III. L'EVOLUZIONISMO
14. I primi darwinisti
Malgrado la relazione cordiale e di stima reciproca tra Darwin e Wallace, anche tra loro sorsero dissidi di tipo scientifico. Ad esempio Wallace disapprovava il ruolo centrale che l'allevamento ricopriva nell'argomentazione darwiniana, ritenendo che l'evoluzione per selezione naturale andasse dimostrata per l'appunto in natura1. Ma a dividerli fu soprattutto il ruolo stesso della selezione naturale nell'evoluzione: preponderante per Darwin, esclusivo per Wallace2. Wallace riteneva che ogni tratto dovesse avere una causa funzionale3. Darwin sostenne invece l'operare anche di altre forze, come la regressione dei caratteri mutati (il riproporsi di caratteristiche proprie di generazioni precedenti), la correlazione di sviluppo (l'evolversi di un organo che comporta modifiche non adattative da parte di altri organi correlati), il caso fortuito (un organo evoluto per adattamento che può rivelarsi utile anche per altre funzioni); da queste forze potevano secondo lui evolversi caratteri neutri rispetto alla selezione naturale e perciò non eliminati da essa4. A dispetto del caotico universo darwiniano, Wallace ne descriveva uno integralmente dominato dalla selezione naturale, con un progressivo, costante e indefettibile adattamento degli organismi all'ambiente: un sistema armonioso, ordinato, in cui la selezione naturale diveniva una sorta di forza divina che informava l'evolversi del cosmo5.
Nel 1867 Wallace poteva affermare che ogni organo, istinto, abitudine, relazione doveva essere o essere stato utile alla specie o razza che lo recava – e attribuiva questa consapevolezza a Darwin stesso come «necessaria deduzione dalla teoria della selezione naturale»6. Il fatto che in realtà Darwin non condividesse questa posizione sarebbe divenuto evidente di lì a poco, quando i due padri dell'evoluzionismo si affrontarono sulla questione della selezione sessuale. Nel 1871 Darwin pubblicò The Descent of Man, and
Selection in Relation to Sex, nel quale sosteneva che la differenziazione in razze dell'uomo
sarebbe dipesa dal divergere dei gusti sessuali, e che in generale la selezione sessuale agiva parallelamente a quella naturale. Spiegava inoltre che alcuni caratteri non sono di alcuna utilità se non quella di conquistare un partner per la riproduzione. Tale ipotesi non convinse Wallace, disposto ad accettarla solo nella misura in cui la selezione sessuale assecondava quella naturale, ad esempio premiando il maschio più forte7.
1 H.J. RHEINBERGER, P. MCLAUGHLIN, Darwin's experimental Natural History, “Journal of the History of Biology”, vol. 17, n. 3 (1984), pp. 345-368, alle pp. 346-349. Sull'analogia praticata da Darwin tra natura e allevamento, si veda anche B. THEUNISSEN, Darwin and his pigeons. The analogy between artificial and natural
selection revisited, “Journal of the History of Biology”, vol. 45, n. 2 (2012), pp. 179-212, secondo cui Darwin poté
riconoscere un ruolo precipuo alla selezione – dell'allevatore e di conseguenza della natura – sottostimando erroneamente altre tecniche di allevamento, come l'incrocio e l'inincrocio.
2 S.J. GOULD, The Panda's thumb, cit., p. 50.
3 J.G.T. ANDERSON, Deep things out of darkness, cit., p. 169.
4 C.R. DARWIN, The descent of man, and selection in relation to sex, 2 voll., John Murray, London, 1871, vol. 1, pp. 152-154.
5 S.J. GOULD, The Panda's thumb, cit., p. 50.
6 A.R. WALLACE, Mimicry, and other protective resemblances among animals, “Westminster and foreign quarterly review”, vol. 88, no. 173, n.s. 32, no.1 (1867), pp. 1-43, alle pp. 2-3.
Uno scontro ancor più significativo tra Wallace e Darwin avvenne in merito alle origini dell'uomo. In questa controversia, curiosamente, le posizioni apparvero quasi rovesciate: Wallace, assertore dell'onnipresenza della selezione naturale come fattore determinante d'ogni forma biologica, sosteneva che l'uomo costituisse l'eccezione. Esso possiede caratteri che, a suo avviso, non avrebbero giovato alle forme inferiori in cui i primi rudimenti avevano dovuto svilupparsi (ad esempio la mancanza di peli); oppure caratteri ridondanti, come il cervello già pienamente sviluppato nei selvaggi8. Anomalie ch'egli spiegava con l'azione di una «intelligenza superiore» che, in maniera preveggente, aveva disposto fin dalle origini quei caratteri fisici e morali in seguito necessari al pieno sviluppo dell'uomo9. Quando per la prima volta Wallace mise nero su bianco queste convinzioni, in una recensione a Lyell del 1869, Darwin gli scrisse privatamente di sperare che non avesse «ucciso troppo totalmente il suo e mio figliolo», ossia la teoria dell'evoluzione tramite selezione naturale10. Nel 1871 con The descent of man e nel 1872 con Expression of the
emotions Darwin inserì l'uomo appieno nel sistema naturale da lui descritto. Non solo
elencava i caratteri fisici che dimostravano la discendenza dell'uomo da forme inferiori e le modalità in cui ciò era presumibilmente avvenuto ma, rispondendo alle tesi di Wallace, argomentava anche su come le facoltà intellettive e morali potessero essere avanzate grazie alla selezione naturale. La struttura fisica e cerebrale dell'uomo, spiegava Darwin, ricalcava un tipo comune a tutti i mammiferi11. Le principali espressioni fisiche umane, utilizzate come mezzi di comunicazione, erano innate e derivate da movimenti muscolari in risposta a particolari sollecitazioni nervose12 – proprio come succede nelle altre specie animali, in particolare in quelle superiori che hanno in comune con l'uomo le emozioni13. Wallace aveva torto, a giudizio di Darwin, a ritenere che la selezione naturale avrebbe potuto dare al selvaggio un cervello solo di poco superiore a quello della scimmia14 e nessun senso morale. Negli animali sociali, com'è appunto l'uomo, la selezione naturale fa conservare anche caratteri utili non all'individuo ma al gruppo: tra questi l'innata simpatia verso i compagni15. La moralità è radicata nella natura animale prima ancora che in quella umana: i progenitori semi-umani, guidati dall'istinto e non dalla ragione, non praticavano infanticidio o poliandria (osservabili invece tra gli umani selvaggi), in quanto l'istinto degli esseri inferiori non è perverso16. L'uomo e gli animali superiori, proseguiva, hanno in comune alcuni istinti e facoltà intellettive, inclusa la ragione17. Nelle scimmie Darwin riteneva d'osservare i rozzi primi passi dell'architettura, dell'abbigliamento, della guerra 8 A.R. WALLACE, Contributions to the theory of natural selection. A series of essays, Macmillan, London, 1870, pp.
332-371. 9 Ivi, p. 359.
10 F. DARWIN, A.C. SEWARD, More letters of Charles Darwin. A record of his work in a series of hitherto
unpublished letters, vol. 2, John Murray, London 1903, pp. 39-40; J. MARCHANT, Alfred Russel Wallace letters and reminiscences, vol. 1, Cassell, London, 1916, pp. 240-241.
11 C.R. DARWIN, The descent of man, 1871, vol. 1, cit., pp. 10-14.
12 C.R. DARWIN, The expression of the emotions in man and animals, John Murray, London, 1872, pp. 348-367. 13 C.R. DARWIN, The descent of man, 1871, vol. 1, cit., pp. 41-42.
14 Ivi, pp. 136-138. 15 Ivi, pp. 154-155. 16 Ivi, pp. 134-135. 17 Ivi, pp. 48-49.
con armi da lancio18. La formazione del linguaggio era spiegata con un metodo analogo a quello della formazione delle specie19 e la nascita della religione come un prodotto di immaginazione e ragione, esercitate per capire il mondo circostante20.
La relazione tra uomo e scimmia, viste le sue delicatissime implicazioni in campo religioso (e più in generale verso il ruolo che gli esseri umani si assegnano nella natura), fu oggetto di discussioni che andarono oltre quelle tra Darwin e Wallace. Una di queste controversie fu quella che, ironicamente, venne ribattezzata da osservatori coevi come la “Grande Questione dell'Ippocampo”, che oppose l'anatomista e paleontologo Richard Owen (1804-1892) al biologo Thomas Henry Huxley (1825-1895)21.
Owen conosceva Darwin fin dal ritorno di quest'ultimo dal Sudamerica, quando fu coinvolto da Lyell nello studio delle ossa fossili recate dall'allora giovane naturalista. Pur essendo un evoluzionista, Owen rifiutava la selezione naturale, considerata una teoria troppo materialista e che sopravvaluta il ruolo dell'ambiente esterno e sminuisce le leggi delle strutture organiche22. L'anatomista non credeva neppure alla discendenza dell'uomo dalla scimmia e perciò, fin dalla metà degli anni '50, si era prodigato a confutarla asserendo che il cervello umano avesse strutture diverse dal cerebro dei primati, in particolare l'ippocampo minore. Era questo elemento, a suo avviso, a conferire all'uomo il ruolo di padrone del mondo e di tutto il creato inferiore23, suscitando le perplessità di Darwin24. Le sue asserzioni furono contrastate da Huxley che, assieme ad altri anatomisti, dimostrò come le caratteristiche che Owen aveva descritto quali peculiarità umane fossero in realtà presenti anche nelle scimmie. La contesa, che a tratti aveva assunto connotati volgari e violenti tanto da attirare interesse e parodie al di fuori degli ambienti scientifici, si chiuse nel 1863 con la pubblicazione di due opere che dettagliatamente mostravano le analogie anatomiche nei cervelli di uomo e scimmie: Evidence as to man's place in nature di Huxley e Geological evidences of the antiquity of man di Lyell25. Tre anni più tardi anche Owen, pur continuando a difendere la sua idea dell'uomo come una classe distinta da tutti gli altri mammiferi, dovette ammettere l'errore compiuto in merito all'ippocampo minore. L'analogia cerebrale tra uomo e altri mammiferi sarebbe stata utilizzata anche da Darwin quando scelse finalmente di schierarsi sulla questione della discendenza dell'essere umano da forme inferiori26.
Owen e Huxley si sfidarono, seppur indirettamente, anche nel celebre dibattito che si tenne il 30 giugno 1860 a Oxford, sette mesi dopo la pubblicazione di Origin of species, sulle tesi darwiniane. Owen non fu uno dei protagonisti ma contribuì a mobilitare e istruire il 18 Ivi, p. 53.
19 Ivi, pp. 59-60. 20 Ivi, pp. 65-67.
21 Una recente ricostruzione e discussione dell'episodio è in C.E. COSANS, Owen's ape & Darwin's bulldog. Beyond
Darwinism and Creationism, Indiana University Press, Bloomington, 2009.
22 S.J. GOULD, Eight little piggies, cit., p. 80.
23 C.G. GROSS, Hippocampus Minor and man's place in nature. A case study in the social construction of
Neuroanatomy, “Hippocampus”, vol. 3, n. 4 (1993), pp. 403-416, alle pp. 403-405.
24 DCP-LETT-2117, lettera di C.R. Darwin a J.D. Hooker, 5 luglio 1857.
25 T.H. HUXLEY, Evidence as to man's place in nature, Williams & Norgate, London, 1863; C. LYELL, Geological
evidences of the antiquity of man, John Murray, London, 1863.
vescovo Samuel Wilberforce, tra i più riveriti oratori dell'epoca, affinché attaccasse la nuova opera. Ad assumersi l'onere di difendere Darwin, troppo malato per partecipare in prima persona, fu principalmente Huxley.
Uomo di umili origini che era riuscito a farsi strada e a diventare un rispettato studioso, Huxley abbracciò con entusiasmo e col suo caratteristico piglio polemico e combattivo la causa darwinista, tanto da autodefinirsi «il bulldog di Darwin». Una parte dell'entusiasmo dovette derivare dal modo in cui l'evoluzionismo gli sembrava rientrare nella sua personale crociata per laicizzare la cultura britannica: infatti lo declinò immediatamente in chiave umana e introdusse per primo, in maniera esplicita, l'argomento della discendenza dalla scimmia27. Nutriva però diverse riserve sulla teoria darwiniana: più di tutto era in disaccordo con l'idea che l'evoluzione avvenisse per sommatoria di piccole modificazioni, ritenendo altresì possibili dei balzi evolutivi. La verità è che Darwin aveva mobilitato una fitta schiera di sostenitori dell'evoluzionismo, niente affatto disposto però a concedergli un assegno in bianco in merito a tutti i dettagli della teoria.