III. L'EVOLUZIONISMO
15. Neo-lamarckismo e altri evoluzionismi
Come dimostrano le fondamentali discordanze persino con Wallace e Huxley, Darwin non era riuscito a rendere tutte le sue teorie moneta corrente nel consesso scientifico dell'epoca. Era riuscito a imporre rapidamente nella scienza l'evoluzionismo, inteso come teoria della discendenza con modificazioni degli esseri viventi da comuni antenati, ma non la sua particolare visione dell'evoluzione, in particolare con riguardo alla centralità della selezione naturale nel meccanismo evolutivo1. La tesi della selezione naturale fu largamente indigesta anche in patria, al pubblico vittoriano, per la sua mancanza di fede nel progresso2, e si sarebbe affermata definitivamente solo negli anni '40 del Novecento con la “sintesi moderna” della teoria evoluzionista. Proprio uno dei suoi artefici, Julian Huxley (nipote di Thomas Henry), definì il periodo intercorrente grosso modo tra il 1890 e il 1940 come quello della “eclissi del darwinismo”: alle origini dell'oscuramento poneva le mancanze degli epigoni di Darwin, i quali si erano fossilizzati su ricerche meramente teoriche e deduttive, spettro laico della teologia naturale3.
Nemmeno Lamarck aveva avuto un subitaneo successo: al contrario aveva passato nell'anonimato gli ultimi anni di vita4. In Germania fu scoperto tardivamente. In Gran Bretagna Lyell aprì il secondo volume dei suoi Principles, interamente dedicato alla vita organica, con una critica alla teoria della trasmutazione5. L'uniformismo di Lyell era traducibile in ciclicità dei tempi, mentre Lamarck assumeva una linearità, un'evoluzione dall'inferiore al superiore6. Non a caso Lyell fu inizialmente scettico, ma poi si lasciò persuadere, sull'evoluzionismo darwiniano, che per il suo carattere di continuo adattamento, più che di progresso unilineare, meglio si prestava a concordare con l'uniformismo del geologo. Darwin fu spesso caustico nei confronti di Lamarck7 e ci teneva a precisare che la sua opera e la sua teoria nulla avevano a che fare con quelle del francese8. Una delle prime obiezioni mosse da Darwin a Lamarck riguardava l'intrinseca tendenza che quest'ultimo assegnava alle specie a cambiare e svilupparsi: l'inglese riteneva altresì possibili lunghi periodi di stasi, poiché l'affermarsi di varietà sarebbe spesso legato a un qualche mutamento di condizioni esterne in grado di fissare i nuovi caratteri fisici rendendoli vantaggiosi rispetto a quelli frutto del precedente adattamento9. Nessuna forza intrinseca né azione diretta del clima, ma solo la lotta tra individui e gruppi era per 1 A.E. MCGRATH, Darwinism and the divine, cit., p. 29.
2 S.J. GOULD, Ever since Darwin, cit., p. 45.
3 J. HUXLEY, Evolution. The modern synthesis, Allen&Unwin, London, 1942, pp. 22-23. 4 A.S. PACKARD, Lamarck, the founder of evolution, cit., pp. 51-63.
5 C. LYELL, Principles of geology, vol. 2, cit., pp. 1-35.
6 A.S. PACKARD, Lamarck, the founder of evolution, cit., p. 130.
7 DCP-LETT-789, lettera di C.R. Darwin a J.D. Hooker, 10-11 novembre 1844 (il libro di Lamarck è «spazzatura»), DCP-LETT-2503, lettera di C.R. Darwin a C. Lyell, 11 ottobre 1859 (lui non ha tratto una sola idea dal francese), DCP-LETT-2773, lettera di C.R. Darwin a A. Murray, 28 aprile 1860 (Lamarck non ha gettato alcuna luce su classificazione ed embriologia), DCP-LETT-4047, lettera di C.R. Darwin a C. Lyell, 17 marzo 1863 (il libro del francese è «assolutamente inutile»).
8 DCP-LETT-4038, lettera di C.R. Darwin a C. Lyell, 12-13 marzo 1863. 9 C.R. DARWIN, The foundations of the origin of species, cit., p. 146.
Darwin all'origine dell'elevamento della specie10. Inoltre il britannico dissentiva da Lamarck anche sull'unilinearità dell'evoluzione dalla semplicità alla complessità: un concetto vagamente teleologico del francese11. Quando il botanico Karl Wilhelm von Nägeli teorizzò la tendenza innata alla perfezione e allo sviluppo progressivo degli organismi, Darwin replicò che tale tendenza era solo una conseguenza inevitabile dell'azione continuativa della selezione naturale12. Il naturalista inglese s'oppose anche alla tesi di St. George Jackson Mivart che, nel tentativo di meglio conciliare evoluzionismo e credo cristiano, propose la presenza d'una forza o tendenza interna capace d'indirizzare lo sviluppo degli organismi: secondo Darwin non v'era altra tendenza che quella a variare casualmente, la cui direzione era poi impressa dalla selezione naturale13.
Tuttavia, rispetto al lamarckismo Darwin non fu in grado di escludere totalmente l'ereditarietà di caratteri acquisiti, solo di porla in dubbio e ridimensionarla nell'economia generale dell'evoluzione14. Nell'edizione definitiva di Origin dubbi sortigli nel frattempo sulle possibilità di affermazione di singole variazioni individuali, pure vantaggiose, lo portarono a ipotizzare che fattori esterni potessero indurre variazioni in una determinata direzione15, il che appariva una aperta concessione al lamarckismo circa il peso dell'azione diretta dell'ambiente esterno. Persino Lyell, scrivendo nel 1863 a Darwin (che non era per nulla d'accordo), confidò di essere stato troppo severo verso lo studioso francese16. L'ambiguità di Darwin e dei suoi sodali o seguaci in merito all'ereditarietà dei caratteri acquisiti avrà certo contributo ad aprire le porte al neo-lamarckismo.
Sul finire del XIX secolo, infatti, molti evoluzionisti in cerca di un'alternativa al darwinismo rilessero Lamarck. La visione neo-lamarckiana non presupponeva necessariamente l'ereditarietà dei caratteri acquisiti: il suo perno teorico stava invece nel considerare la variazione un effetto e non, come in Darwin, una variabile indipendente17. Rispetto allo scienziato francese da cui pure prendevano il nome, secondo i neo- lamarckiani l'acquisizione dei caratteri non era un processo attivo e creativo dell'organismo in risposta alle sue necessità, ma una mera imposizione dell'ambiente su organismi passivi18.
10 Ivi, p. 227.
11 Nell'abbozzo del 1844 (C.R. DARWIN, The foundations of the origin of species, cit., p. 227) era disponibile ad ammettere che più spesso la selezione naturale complicasse un organismo, ma era possibile anche che lo semplificasse.
12 C.R. DARWIN, On the origin of species, 1876, cit., p. 175. 13 Ivi, p. 201.
14 Nell'abbozzo del 1842 (C.R. DARWIN, The foundations of the origin of species, cit., p. 44) scriveva che le strutture e peculiarità sviluppate con l'esercizio sarebbero state ereditate dalla discendenza in un periodo della vita
equivalente a quello dello sviluppo nel genitore. Anche in quello del 1844 (C.R. DARWIN, The foundations of the
origin of species, cit.) ammetteva che caratteri fisici o mentali, acquisiti o modificati dagli individui durante la loro
vita per influsso esterno, uso o disuso, venissero spesso trasmessi alla prole come quelli congeniti (pp. 57-61, 239). Ancora nella sesta edizione dell'opera (C.R. DARWIN, The origin of species, 6a ed., cit., pp. 108-109) esprimeva
cautela nel negare la trasmissione ereditaria di mutilazioni accidentali. 15 C.R. DARWIN, On the origin of species, 1876, cit., pp. 71-73. 16 DCP-LETT-4041, lettera di C. Lyell a C.R. Darwin, 15 marzo 1863.
17 L. LOISON, French roots of French neo-Lamarckism, “Journal of the History of Biology”, vol. 44, n. 4 (2011), pp. 713-744, alle pp. 715-716.
Il neo-lamarckismo offriva una versione semplificata dell'evoluzione: non vi era più la doppia azione delle variazioni casuali negli organismi e dell'ambiente che le seleziona, bensì la sola azione diretta dell'ambiente sull'organismo che, se in grado di rispondervi opportunamente, sopravvive e si riproduce19. Il neo-lamarckismo era insomma una teoria della variazione non casuale ma diretta dall'ambiente. Oltre alla maggiore semplicità, l'altra sua grande attrattiva risiedeva nell'apparire una tesi moralmente più gradevole: ripudiava la casualità e premiava gli sforzi individuali20. La tradizione teologico-naturale inglese aveva sempre rifiutato un ruolo al caso: secondo la critica di Paley, nessuna struttura complessa quanto quelle anatomiche osservabili nell'uomo poteva essere fortuita21. Tramite il neo-lamarckismo poté, secondo Livingstone, sopravvivere la teologia naturale dopo Darwin22. Esso meglio si prestava a una lettura teleologica della natura, rispetto al darwinismo, che su questo punto era difficile da situare, come dimostrano pure i ripensamenti in materia di Thomas Huxley23, ma in linea di massima ammetteva una cosmologia atea e fondata sulla casualità. Il senso comune dell'epoca vittoriana credeva nell'inesorabilità del progresso e provava disagio di fronte a una teoria che non lo prevedesse esplicitamente24: George Bernard Shaw riteneva il lamarckismo più umano e ottimista25. Lo stesso Darwin, riflettendo sull'operare della selezione naturale guidata dal caso e dalla distruzione dei meno adatti, giudicava le opere della natura «mal costruite, goffe, basse e orribilmente crudeli»26.
Tratti neo-lamarckiani si ritrovano pure nel pensiero di George Romanes (1848-1894), caro discepolo di Darwin che ne introdusse le tesi in ambito psicologico gettando le fondamenta della psicologia comparativa. Romanes definì Wallace e Weissman, a causa del loro rigido selezionismo, “neodarwinisti”, “ultra-darwiniani” o “più darwiniani di Darwin”: egli credeva invece che, a fianco della selezione naturale, operasse anche l'ereditarietà dei caratteri acquisiti27. Le specie sorgevano a suo avviso attraverso l'azione dell'ambiente, che poteva mutare i tratti ereditari (specie blastogenetiche) oppure influire costantemente su caratteristiche non ereditarie (specie somatogenetiche)28. Herbert Spencer fu forse più lamarckiano che neo-lamarckiano: il suo trasmutazionismo era infatti precedente a Origin of species, probabilmente mutuato da Erasmus Darwin tramite la 19 Ivi, pp. 78-79.
20 Ivi, p. 83.
21 W. PALEY, Natural Theology, cit., pp. 62-63.
22 D.N. LIVINGSTONE, Natural Theology and Neo-Lamarckism, cit., pp. 16-17.
23 Nel 1860, dopo aver letto On the origin of species, Huxley lo interpretò come «il colpo mortale […] alla teleologia» (T.H. HUXLEY, Lay Sermons, Addresses, and Reviews, Macmillan, London, 1870, p. 301) Alcuni anni dopo, tuttavia, tornando a riflettere sull'argomento concluse che solo «le forme più comuni e volgari di teleologia» fossero incompatibili con l'evoluzionismo (T.H. HUXLEY, On the reception of the “Origin of Species” in C.R. DARWIN,
The life and letters of Charles Darwin, vol. 2, cit., pp. 179-204, alla p. 201).
24 S.J. GOULD, Ever since Darwin, cit., p. 45.
25 P.J. BOWLER, Holding your head up high. Degeneration and orthogenesis in theories of human evolution in J.R. Moore (ed. by), History, humanity and evolution. Essays for John C. Greene, Cambridge University Press, Cambridge-New York-Melbourne, 1989, pp. 329-354, alla p. 330.
26 DCP-LETT-1924, lettera di C.R. Darwin a J.D. Hooker, 13 luglio 1856.
27 G.J. ROMANES, Darwin, and after Darwin. An exposition of the Darwinian theory and a discussion of post-
Darwinian questions, 4th ed., vol. 1, Open Court, Chicago, 1910, pp. 273-275.
comunità filosofica di Derby29, e, per quanto dopo il 1859 Spencer accogliesse la teoria della selezione naturale, non si liberò mai del tutto di certe convinzioni nutrite in precedenza.
Vaghe reminiscenze lamarckiane aveva la teorizzazione di James Mark Baldwin (1861- 1934), lo psicologo americano che osservò come la capacità di un organismo d'apprendere nuovi comportamenti avesse degli effetti sul successo riproduttivo e, dunque, il futuro genetico della specie. L'ingresso in un nuovo ambiente, o un improvviso cambiamento del proprio habitat, favorirebbero gli individui in grado di rispondere flessibilmente e anticipare nel comportamento i tratti fisiologici che si potranno sviluppare solo nell'arco di generazioni. A differenza del lamarckismo non si statuiva alcuna ereditarietà di caratteri acquisiti, ma solo che caratteri acquisiti potessero favorire la trasmissione di caratteri genetici. Per tale ragione il cosiddetto “effetto Baldwin”, a differenza del neolamarckismo, non è stato smentito dalla genetica mendeliana ma è entrato a far parte della “sintesi moderna” dell'evoluzionismo.
Ammiratore di Lamarck era pure Alpheus Hyatt (1838-1902), paleontologo americano che nacque l'anno in cui Darwin imprimeva per la prima volta su carta la propria teoria. Hyatt era convinto che il ciclo di ontogenesi e quello di filogenesi si dipanassero secondo la medesima sequenza: così, proprio come un individuo nasce, si sviluppa e deperisce fino alla morte, anche l'evoluzione di una determinata specie avrebbe un acme, dopo il quale va regredendo fino all'estinzione30.
Il Paese dove il neo-lamarckismo ebbe maggior successo fu però proprio quella patria che a Lamarck, egli vivente, non aveva concesso grossi onori: la Francia. Scettici verso le idee di Darwin così come nei confronti della genetica mendeliana, i biologi francesi continuarono a coltivare un filone nazionale di evoluzionismo ispirato ai principi neo- lamarckiani fino a oltre la metà del Novecento31.
29 P. ELLIOTT, Erasmus Darwin, Herbert Spencer, and the origins of the evolutionary woldview in British provincial
scientific culture, 1770-1850, “Isis”, vol. 94, n. 1 (2003), pp. 1-29.
30 A. HYATT, Cycle in the life of the individual (Ontogeny) and in the evolution of its own group (Phylogeny), “Science”, vol. 5, n. 109 (1897), pp. 161-171.
31 E. BOESIGER, Evolutionary biology in France at the time of the evolutionary synthesis, in E. Mayr, W.B. Provine (eds.), The evolutionary synthesis, Harvard University Press, Cambridge, 1998, pp. 309-321; P.J. BOWLER, The
eclipse of Darwinism, Johns Hopkins University Press, London, 1992, pp. 107-117; Y. CONRY, L'introduction du darwinisme en France au XIXe siècle, Vrin, Paris, 1974.