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IV. TEMI DELL'EVOLUZIONISMO, TRA NATURA E SOCIETÀ

22. L'uomo e le leggi naturali

A prescindere dagli esiti – statici o dinamici, pessimistici o ottimistici – delle congetture che ne seguirono, si è stabilito che Malthus aveva riportato l'uomo all'interno della natura, risottomettendolo alle sue leggi. Un altro suo illustre contemporaneo, Alexander von Humboldt (1769-1859), fin dalla pubblicazione nel 1811 del Essai politique sur le royaume de

la Nouvelle Espagne, aveva mirato a collegare le scienze naturali e biologiche a quelle

politico-sociali, in una sorta di “ecologia umana”1. Di poco successivo a Malthus e Humboldt, Henry Thomas Buckle (1821-1862) credeva che la storia rivelasse la regolarità delle azioni umane, governate da leggi fisiche e mentali e dunque comprensibili tramite lo studio delle scienze naturali2. Nella sua incompleta ma ambiziosa storia della civiltà inglese assegnava a quattro agenti fisici una potentissima influenza sull'umanità: il clima, l'alimentazione e il suolo, influendo sull'energia e la regolarità del lavoro, avevano determinato l'accumulo e la distribuzione della ricchezza; l'aspetto generale della natura, stimolando l'immaginazione, aveva invece influenzato l'accumulo e la distribuzione del pensiero3.

Questi tentativi poggiavano su antiche fondamenta: che sull'uomo pesi una non secondaria influenza ambientale è idea che ha trovato suoi assertori in ogni epoca. In particolare il XVI e XVII secolo, sulla scorta della nuova consapevolezza naturalista e di più ampie possibilità di divagare dalla centralità degli articoli religiosi, videro un ritorno in auge dei discorsi ambientalisti. Un esempio illustre fu quello di Jean Bodin (1520-1596). L'autore francese proponeva una serie di argomenti ambientalistici. Ad esempio, il vivere in pianura piuttosto che in collina aveva per lui un'importante influenza sull'attitudine politica, anche a parità di clima ed etnia4. Il clima gli pareva influire direttamente sul calore interiore degli individui, connesso al loro vigore: i popoli dell'estremo nord sarebbero spenti dal gelo, quelli del sud soffocati dal caldo esterno, mentre ai popoli della fascia fredda ma più temperata riuscirebbe di conservare maggiore potenza fisica5. Ciò che i popoli meridionali perdevano in vigore fisico, tuttavia, riacquistavano in scaltrezza politica. Le genti della fascia temperata avevano caratteri intermedi, riuscendo più scaltre di quelle settentrionali e più forti di quelle meridionali, e su tali vantaggi, asseriva Bodin, erano riuscite storicamente a costruire gli imperi più grandi e durevoli6.

Seguendo gli insegnamenti ippocratici, il filosofo francese pensava che in ciascun clima prevalesse un diverso umore corporeo, associato ognuno a specifici umori emotivi. Nella sua teoria, gli abitanti del nord erano crudeli e quelli del sud vendicativi – sentimenti aborriti da coloro che vivevano nelle regioni centrali7. L'altitudine, dando climi più o meno

1 J.G.T. ANDERSON, Deep things out of darkness, cit., p. 142.

2 H.T. BUCKLE, History of civilization in England, vol. 1, Parker & Son, London, 1857, pp. 1-35. 3 H.T. BUCKLE, History of civilization in England, vol. 1, cit., pp. 36-137.

4 J. BODIN, Les six livres de la Republique, Jean de Tournes, Lyon, 1579, pp. 462-463. 5 Ivi, pp. 464-469.

6 Ivi, p. 480. 7 Ivi, pp. 470-479.

freddi, riproduceva le distinte attitudini osservabili tra nord e sud. Anche vivere sulla costa, o in centri mercantili, aveva i suoi effetti sul comportamento secondo Bodin: rendeva infatti più sottili, acuti e diplomatici.

Bodin era in anticipo sui tempi. Fu nel XVIII secolo che lo studio dell'uomo si distaccò decisamente dalla teologia e la società umana cominciò a essere intesa come un fenomeno naturale da osservarsi empiricamente, avviandosi il suo studio a divenire un prolungamento delle scienze naturali8. Ciò si realizzò nell'Ottocento, quando l'universale accettazione della teoria evoluzionista sancì che l'uomo non poteva rivendicare un ruolo a sé e leggi specifiche all'interno della natura. Ne On the origin of species Darwin cercò di eludere il tema umano per favorire l'accettazione della sua teoria; non di meno, esso conteneva alcune allusioni in merito. Precisava che al principio di popolazione esso pure soggiace, dacché se il suo aumento geometrico non fosse frenato l'uomo diverrebbe tanto numeroso da non trovare letteralmente più spazio su cui poggiare i piedi: «Non c'è eccezione alla regola» malthusiana, sanciva Darwin9. In chiusa dell'opera arrischiava un paio d'insinuazioni: quella sulla probabile discendenza di tutti i viventi da una sola forma primitiva, originario ricettacolo della vita10, e la celebre sentenza che «si getterà luce sull'origine dell'uomo e la sua storia»11. In Descent of man, pubblicato in prima edizione oltre un decennio più tardi, Darwin si sentì finalmente pronto ad affermare che le variazioni nell'uomo sono indotte dalle medesime cause generali e obbedienti alle medesime leggi generali valide per gli altri animali12. L'uomo, soggetto agli stessi mali fisici degli altri animali, non poteva aspettarsi l'immunità dalla lotta per l'esistenza; senza di essa e senza la selezione naturale, non sarebbe nemmeno divenuto umano. Lo stato di selvatichezza o di barbarie in cui ancora sussistevano, all'epoca di Darwin, numerose popolazioni umane, rivelava che nel loro passato la lotta per l'esistenza non era stata sufficientemente aspra per elevarli13.

Spencer, assertore dell'evoluzionismo come principio fondamentale dell'universo, era ovviamente indotto ad attribuire pieno valore alle leggi naturali anche sull'uomo. Nella sua vasta Synthetic philosophy diversi punti salienti erano dedicati proprio all'affermazione di tale valore. Nei Principles of biology dimostrava come la diffusione dell'uomo avesse risposto agli stessi princìpi di quella degli altri esseri viventi14. In Principles of psychology descriveva il processo evolutivo dell'intelligenza dagli stadi più bassi fino a quello umano, più elevato ma non estraneo a esso; la trattazione delle leggi dell'intelligenza chiamava indistintamente in causa esempi tratti dall'uomo o dagli animali15.

Il fatto che ricondurre l'uomo all'interno del contesto naturale e delle sue leggi fosse 8 G. PRATO, Introduzione in T.R. Malthus, Saggio sul principio di popolazione, Utet, Torino, 1946, p. xx.

9 C.R. DARWIN, On the origin of species, 1859, cit., p. 64. 10 Ivi, p. 484.

11 Ivi, p. 488.

12 C.R. DARWIN, The descent of man, 1871, vol. 1, cit., p. 135. 13 Ivi, p. 180.

14 H. SPENCER, The principles of biology, 2 voll., D. Appleton and Company, New York, 1898, nel vol. 2, pp. 479- 493.

15 H. SPENCER, The principles of psychology, 2 voll., 2nd edition – stereotyped, Williams and Norgate, London-

prodomo a un generale ripensamento del suo ruolo e del suo destino, della società e della politica, fu dimostrato dal rilievo che nel dibattito sull'evoluzionismo assunse la questione della discendenza dell'uomo. Darwin come detto cercò di tenersene fuori quanto più a lungo possibile; Lyell e Wallace rifiutarono d'applicare l'evoluzionismo agli esseri umani; viceversa, i darwinisti che, come Huxley o Haeckel, erano più interessati alla critica a teologia cristiana e filosofia idealista si focalizzarono proprio sulla dimostrazione della “discendenza dell'uomo dalla scimmia”, come venne volgarmente riassunta nel dibattito popolare.

Agli occhi di Haeckel il riconoscimento dell'origine animale dell'uomo era l'autentica rivoluzione copernicana insita nel darwinismo. Così come la rivoluzione copernicana aveva disvelato il pregiudizio geocentrico, la rivoluzione darwinista era la pietra tombale del pregiudizio antropocentrico. La consapevolezza che l'uomo non sia una creatura a sé, ma solo uno – per quanto più perfetto – dei coronamenti della genealogia animale, doveva presto o tardi, secondo lo scienziato tedesco, provocare un completo rivolgimento nel modo in cui interpretiamo l'universo16.

Col darwinismo la scienza aveva riconosciuto appieno l'uomo quale parte della natura; una natura che già i teologi di fine Settecento sembravano aver accettato essere un meccanismo regolato da leggi precise e invariabili, senza interventi miracolosi. Malgrado l'opposizione di Wallace e Lyell, quando il darwinismo fu accettato dalla comunità scientifica nessun eccezionalismo venne riconosciuto all'uomo: esso era soggetto esattamente alle medesime leggi naturali che regolavano la vita degli animali e delle piante. La sua eccezionalità poteva ritrovarsi in una dimensione spirituale, ultraterrena, di competenza della religione, ma non intaccava il rispetto di tali leggi nella dimensione fisica e terrena, dominio esclusivo della scienza. Se l'uomo era studiabile sulla base delle leggi naturali, anche la società, suo prodotto e creatura, doveva esserlo.