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IV. TEMI DELL'EVOLUZIONISMO, TRA NATURA E SOCIETÀ

19. La lotta per l'esistenza

Malthus non fu il primo ad avere un'intuizione relativa alla lotta per l'esistenza. Già Aristotele, nel IV sec. a.C., descriva la natura come competitiva al suo interno, caratterizzata da ostilità e guerre, la cui origine ultima è la limitatezza dei mezzi di sussistenza. Così nel Libro IX della Storia degli animali spiegava che

C'è inimicizia tra quegli animali che vivono nelle medesime località o si nutrono dello stesso cibo. Se i mezzi di sussistenza si fanno carenti, creature dello stesso genere combatteranno tra loro. […] Tutte le creature sono nemiche dei carnivori, i carnivori di tutte le altre, poiché si nutrono di creature viventi. […] Gli indovini notano casi in cui gli animali stanno in disparte l'uno dall'altro e casi in cui si riuniscono assieme; chiamano quelli che vivono in guerra tra loro “dissociati” e quelli che dimorano in pace tra loro “associati”. Ci si potrebbe spingere fino ad affermare che, se non ci fosse mancanza o penuria di cibo, allora quegli animali che oggi hanno paura dell'uomo o sono selvaggi di natura sarebbero addomesticati e familiari con lui, e similmente l'uno con l'altro.1

Proseguiva poi col descrivere vari casi di specie animali “in guerra” tra loro.

Kant nella sua opera sull'antropologia pragmatica faceva riferimento alla guerra come a un grande male, che costituisce tuttavia la spinta per passare dallo stato di natura alla civiltà, in un provvidenziale meccanismo che nell'urto e nella trazione mantiene in movimento le forze opposte2.

Si tratta soltanto di due esempi eccellenti, e posti temporalmente distanti tra loro, di descrizione della natura quale competitiva; nel caso di Kant, si può persino apprezzare l'introduzione del tema del progresso generato dalla competizione. Va tuttavia a Malthus il merito di aver posto la lotta per la vita a chiave di volta d'una moderna teoria scientifica che ebbe un grande impatto sul pensiero del suo secolo. Che poi il concetto fosse ripreso da Darwin e da Wallace, e da loro posto a fondamento della teoria dell'evoluzione per selezione naturale, fece sì che assurgesse alla massima considerazione e improntasse a sé tutta la riflessione evoluzionista sulla natura, la vita, l'uomo e la società.

Darwin lesse Malthus alla fine del 1838. Già l'anno successivo, nel racconto del viaggio del Beagle dato alle stampe, si poteva trovare la seguente considerazione (riferita al 1836 ma assente nel manoscritto del suo diario, quindi aggiunta in seguito) circa la progressiva estinzione degli aborigeni australiani: «Le varietà umane sembrano agire l'una sull'altra; nello stesso modo delle differenti specie animali – il più forte sempre estirpa il più debole»3.

1 ARISTOTELE, Ton Peri ta Zoia Istorion, b. 9, k. 1.

2 I. KANT, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, Felix Meiner, Leipzig, 1912 [ed. or.: 1798], p. 286.

3 C.R. DARWIN, Journal of researchers in geology and natural history, cit., p. 520. Di tale riflessione non v'è traccia negli appunti originali da cui poi fu sviluppata l'opera a stampa, i quali sono stati a loro volta trascritti e pubblicati,

La lotta per l'esistenza era un elemento imprescindibile nella sua teoria: essa rendeva operativa la selezione naturale e dunque l'evoluzione della specie. On the origin of species si apriva coi due capitoli sulla variazione (domestica a opera dell'uomo e in natura), cui seguiva non a caso quello sulla lotta per l'esistenza: vale a dire che i due fattori evolutivi nel quadro della selezione naturale apparivano appaiati e in apertura dell'opera. Nella ricapitolazione finale, Darwin includeva la lotta per l'esistenza (assieme alle gradazioni negli organi e negli istinti e alla variabilità biologica) tra i tre assunti fondamentali della teoria della selezione naturale4. Chi non avesse presente questa lotta universale, ammoniva Darwin, non poteva comprendere l'economia della natura al di sotto della sua apparente letizia5. La lotta per l'esistenza nel pensiero darwiniano non solo spiegava la selezione naturale: la implicava come conseguenza necessaria. In Descent of man la prima argomentazione del naturalista inglese per provare la discendenza dell'uomo da forme inferiori era proprio il fatto che fosse soggetto al principio di popolazione malthusiano e, dunque, alla lotta per l'esistenza e al ricorrente subentrare di specie e razze l'una alle altre6. Per descrivere la continua interazione tra ostacoli naturali e moltiplicazione organica, Darwin paragonava la natura a «una superficie su cui poggiano diecimila cunei affilati che si toccano l'un l'altro e spinti all'interno da colpi incessanti»7. Il limite ultimo all'accrescimento della popolazione era la quantità di alimento ma, nel mentre, prima di raggiungere tale limite, già agivano il clima, le malattie e soprattutto la concorrenza con gli altri esseri viventi8. La moltiplicazione geometrica degli organismi viventi faceva sì che tutte le regioni fossero ormai sovraffollate, e che perciò ogni variazione favorevole potesse espandersi solo a spese delle altre9. Ogni organismo, spiegava Darwin, «si sforza costantemente» di aumentare di numero, prendendo il posto degli esseri su cui consegue vantaggio10: la selezione naturale serviva proprio a perfezionarsi quanto o leggermente più degli altri abitanti della medesima regione, con cui era in corso la lotta per esistere11. Selezione ed estinzione naturale andavano di pari passo: il più adatto sterminava i meno adatti e ogni nuova varietà o specie, appena formata, andava solitamente a sostituire proprio la schiatta genitrice12.

Un carattere della lotta per l'esistenza in natura è infatti che l'affinità non genera necessariamente cooperazione, ma spesso al contrario acuisce lo scontro. La lotta più accanita, scriveva Darwin, avviene quasi sempre fra individui della stesse specie, in quanto vivono nello stesso territorio, necessitano dello stesso alimento e sono esposti agli nell'ultima versione corretta in R. D. KEYNES (ed.), Charles Darwin's Beagle diary. Cambridge University Press, Cambridge, 2001 (cfr. pp. 398-399 per la descrizione originale dell'incontro con gli aborigeni e la riflessione sul loro estinguersi).

4 C.R. DARWIN, On the origin of species, 1859, cit., p. 459. 5 Ivi, p. 62.

6 C.R. DARWIN, The descent of man, 1871, vol. 1, cit., pp. 9-10.

7 C.R. DARWIN, A.R. WALLACE, On the tendency of species to form varieties, cit., p. 48. 8 C.R. DARWIN, On the origin of species, 1859, cit., pp. 68-80.

9 Ivi, p. 85. 10 Ivi, p. 186. 11 Ivi, p. 201.

12 C.R. DARWIN, A.R. WALLACE, On the tendency of species to form varieties, cit., p. 53; C.R. DARWIN, On the

stessi pericoli. Lo stesso vale per le varietà della stessa specie e per le specie dello stesso genere: la somiglianza genera necessità delle medesime risorse e dunque una lotta tanto più accanita13.

In origine Darwin elaborò il tema della lotta per l'esistenza anche in una chiave quasi teologica o finalistica: scrisse che da mali apparenti quali morte, carestia e lotta per la vita scaturisce il più grande dei fini che possiamo concepire, ossia la creazione degli animali superiori14; e che nella selezione naturale opera un potere talmente infallibile da selezionare esclusivamente in vista del bene di ciascun organismo15. Tuttavia, nelle successive opere preferì essere più prosaico e attenersi a una descrizione spassionata della realtà fattuale. Il che non gli impedì di elevare la lotta per l'esistenza a freddo paradigma di tutto ciò che esperiamo della vita sulla Terra: una legge generale che impone il progresso a tutti gli organismi, riassumibile in «moltiplicarsi, variare, far vivere il più forte e perire il più debole»16. Persino armonia e bellezza, si legge in The Descent of Man, non sono altro che sottoprodotti della lotta per l'esistenza: tutto è spiegabile con lo sforzo degli organismi per raggiungere il massimo successo riproduttivo17.

Nel pensiero di Ernst Haeckel, più filosofico rispetto a quello di Darwin, il concetto di lotta per l'esistenza assunse una centralità se possibile ancor maggiore. A suo avviso, costituiva la risposta a uno dei più grandi enigmi filosofici che fin dall'Antichità tormentava le migliori menti tra gli uomini: come possono originarsi meccanicamente, senza cause finali, delle disposizioni che a un fine si mostrano adatte?18 Era la lotta per l'esistenza, secondo il pensatore tedesco, quella causa motrice priva di scopo, capace tuttavia di produrre meccanismi teleologici – il cui fine, la perfezione, tendeva proprio alla vittoria in questa (insensata) lotta per la vita.

La lotta per la vita è, nel quadro della selezione naturale, l'equivalente della volontà dell'allevatore nella selezione artificiale; la differenza è ch'è inconscia e priva di scopo19. Ogni individuo, proseguiva lo studioso tedesco, lotta contro vari influssi contrari alla sua esistenza, ma soprattutto contro gli organismi che gli sono più simili, a partire da quelli della stessa specie20. Secondo Haeckel il numero di piante e animali presenti al mondo rimaneva più o meno sempre lo stesso, ma era la proporzione delle varie specie a variare. Le proporzioni sono continuamente mutevoli anche all'interno delle singole specie, poiché se una varietà s'accresce un'altra decresce. Al suo tempo, mentre le razze europee si espandevano sull'intera superficie del globo altre specie del genere umano (come pellerossa americani e aborigeni australiani) regredivano verso l'estinzione totale21. Le leggi fisiologiche dell'eredità e dell'adattamento, infatti, valgono per gli animali come per l'uomo, e dunque anche per l'umanità sono la lotta per l'esistenza e la selezione naturale a 13 C.R. DARWIN, On the origin of species, 1859, cit., pp. 75-76 e pp. 320-321.

14 C.R. DARWIN, The foundations of The origin of species, cit., p. 254.

15 C.R. DARWIN, A.R. WALLACE, On the tendency of species to form varieties, cit., p. 51. 16 C.R. DARWIN, On the origin of species, 1859, cit. p. 244.

17 S.J. GOULD, The flamingo's smile, cit., p. 42.

18 E. HAECKEL, Storia della creazione naturale, cit., pp. 150-151. 19 Ivi, p. 141.

20 Ivi, pp. 88-89. 21 Ivi, pp. 141-142.

produrre nuove forme e progresso. A dimostrarlo per Haeckel era il fatto che la storia umana mostrasse in opera quelle medesime leggi – differenziamento e perfezionamento – osservabili nel mondo animale: non si poteva che concluderne che anche le cause (lotta per l'esistenza e selezione naturale) dovessero essere le medesime22.

La lotta per l'esistenza fu spinta da Haeckel fino all'estremo. Rifacendosi ai lavori del pioniere dell'embriologia sperimentale, Wilhelm Roux (1850-1924)23, l'ecologo tedesco individuò una lotta anche all'interno d'ogni individuo tra le singole parti sue componenti. A ogni livello – parti, organi, tessuti, cellule - sarebbe in corso una competizione per l'attività, la nutrizione e l'accrescimento. Tale competizione costituiva agli occhi di Haeckel il meccanismo intimo dell'evoluzione, la maniera concreta in cui gli individui mutano; e spiega come, per via puramente meccanica e senza un disegno superiore, si siano formate strutture tanto complesse e perfettamente bilanciate come quelle che compongono gli organismi delle specie più evolute24. Il naturalista tedesco non mancò di osare l'analogia con la società umana: «L'organismo multicellulare è uno Stato di cellule, e le sue singole cellule sono i cittadini»25.

La lotta per l'esistenza aveva ottenuto un riconoscimento d'ubiquità all'interno del mondo organico.

22 Ivi, pp. 161-162.

23 W. ROUX, Der Kampf der Theile im Organismus, W. Engelmann, Leipzig, 1881. 24 E. HAECKEL, Storia della creazione naturale, cit., pp. 148-149 e pp. 157-159. 25 Ivi, p. 150.