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Il rapporto uomo-ambiente e la questione del determinismo geografico

VI. GEOPOLITICA: LA SCIENZA NATURALE DELLA POLITICA

35. Il rapporto uomo-ambiente e la questione del determinismo geografico

Secondo Stoddart la geografia dell'epoca recepì da Darwin l'idea dell'evoluzione, ossia d'un continuo processo di mutamento, e quello della lotta per l'esistenza, ma «il punto cruciale della teoria di Darwin, la casualità delle variazioni iniziali, passò quasi inosservato»1. Da ciò deriverebbe una tendenza nella geografia umana di tardo Ottocento ad applicare deterministicamente i temi della selezione e della lotta. Tale determinismo – se tale si può definire – era comunque differente, secondo Claval, da quello di Ritter, simile quest'ultimo alle visioni espresse nei secoli precedenti da autori come Bodin, ossia più professione di fede che reale approccio alla materia geografica2.

Ratzel, il naturalista allievo di Haeckel e affascinato dalla geografia di Ritter, sottolineava come tutti i processi e le forme vitali dipendano dalle condizioni ambientali cui devono adattarsi e descriveva lo scopo dell'antropogeografia come lo studio dell'influenza naturale sull'uomo3. Ciò non significa che nelle sue opere non sottolineasse la biunivocità dell'influenza, né che trascurasse la dimensione spirituale dell'uomo. Pur considerando quest'ultimo parte di un unico organismo mondiale, precisava come ciò riguardasse il suo lato terreno – quello ch'è compito della scienza studiare – ma non escludesse l'esistenza di un'altra faccia del suo essere, caratterizzata dalla libertà4. Impulsi interiori e tendenze dello spirito e della volontà erano esplicitamente contemplati nelle teorie ratzeliane sul movimento storico5 e nel dare precedenza all'elemento geografico egli rifiutava l'etichetta di materialismo6. Il riconoscimento della dimensione spirituale e del libero arbitrio non doveva però, a sua volta, far scordare la parte terrena e dunque immaginarsi una storia dell'uomo del tutto affrancata dalla natura7. L'indipendenza della volontà umana è sempre limitata dalla natura, può attenuarne i vincoli ma non certo spezzarli del tutto8.

Ratzel fu probabilmente preda d'un eccesso di retorica laddove, discutendo dell'influenza del suolo sull'uomo, si lasciò andare a una sentenza sul suo carattere «misterioso e angosciante», che annulla la libertà umana e assegna a ogni popolo il suo destino9. Di certo però riteneva che talune sue proprietà si manifestassero colla forza d'una legge naturale10 ed era in disaccordo con chi, come Peschel, non intuiva che dei limiti sono posti dalla natura alla scelta degli sviluppi da realizzare11. L'uomo, essere razionale, è il

1 D.R. STODDART, Darwin's impact on geography, cit.

2 P. CLAVAL, Essai sur lévolution de la géographie humaine, cit., p. 43.

3 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., p. vi; F. RATZEL, La terra e la vita, vol. 2, cit., p. 671. 4 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., p. 1.

5 Ivi, pp. 113-115 e p. 131.

6 F. RATZEL, La terra e la vita, vol. 2, cit., p. 763. 7 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., p. 39. 8 Ivi, pp. 97-98.

9 Ivi, pp. 73-74.

10 F. RATZEL, La terra e la vita, vol. 2, cit., p. 763. 11 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., pp. 99-100.

più indipendente dalla natura ma nell'esercitare il proprio libero arbitrio deve sempre far ricorso a risorse naturali. Il copioso materiale che l'uomo trae dalla natura per costruire, vestirsi, armarsi, stabilisce uno stretto legame con essa12. Nemmeno il progresso, secondo Ratzel, lo affranca dalla natura: al contrario il crescere d'importanza dell'attività economica lo lega ancora più intimamente alla natura. Il progresso è tutto sommato un più accorto sfruttamento delle condizioni naturali, perciò stabilisce una più stretta relazione fra popolo e territorio, un più intimo legame fra gente e suolo. Proprio perché incapaci di rapportarsi alla natura i primitivi erano soggetti ai suoi capricci, e proprio in quanto più legata a essa la civiltà è immune a certe scosse contingenti13. Ma, basandosi sul fatto che gran parte della storia terrestre si fosse svolta in assenza dell'essere umano, Ratzel non si sentiva d'escluderne un'ipotetica estinzione nel futuro, essendo la sparizione di vecchie forme e l'apparizione di nuove tra i cardini della vita sul nostro pianeta14.

In merito al rapporto tra uomo e ambiente, Ratzel notava che la natura costituiva la parte meno mutevole. Quanto più è ampia la prospettiva tanto più s'apprezza l'importanza della geografia, che pone l'umanità in un alveo poco mutevole ma in cui non tutto è governato da leggi di necessità. Determinate condizioni naturali pongono sempre gli stessi condizionamenti alla vita15. Quest'ultima affermazione di principio era temperata dalla precisazione che, nello stimare il valore politico-geografico di un determinato territorio, andava distinto un valore latente e permanente (come può essere la maggiore inaccessibilità d'una montagna rispetto alla pianura) da quello realizzato, che varia invece costantemente in ragione soprattutto della posizione relativa agli Stati (la montagna avrà un valore differente se posta sul confine o al centro d'un Paese)16. Ratzel giudicava inoltre troppo schematici e semplicistici quegli assunti di rigida e univoca determinazione ambientale dell'uomo che da Ippocrate erano sopravvissuti fino ad almeno Montesquieu17. Considerare l'uomo un mero prodotto dell'ambiente era agli occhi di Ratzel una patente esagerazione18, assegnare misteriose prerogative a certe regioni o fumose tendenze della civiltà a muoversi verso ovest mitologia pura; riconoscere diretta influenza sul corpo o sullo spirito alla composizione del suolo una teoria da rigettare in toto19.

Il tedesco, memore della lezione della biologia evoluzionista, sapeva doversi guardare ai popoli non come a esseri immobili sempre sul medesimo suolo, ma come animali mobili. Sapeva che un fattore relativo e mutevole come quello delle relazioni spaziali aveva la massima importanza ingenerando di fatto i meccanismi di concorrenza e selezione; e conosceva le sfumature e complessità con cui l'ambiente può giungere a influire sugli esseri che vi dimorano20. Il mondo esteriore modella le proprietà interiori secondo cui gli organismi si sviluppano, nel senso che – Ratzel seguiva qui le tesi di 12 Ivi, p. 500.

13 Ivi, pp. 59-62. 14 Ivi, pp. 6-7. 15 Ivi, pp. 13-14.

16 F. RATZEL, Politische Geographie, 1903, cit., pp. 114-117. 17 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., pp. 14-17.

18 Ivi, p. 39.

19 Ivi, p. 200 e p. 447; F. RATZEL, Politische Geographie, 1903, cit., p. 96. 20 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., pp. 22-31.

Eugenius Warming sulla plasticità fenotipica – essi avrebbero un'innata capacità d'adattarsi direttamente a nuove condizioni di vita, ossia a variare in modo miratamente utile alla vita. Malgrado queste concessioni neolamarckiane, il geografo tedesco rifiutava però le teorie di Buffon e discepoli sul passivo plasmamento delle forme di vita da parte dell'ambiente, sostenendo invece che quelle reagiscono in maniera indipendente e possono più facilmente essere distrutte che trasformate con rapidità21. Non tutte le influenze esterne, aggiungeva, lasciano tracce sull'uomo, un organismo che segue proprie leggi e che può elaborare quegli influssi secondo il principio d'adattamento: esso non è certo un plastico rispecchiamento dell'ambiente22. Se ciò vale per il fisico tanto più vero è per lo spirito: la maggior parte delle influenze naturali sulla vita spirituale, scriveva Ratzel, non avviene per via diretta ma per il tramite dell'ambiente sociale, ossia delle condizioni socio- economiche determinate dalla natura; e anzitutto spirituale è il fondamento delle strutture sociali e politiche23. Aggiungeva lo studioso tedesco che i popoli sono troppo mobili per essere plasmati dalle condizioni naturali di un certo ambiente: le influenze di più territori si manifestano ereditariamente – concetto questo squisitamente evoluzionista – grazie al patrimonio genetico variegato, di più tipi etnici dal diverso passato, che compongono le genti attuali24. I territori sono poi profondamente mutati dall'uomo, che spostano anche piante e animali da un luogo all'altro, tanto che oggi quelli più accessibili hanno sopravanzato i più dotati naturalmente ma isolati25.

In merito alle influenze climatiche, pur considerando verosimile una loro azione diretta sul fisico oltre che sull'animo, per paura di giungere a conclusioni erronee (e citava quelle di Maupertuis, Livingstone e Diderot) Ratzel s'asteneva in Anthropogeographie dal trattare quelle dirette per occuparsi solo delle indirette, ossia agenti sulle condizioni di vita, la diffusione e l'attività storica26. In Die Erde und das Leben sciolse le riserve sulle variazioni dirette che il clima, per effetto di luce, calore, umidità, venti e pressione atmosferica induce nell'uomo, potendo citare esempi incontrovertibili come la salute fisica o l'abbronzatura della pelle; lasciava questi effetti allo studio fisiologico e psicologico se individuali ma li assegnava alla geografia se collettivi. Ovviamente di competenza geografica apparivano invece le due influenze indirette: quella sul movimento dei popoli, «essenza della storia» (ad esempio la correlazione umidità-sedentarietà e aridità-nomadismo), e quella sulle piante e gli animali che poi interagiscono con l'uomo27. L'uomo si è rivelato capace d'adattarsi a ogni clima e impiantare altrove flora e fauna, ma rimane soggetto al fatto che il clima temperato sia il più favorevole: tra il tropico e il circolo polare si sono vissuti i fatti decisivi della storia umana, scriveva Ratzel, rivelando come la prima influenza climatica sia di tipo spaziale, ossia restringente l'area di possibile efficiente diffusione dell'uomo. Creando grandi compartimenti caratterizzati in maniera diseguale da risorse e attitudini, il clima genera aree politiche indipendenti dai confini dei popoli. Queste differenze sono 21 F. RATZEL, La terra e la vita, vol. 2, cit., p. 671.

22 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., pp. 47-48 e pp. 209-210. 23 Ivi, pp. 51-53.

24 Ivi, pp. 53-57. 25 Ivi, p. 502.

26 Ivi, pp. 532-535; F. RATZEL, La terra e la vita, vol. 2, cit., p. 610. 27 F. RATZEL, La terra e la vita, vol. 2, cit., pp. 642-644.

una delle cause di quelle intercorrenti tra i popoli, agiscono da fermenti storici innescando grandi movimenti etnici che tendono a stabilire un equilibrio di condizioni28.

L'influenza dei climi sui popoli, notava lo studioso tedesco, varia col grado di sviluppo. Essa è preponderante all'inizio, quando si giunge in un nuovo clima, e ciò rende il clima stesso problema fondamentale dello sviluppo: l'uomo si dota di difese verso questi influssi. Ratzel poteva invocare l'esempio del differentissimo sviluppo di pellirosse e bianchi sul medesimo territorio nordamericano per sancire che il clima «non è un processo che plasmi a volontà corpi e menti passivi, ma è invece uno svilupparsi col clima o contro di esso»29. La cultura e la morale erano per lui capaci d'influenzare l'adattabilità di ciascun popolo a nuovi climi30.

Siccome i fattori climatici si distribuiscono per zone, proprio come quelli razziali, etnici e culturali, il geografo si rendeva conto di quanto fosse facile scambiare per influenza climatica un fatto che dipende invece dalla diffusione dei popoli. Riteneva comunque di poterne indicare qualcuna. La distribuzione delle piogge determina ad esempio i climi di foresta e steppa, centrali nella storia umana, e con l'agricoltura – lungi dallo scemare quest'influsso – anche le lievi differenze climatiche acquisiscono importanza per l'uomo. Un secondo esempio è quello dei Tropici: più vi ci si avvicina maggiori divengono le resistenze climatiche alla vita, l'energia per il lavoro cala favorendo modelli di lavoro coercitivo e distribuzione della proprietà fondiaria latifondista; l'abitante di regioni settentrionali è in genere superiore a quello delle meridionali per operosità e parsimonia31. I commenti sul fatto che di norma siano i nordici a sottomettere i vicini del più caldo sud e non viceversa rispondevano a pregiudizi all'epoca abbastanza diffusi, e grezza potrebbe apparire anche l'osservazione che i Paesi d'estensione continentale, racchiudendo più climi e più estremi, sperimentino sovente divisioni politiche ed economiche. In realtà quest'argomento si ricollegava agli studi evoluzionistici sulle regioni più favorevoli a speciazione e diffusione (per Darwin la specie in grado d'estendersi su un territorio più ampio risultava anche la più variabile). Ratzel aggiungeva infatti una notazione più raffinata e in linea col pensiero evoluzionistico: la varietà climatica, e di conseguenza economica e politica, su un territorio di grande estensione crea non solo divisioni ma anche proficue complementarietà che impongono l'unione in ampie compagini come accaduto, ad esempio, a USA e Russia32.

In Politische Geographie Ratzel riprendeva la questione del territorio che assegna il proprio destino ai popoli; ma spostandosi dalle sentenze proverbiali agli esempi pratici, si può notare come il geografo tedesco fosse più misurato nell'applicare le teorie che nel modo d'enunciarle. «Il fondamento naturale dello Stato – vi si legge – pone obiettivi necessari e impulsi determinati alla sua vita e soprattutto alla sua crescita». L'enunciazione è roboante, ma ciò che voleva comunicare Ratzel era solo che lo Stato trae giovamento dallo sfruttare i propri punti di forza; e così, esemplificava, era benefico per uno Stato 28 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., pp. 535-538.

29 F. RATZEL, La terra e la vita, vol. 2, cit., p. 644. 30 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., pp. 544-545. 31 F. RATZEL, La terra e la vita, vol. 2, cit., pp. 651-659. 32 Ivi, pp. 661-662.

isolano acquisire il controllo di tutta l'isola o arcipelago (come l'Inghilterra aveva fatto della Gran Bretagna) per godere dei vantaggi dell'insularità, o era pro a uno Stato prossimo a barriere naturali sfruttabili per la difesa (come l'Italia rispetto alle Alpi) cercare di inglobarle quale confine. Difficilmente si potrebbero confutare consigli di tanto buono e scontato senso: al massimo se ne potrà disputare se ciò corrisponda davvero alla condotta «naturale», come pensava Ratzel, o solamente a quella strategicamente più savia. Anche nel caso del «carattere organico della crescita», tirato in ballo dal geografo tedesco, vale il principio ch'esso non è inesorabile, solo consigliabile: ad esempio Ratzel notava come lo sforzo politico ed espansivo dell'Impero tedesco fosse stato per secoli rivolto verso sud, non per considerazioni di tipo geografico ma per la forza attrattiva spirituale ed economica che l'Italia esercitava sulla Germania33.

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Il proverbiale “determinismo” di Ratzel si è rivelato essere quasi una “leggenda nera”, che continua a essere propagata negli scritti più superficiali ma ormai da anni è stata confutata dagli studi più attenti34. Claval ha scritto che Ratzel nutriva alcune posizioni dogmatiche a livello teorico, ma che quando si trattava di descrivere la realtà le utilizzava in maniera assai flessibile, evitando spiegazioni semplicistiche o troppo generali. Il geografo tedesco aveva senza dubbio delle convinzioni ambientaliste sulla storia umana, ma che condivideva con parecchi autori coevi, come Elisée Reclus o Hyppolite Taine, che assai meno di lui ne hanno poi ricevuto lo stigma35 (forse, si potrebbe ipotizzare, perché applicato da uno studioso francese e non da un tedesco). In effetti si possono rintracciare passi di Ratzel, come quello contenuto in Anthropogeographie, che suggeriscono essere il suolo causa determinante della politica36; eppure se si studia l'intera opera si è posti di fronte a una tal messe di specificazioni, di distinguo, di caute riserve sull'effettiva influenza del suolo sull'uomo, da poter convenire con Claval: Ratzel amava condire la sua prosa di enunciazioni deterministe, ma poi era il primo a non prestarvi fede e a problematizzare la questione. Non a caso, il suo studio della geografia umana voleva essere una risposta critica a quelle precedenti formulazioni d'altri autori che egli stesso reputava biasimevolmente riduzioniste.

Quando Lucien Febvre impose su Ratzel lo stigma del “determinismo” ricorreva principalmente alla citazione di quelle massime, retoriche e grossolane, cui Ratzel era talvolta prono37. Eppure, si noterà che molte delle indicazioni metodologiche di Febvre coincidevano con quanto raccomandato in precedenza dal tedesco. Febvre continuava a 33 F. RATZEL, Politische Geographie, 1903, cit., pp. 101-103.

34 Tra essi si segnalano: H. CAPEL, Filosofía y ciencia en la Geografía contemporánea, cit., pp. 284-286; P. CLAVAL, Essai sur l'évolution de la géographie humaine, cit., p. 44; G. MERCIER, La région et l'État selon

Friedrich Ratzel et Paul Vidal de la Blache, “Annales de Géographie”, vol. 104, n. 583 (1995), pp. 211-235; A.L.

SANGUIN, En relisant Ratzel, “Annales de Géographie”, vol. 99, n. 555 (1990), pp. 579-594; A. STOGIANNOS,

The genesis of geopolitics of Friedrich Ratzel. Dismissing the myth of the Ratzelian geodeterminism, Springer, New

York, 2019; H. WANKLYN, Friedrich Ratzel, cit.

35 P. CLAVAL, Essai sur l'évolution de la géographie humaine, cit., p. 44. 36 F. RATZEL, Geografia dell'uomo, cit., pp. 73-74.

37 L. FEBVRE, La Terre et l'évolution humaine. Introduction géographique à l'Histoire, Renaissance du Livre, Paris, 1922. In merito a quanto discusso nei paragrafi che seguono, si rimanda in particolare all'introduzione, sul problema delle influenze geografiche, e alla conclusione su metodi geografici e biologici.

indicare lo scopo della geografia umana nell'individuazione delle relazioni intercorrenti tra l'uomo e l'ambiente: egli ammoniva di non utilizzare il termine “influenze”, che gli appariva troppo mistico e pre-scientifico, ma a parte tale notazione lessicale manteneva fermo lo scopo della geografia già individuato da Ratzel. Il francese invitava alla massima cautela nel formulare leggi poiché, notava, la conoscenza dei geografi era ancora troppo scarsa in relazione alla complessità dell'oggetto con cui avevano a che fare. Il tedesco aveva forse peccato in tal senso, giungendo talvolta a conclusioni frettolose? È pur vero che, a livello metodologico, denunciava la medesima disinvoltura nel fissare leggi poggiate su labili prove e rimproverava a suoi predecessori (gli stessi citati da Febvre), pur con altri termini, il loro determinismo ambientale. Lo storico francese poneva, come Ratzel, la geografia fisica a fondamento di quella umana: con ancor più decisione incitava ad approfondire quella conoscenza, anche a costo di limitare lo studio del lato umano; ciò in contrasto coll'attenzione del tedesco per l'etnografia. Lucien Febvre ammetteva apertamente ciò che oggi molti costruttivisti giudicherebbero inammissibile: per lui era del tutto lecito che Brückner indagasse le relazioni tra oscillazioni climatiche e flussi migratori; semplicemente non ammetteva che dall'individuazione di rapporti limitati nel tempo e nello spazio s'inferisse automaticamente una legge naturale valida in ogni luogo ed epoca. Che è la stessa disinvoltura che Ratzel biasimava a propria volta. Tutto sommato, il francese aveva trovato in Ratzel il capro espiatorio della sua critica alla faciloneria e approssimazione metodologica degli studiosi coevi, ma ciò che andava a proporre non era un rovesciamento di paradigma, bensì una semplice correzione che, in ampia misura, lo stesso Ratzel avrebbe potuto approvare.

Non va del resto dimenticato che lo stesso Lucien Febvre, nella medesima opera in cui attaccava Ratzel e il suo presunto, a-scientifico determinismo, dava forma anche a una critica del darwinismo che, sempre in nome di una pretesa maggiore scientificità, travalicava pure i confini del neo-lamarckismo per sfociare nel vitalismo. Mostrando una certa dose d'incomprensione della teoria darwiniana, lo storico francese l'accusava di brutale meccanicismo e invocava l'intervento della bergsoniana “élan vital”: una nozione che trascende il campo della scienza così come oggi comunemente inteso (tanto che storicamente, dopo una breve gloria, trovò la propria collocazione definitiva nell'arte, nella parapsicologia e nel New Age). Febvre scivolava nella mera speculazione filosofica, ossia esattamente in ciò che poche pagine prima aveva rimproverato ai geografi “deterministi”. Il fatto non è secondario, considerando che il discorso sulla biologia doveva proprio illustrare quanto stava accadendo in geografia. Ratzel era insomma in ottima compagnia, trovandosi assieme a Darwin oggetto degli strali di Febvre.

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Ratzel era partito dalle idee di naturalisti britannici come Darwin e Spencer per approdare poi alla geografia; le sue teorie geografiche riecheggiarono in Gran Bretagna anche per il tramite di naturalisti locali che le consegnarono ai loro connazionali geografi. È il caso di Bryce, il cui approccio alla questione del rapporto uomo-ambiente, così come presentato nel già citato convegno londinese, ricalcava quasi perfettamente quanto scritto da Ratzel qualche anno prima. L'inglese non negava la presenza di forze interiori, insite

all'uomo in quanto essere razionale e morale; ma esso è prima di tutto una creatura naturale e, come tale, influenzato dall'ambiente al punto da esserne «largamente determinato». Così come la zoologia studia lo sviluppo e le peculiarità d'un animale prendendo anche in considerazione l'ambiente in cui vive, la geografia e la storia debbono osservare la crescita dell'uomo «come creatura sociale e politica, che acquista ricchezza e forma Stati» inquadrandola nello scenario ambientale in cui ciò avviene, nelle opportunità che la natura gli offre e nelle forze che esercita su di esso. La relazione che l'ambiente ha con l'uomo è ben più complessa di quella che intrattiene con altre forme di vita, meno variegate e che mutano meno rapidamente le loro relazioni col resto del mondo. L'uomo può elevarsi al di sopra dell'ambiente: nella prima fase del proprio sviluppo era alla totale mercé della natura, ma poi se ne è reso sempre più indipendente, arrivando anzi ad asservire diverse forze naturali. Non di meno l'essere umano non può mai sfuggire totalmente al potere dell'ambiente, alle tre grandi influenze ch'esso esercita: quella della