• Non ci sono risultati.

III. L'EVOLUZIONISMO

16. L'evoluzionismo in Germania

In Germania, dove il fissismo non si era diffuso come in Francia o in Gran Bretagna ed esisteva una corrente materialista allora in auge, il riconoscimento dell'opera di Darwin fu particolarmente rapido ed entusiasta: essa fu utilizzata sia in ambito culturale per condurre la polemica anti-idealista e materialista, sia in quello politico come giustificazione scientifica del progressismo1. Nel 1868 Darwin scriveva al fisiologo anglo- tedesco William Thierry Preyer lamentandosi di come in patria fosse «continuamente strapazzato e trattato con disprezzo», ma esprimendo soddisfazione per il sostegno ricevuto dalla Germania, che più d'ogni altra cosa gli faceva sperare nel successo finale della sua tesi2. Dopo la pubblicazione di Descent of man, Preyer si congratulava con Darwin per aver seguito la propria teoria fino alle estreme conseguenze, rendendosi conto di come ciò fosse più difficile in Inghilterra che in Germania3. Nel 1899 un sondaggio tra i lettori della popolare “Berliner Illustrirte Zeitung” elesse On the origin of species libro più influente del XIX secolo e Darwin terzo più grande pensatore dopo due monumenti nazionali tedeschi come Von Moltke e Kant.

Nel 1851 lo scienziato materialista Karl Vogt aveva pubblicato una versione tedesca di

Vestiges of creation, uscito sette anni prima in Gran Bretagna. L'attenzione per On the origin of species fu ancora più rapida: già nel 1860 uscì la traduzione tedesca, opera dello zoologo

di Heidelberg Heinrich Georg Bronn. Fu tuttavia una lezione davanti alla Società dei Naturalisti e Medici Tedeschi, tenutasi a Stettino nel settembre 1863, a fare da cassa di risonanza del darwinismo in Germania. Il suo autore era un allora giovane professore di zoologia all'Università di Jena, nativo di Potsdam: Ernst Haeckel (1834-1919). Tre anni più tardi egli visitò l'Inghilterra e incontrò Darwin, Huxley e Lyell. Assieme a Haeckel, Alfred Brehm, Carl Vogt, E.A. Rossmüller, Fritz Müller, William Preyer, Ludwig Büchner e Friedrich Ratzel negli anni '60 contribuirono a rendere Darwin centrale nel dibattito scientifico-culturale tedesco4.

Haeckel si dedicò all'embriologia comparativa, un ramo di studio che rivelava la correttezza dell'evoluzionismo descrivendo la maniera contorta e in qualche modo contraddittoria, e certo non diretta (come supporrebbe un creazionista), in cui l'embrione di una specie sviluppa la forma finale dell'individuo. Haeckel riprese e sviluppò quella teoria della ricapitolazione che aveva mosso i primi passi sul finire del Settecento ed era stata formulata sotto forma di legge naturale da Étienne Serres (1786-1868) negli anni '20 dell'Ottocento, e la riassunse nella frase: “L'ontogenesi ricapitola la filogenesi”. Secondo questa teoria ogni individuo, nel corso del suo sviluppo, ripercorrerebbe tutte le tappe evolutive compiute dai propri antenati, fin dall'essere primigenio da cui discende. Ad esempio, si notava come l'impronta dei pesci ancestrali fosse ancora ravvisabile nelle 1 F.C. BEISER, The genesis of Neo-Kantianism, cit., pp. 421-424.

2 DCP-LETT-6075, lettera di C.R. Darwin a W. Preyer, 31 marzo 1868. 3 DCP-LETT-7745, lettera di W. Preyer a C.R. Darwin, 8 maggio 1871. 4 F.C. BEISER, The genesis of Neo-Kantianism, cit., p. 424.

fessure branchiali del feto umano. Quando questa teoria haeckeliana declinò sul finire del secolo (si riconobbe allora che, come intuito in precedenza da Von Baer, l'embrione assume spesso forme ancestrali embrionali ma mai adulte), il colpo per l'embriologia fu tale che perse a lungo interesse e contatto con la biologia evoluzionista5.

Nel frattempo questa teoria (difesa in Germania da Meckel e Okel prima di Haeckel) fu però utilizzata dagli idealisti per sostenere la presenza di un piano divino e di uno sviluppo teleologico e lineare6; ma Haeckel fu, almeno dalla lettura di Origin of species in poi, un materialista in aperta polemica con la filosofia idealista. Agli occhi dello scienziato tedesco Darwin si poneva sullo stesso piano di Newton. Quest'ultimo aveva ricondotto a una sola causa (la gravitazione) i complessi movimenti dei corpi nello spazio; Darwin riportava il complesso di tutti i fenomeni organici a una sola legge, una sola causa efficiente (il combinato di eredità e adattamento)7. Il darwinismo rappresentava per lui «la spiegazione meccanica dei fenomeni delle forme organiche, oppure la dottrina delle vere cause nella natura organica»8. La scienza non poteva e non doveva occuparsi della creazione della materia, poiché nulla di essa si sa e si può esperire, e dunque è materia della fede; ma la scienza si occupava dell'origine della forma dei corpi naturali, e nel farlo non doveva preoccuparsi di intaccare o meno le visioni religiose – tanto che Haeckel non si tratteneva dallo scagliarsi contro «quelle assurde rappresentazioni antropomorfiche del Creatore». Il darwinismo riconosceva l'azione esclusiva di cause fisico-chimiche nella natura organica come in quella inorganica, e perciò opponeva il dominio esclusivo del concetto meccanico e causale al teleologismo e al vitalismo ormai sorpassati. Lo studioso di Potsdam proponeva una filosofia monistica, incentrata sull'unità della natura organica e inorganica: le due sono infatti composte dai medesimi elementi e sono solo le combinazioni chimiche tra di essi a distinguerle. Non c'è fine e non c'è la bontà di un Creatore nella natura, proseguiva Haeckel, critico verso i «concetti ottimisti»: vi è semmai una «inesorabile ed inasprita lotta di tutti contro tutti»9. Non di meno, l'interprete tedesco di Darwin sembrava ripescare il finalismo, laddove faceva riferimento alla causa inconscia e priva di scopo che produce un meccanismo che ha uno scopo, ossia la vittoria nella lotta per la vita, e che produce un risultato che è il continuo perfezionamento strutturale (una vera e propria «legge del progresso o del perfezionamento»)10.

Il paragone, proposto da Haeckel, tra Newton e Darwin, per quanto lusinghiero, tendeva a circoscrivere il ruolo del naturalista inglese. Darwin aveva identificato la causa dei fenomeni organici così come Newton aveva identificato la causa dei fenomeni astrali descritti da Copernico. Ergo, anche Darwin doveva avere un proprio Copernico, e questi era, secondo lo studioso tedesco, Lamarck. Haeckel riconosceva al francese la paternità della teoria della discendenza e, con grande scorno di Darwin che sempre aveva rifiutato collegamenti col Lamarck, assegnava all'inglese la sola, per quanto decisiva, 5 J. SAPP, Genesis, cit., pp. 38-40.

6 P. BOWLER, Evolution. The history of an idea, University of California Press, Berkeley, 1984, p. 247.

7 E. HAECKEL, Natürliche Schöpfungeschichte, Georg Reimer, Berlin, 1868; ed. it. (cui si riferiscono tutti i rimandi bibliografici) Storia della creazione naturale, UTET, Torino, 1892, pp. 24-26.

8 Ivi, p. 15.

9 Ivi, pp. 16-23 e pp. 202-205. 10 Ivi, pp. 150-151 e p. 160.

identificazione della causa11. Quel periodo fu caratterizzato anche in Germania da una vasta diffusione del neolamarckismo12 e la reverenza di Haeckel verso il naturalista francese ne era una riprova.

Malgrado la rapida accettazione del darwinismo e l'entusiasmo dimostrato verso di esso, la Germania non ne fu perciò un mero ricettacolo bensì un crogiolo di rivisitazioni ed emendamenti. Il pieno riconoscimento di tutti i cardini della teoria della selezione naturale richiese un tempo maggiore che in Gran Bretagna: ciò probabilmente a causa dell'influsso ostile dell'idealismo, che lasciò a rivaleggiare con le tesi darwiniane una forte e perdurante corrente teleologica e una “tipologista” (secondo cui esiste un tipo specifico attorno al quale gli individui variano, senza potersene distaccare del tutto)13. In tale “fase d'incertezza” sorse tutta una serie di proposte evoluzioniste alternative.

Un darwinista progressivamente sempre più critico fu Moritz Wagner (1813-1887), il quale riteneva che la speciazione potesse avvenire solo in un contesto di isolamento geografico, che rendesse impossibili gli incroci con i simili non mutati. In un primo tempo considerò la propria tesi un semplice emendamento a quella di Darwin, ma col tempo sviluppò l'idea che anche la selezione naturale avesse luogo solo in regime di segregazione, imputando così all'ambiente un ruolo più diretto e lamarckiano nell'evoluzione. Una possibile fonte d'ispirazione per Wagner fu il francese Pierre Trémaux (1818-1895), secondo cui razze e specie si formavano rapidamente in risposta a condizioni ambientali locali, per poi mantenersi in equilibrio per endogamia14.

Un'altra proposta era quella ortogenetica, che si muoveva non sull'analogia specie- individuo di Hyatt, ma su quella specie-embrione. Secondo tale teoria, l'evoluzione non derivava né dalla selezione naturale né da altri e più diretti influssi ambientali, bensì da una tendenza innata d'ogni organismo a evolvere verso una ben precisa direzione. I sistemi genetici ed embriologici erano visti come quelli che dettavano la direzione della variabilità, lasciando alla selezione naturale la semplice possibilità di velocizzare questa tendenza. Sebbene ciò potesse essere inteso come progresso, erano ipotizzati anche fenomeni di parossismo, in cui una certa linea evolutiva poteva portare a svantaggi e infine all'estinzione, come si credeva fosse successo al cervo gigante a causa del suo palco abnorme15. Infatti gli ortogenisti non avevano una visione teleologica, ma puramente meccanicista, e dunque non postulavano un necessario “lieto fine” dell'evoluzione16. L'ortogenesi fu promossa in particolare dagli zoologi tedeschi e neolamarckiani Wilhelm Haacke (1855-1912) e Theodor Eimer (1843-1898) nel corso della loro polemica col connazionale darwinista August Weissmann (1834-1914), ma trovò un suo campione anche nel biologo americano Charles Otis Whitman (1842-1910), allievo dell'ultimo scienziato di 11 Ivi, p. 400.

12 O. JAECKEL, Wege und Ziele der Palaeontologie, “Zeitschrift für Palaeontologie”, vol. 1, n. 1 (1914), pp. 1-58, alla p. 45.

13 F.C. BEISER, German idealism. The struggle against subjectivism, 1781-1801, Harvard University Press, Cambridge, 2002; R. WILLMANN, From Haeckel to Hannig: the early development of Phylogenetics in German-

speaking Europe, “Cladistics”, vol. 19 (2003), pp. 449-479.

14 J.S. WILKINS, Species, cit., pp. 159-160. 15 S.J. GOULD, Ever since Darwin, cit., pp. 79-90. 16 S.J. GOULD, Eight little piggies, cit., pp. 366-367.

rilievo ad adottare la visione creazionista, ossia Louis Agassiz.

La riscoperta della genetica mendeliana assestò un colpo letale al neolamarckismo, ma rappresentò non di meno una sfida anche per il darwinismo: portò in auge la teoria mutazionista in contraddizione col gradualismo filogenetico di Darwin, e destinata dapprima a scontrarsi, ma poi ad essere accolta nella teoria evoluzionista “ortodossa” con la sintesi moderna. Tra i protagonisti della nuova tesi fu il botanico olandese Hugo De Vries (1848-1935), che lanciò la genetica moderna dopo aver riscoperto, indipendentemente da Mendel, le leggi dell'ereditarietà. Egli partì dalla teoria pangenista di Darwin, stabilendo che caratteri differenti dovessero avere veicoli di trasmissione (particelle) differenti, e denominando tali veicoli “pangeni” (da cui l'attuale nome di “geni”); riscoprì dunque le leggi di dominanza, segregazione e assortimento indipendente, e in ultimo il lavoro dello stesso Mendel. Nei suoi esperimenti sulle oenothere osservò una produzione accelerata di varietà e coniò il termine “mutazioni”. Mise perciò in discussione il postulato darwiniano del gradualismo, profondamente radicato nella scienza naturalistica (si pensi al linneiano natura non facit saltus), e teorizzò che l'evoluzione e la speciazione potessero spesso avvenire per il tramite di grandi cambiamenti relativamente improvvisi.

L'enunciazione della Mutationstheorie nel 1901 non giungeva come un fulmine a ciel sereno. Già Francis Galton, il cugino di Darwin, aveva per decenni espresso convinzioni “saltazioniste”, e nel 1894 William Bateson aveva pubblicato una gran messe di materiali attestanti variazioni discontinue17. In ambito germanofono idee saltazioniste erano state espresse nel corso dell'Ottocento da Johannes Peter Müller (1801-1858) e Rudolf Albert von Kölliker (1817-1905).

Il paleontologo Karl Beurlen (1901-1985) cercò invece di coniugare ortogenesi e saltazionismo. Egli riteneva sia il lamarckismo sia il darwinismo narrazioni ideologiche, non empiriche, e meccanicistiche. Il suo orizzonte teorico si radicava forse nella Deutsche

Biologie (o “biologia ariana”)18, a sua volta parte di quel più vasto movimento di “scienza

ariana” che cercò di caratterizzare ideologicamente (e razzialmente) varie discipline scientifiche durante il regime nazista (senza, tra l'altro, conseguire un significativo appoggio da parte del regime stesso, che in cambio di una generica lealtà e superficiali segni di adesione fu ben disposto a lasciare in carica il vecchio establishment scientifico, finché era in grado di produrre conoscenza e tecnica strumentalizzabili per i fini politici del Terzo Reich)19. Secondo i principi della “biologia tedesca”, le leggi regolanti la società umana potevano essere illuminate dallo studio dell'ecosistema, che con quella sarebbe in stretta analogia in quanto sistema naturale in equilibrio dinamico: le Lebengesetze (“leggi vitali”) così ricavate tendevano a un saldo legame tra il popolo e il suo ambiente, quest'ultimo ratzelianamente definito Lebensraum. Il rapporto fondamentale 17 W. BATESON, Materials for the study of variation, treated with especial regard to discontinuity in the origin of

species, MacMillan, New York, 1894.

18 O. RIEPPEL, Karl Beurlen (1901-1985), nature mysticism, and Aryan paleontology, “Journal of the History of Biology”, vol. 45, n. 2 (2012), pp. 253-299.

19 M. GORDIN, W. GRUNDER, M. WALKER, Z. WANG, “Ideologically correct” science, in M. Walker (ed.),

dell'ecosistema, quello tra biocenosi (la comunità degli esseri viventi) e biotopo (l'ambiente), era ricollegata al principio politico di Blut und Boden (“sangue e suolo”)20.