pratica, quei valori proprî a ciascun compartimento geografico: valori oggettivi, uguali per ogni popolo, che sono le proprietà geografiche che in un determinato stadio di civiltà possono riuscire utili all'uomo; e valori soggettivi, attribuiti a quel territorio da ciascun popolo che vi dimori34. Lo studio comparativo dello Stato e del suolo era quello capace di elevare la geografia politica: ciò innanzi tutto la differenziava dalla scienza politica e dalla sociologia, che sembravano guardare allo Stato come se aleggiasse nell'aere, e dava ragion d'essere alla geografia politica. Essa toccava problemi sociologici, politologici e storici, ma era geografica per metodi e obiettivi35. Occupandosi d'un elemento «immutabile e indistruttibile» come il suolo, la geografia politica era la miglior base per una politica realista attenta alle necessità di lungo periodo36.

29 Ivi, pp. 1-2. 30 Ivi, p. 9. 31 Ivi, p. 2. 32 Ivi, pp. 99-101.

33 F. RATZEL, Politische Geographie, 1897, cit., p. iii; F. RATZEL, La terra e la vita, cit., vol. 1, p. 55. 34 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., pp. 198-199.

35 F. RATZEL, Politische Geographie, 1897, cit.. p. 4. 36 F. RATZEL, Politische Geographie, 1903, cit., p. 11.