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II. LE ORIGINI DELLE SCIENZE NATURALI

8. Classificare la natura

Il corpus di conoscenze empiriche, che per estensione e dettaglio si faceva sempre più complesso, convinse i naturalisti, sul finire del Seicento, a dedicarsi alla sistematizzazione del loro sapere, riclassificando gli oggetti naturali (ancora principalmente specie botaniche) in nuove tassonomie1. Il viaggio, l'osservazione diretta e in natura dell'oggetto, persero di rilievo rispetto alla raccolta di nozioni e campioni trasmessi da altri, spostando spesso il naturalista dal campo aperto alle quattro mura del suo studio; ciò si tradusse anche in enfasi sulla morfologia, più che sul ciclo vitale, la localizzazione e le relazioni con le specie e i fenomeni circostanti2. La decontestualizzazione delle specie viventi dal loro ambiente avrebbe prevalso per secoli, e solo nell'Ottocento si sarebbe giunti a una scienza dell'ecologia3.

Si può distinguere tra una tassonomia pre-biologica, da Platone a Locke, universale e in cui era specie qualsiasi categoria che potesse trovare una definizione o essenza individuale, e una tassonomia biologica, che si affermò dal Settecento4. I criteri di classificazione, in una prima fase, erano molto vari e spesso antropocentrici: le piante potevano essere classificate in base alla nazione sul cui territorio si trovavano, oppure alla loro estetica, o ancora al beneficio o danno che arrecavano all'uomo5. Gaspard Bahuin (1560-1624), impegnato a riordinare la messe di nozioni confusamente acquisite dai predecessori e contemporanei, fissò lo standard per descrivere le specie vegetali, focalizzandosi sull'aspetto delle loro varie parti6.

Nella Pisa del Cinquecento, Luca Ghini (1490-1556), con l'introduzione dell'erbario (la raccolta di piante disidratate e pressate per permetterne una certa identificazione), inaugurò la botanica empirica7. Il suo allievo Andrea Cesalpino (1519-1603) basò la propria classificazione delle piante sulla filosofia aristotelica, ricercandone l'essenza. Mancando le piante di sensazione, movimento e ragione, esse potevano venir classificate solo sulla base della rimanente facoltà dell'anima teorizzata dallo Stagirita, quella basilare di nutrimento, crescita e riproduzione8. In particolare la riproduzione determinava la specie: Cesalpino scartò le caratteristiche più variabili e dipendenti dall'ambiente per concentrarsi su quelle più regolari, ossia gli organi di fruttificazione9. Il carattere del frutto come base di classificazione sarebbe stato adottato pure da Fabio Colonna (1567-1650) e Robert Morison (1620-1683), mentre Rivinus (1652-1725) e Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708) 1 Ivi, pp. 46-49; A. WOLF et al., A history of science, technology, and philosophy in the 16th & 17th centuries, cit., p.

394.

2 B.W. OGILVIE, The science of describing, cit., pp. 210-214. 3 Ivi, p. 270.

4 J.S. WILKINS, Species, cit., p. 9.

5 B.W. OGILVIE, The science of describing, cit., pp. 215-217.

6 A. WOLF et al., A history of science, technology, and philosophy in the 16th & 17th centuries, cit., p. 397.

7 A.G. MORTON, History of botanical science: An account of the development of botany from ancient times to the

present day, Academic Press, London, 1981, pp. 121-124.

8 B.W. OGILVIE, The science of describing, cit., pp. 223-224. 9 Ivi, pp. 224-225.

preferirono il numero e la connessione dei petali10.

La critica dell'aristotelismo di Francis Bacon (1561-1626)11 favorì questo passaggio a un approccio induttivo nella ricerca dell'essenza delle cose. John Ray (1627-1705) fu il primo a definire una nozione strettamente biologica di specie12. Memore della lezione di Cesalpino, riteneva che solo la struttura e la forma potessero guidare la classificazione e che i tratti cui prestare attenzione fossero quelli che si trasmettevano di generazione in generazione13. Tali tratti erano quelli che si perpetuavano all'interno del seme: nessuna specie nasce dal seme di un'altra, e le variazioni osservabili tra due individui nati dal seme della medesima specie sono variazioni accidentali14. A questa “essenza”, fondamento dell'aspetto esteriore, mirava anche Nehemiah Grew (1641-1712), che la riteneva trovarsi insita nella struttura microscopica degli organismi15.

Conrad Gesner (1516-1565) fu il primo ad applicare la distinzione formale tra genere e specie in botanica, ma la sua opera rimase poco conosciuta16. Fu invece il già citato Bahuin a introdurre la nomenclatura binomiale e divulgare l'uso delle categorie di “genere” e “specie”; ma, notano gli studiosi17, lo fece in maniera meno coerente di Linneo e declinandole in un senso aristotelico, pre-teorico e collegato alle classificazioni popolari di natura intuitiva. Il riferimento è alla cosiddetta folkbiology18 da cui pure, stante la tendenza ad asportare campioni dall'ambiente e analizzarli in laboratorio, privandoli dunque dei caratteri contestuali e comportamentali che sono essenziali nelle classificazioni popolari, i naturalisti avrebbero finito col divergere19. Inoltre Bahuin intendeva solo classificare le specie conosciute, e non – come successivamente Linneo – costituire un'intelaiatura generale che permettesse di inserirvi anche le specie ancora da scoprire20.

Joachim Jungius (1587-1657)21 fece propria la nomenclatura binomiale di Bahuin ma ne rifiutò la classica tripartizione delle specie vegetali in alberi, arbusti ed erbe. Parimenti pronunciò la sua condanna per quelle classificazioni estetiche basate sul colore, l'odore e il sapore, nonché quelle utilitaristiche fondate sull'utilità medicinale. In zoologia, Ray partì dalla classificazione aristotelica in vertebrati e invertebrati per costruire tutta una serie di 10 A. WOLF et al., A history of science, technology, and philosophy in the 16th & 17th centuries, cit., pp. 400-401.

11 F. BACON, Novum organum scientiarum, Billium, Londinium, 1620. 12 J.S. WILKINS, Species, cit., p. 65.

13 J.G.T. ANDERSON, Deep things out of darkness, cit., p. 61. 14 J.S. WILKINS, Species, cit., p. 66.

15 Ivi, pp. 68-69.

16 A. ARBER, Herbals: Their origin and evolution. A chapter in the history of botany 1470–1670, Cambridge University Press, Cambridge, 19382, p. 166.

17 B.W. OGILVIE, The science of describing, cit., p. 218; J.S. WILKINS, Species, cit., p. 57.

18 S. ATRAN, Cognitive foundations of natural history: Towards and anthropology of science, Cambridge University Press, Cambridge, 1990, pp. 130-138. Il concetto di folkbiology nasce nell'ambito degli studi cognitivi e indica il modo in cui i membri di una società classificano comunemente piante e animali in gruppi la cui esistenza è considerata evidente (cfr. D.L. MEDIN, S. ATRAN, eds., Folkbiology, MIT Press, Cambridge, 1999). Questa categoria richiama quella di “scienza del concreto” di Claude LÉVI-STRAUSS (La pensée sauvage, Plon, Paris, 1962), secondo cui la menta umana ha bisogno di ordine e dunque colloca ogni oggetto di cui è consapevole in una rudimentale tassonomia.

19 B.W. OGILVIE, The science of describing, cit., pp. 221-222. 20 Ivi, p. 218.

sottoclassi22. Tale sistema sarebbe stato in buona parte ripreso, assieme alla definizione di specie come quelle forme che mantengono sempre la propria natura specifica e che non crescono dal seme di un'altra specie23, da Carl Linnaeus (1707-1778), perfezionatore della tassonomia col suo Systema naturae, pubblicato in prima edizione nel 1735 ma destinato a continui ampliamenti

È curioso che porre ordine nella classificazione delle specie naturali toccasse a un giovane svedese dalla vita allora estremamente disordinata24; ma prima di lui ciascun autore affibbiava a ogni specie un nome composto spesso da numerosi termini descrittivi in latino (le aristoteliane differentia applicate al genere), senza nessuna convenzione riconosciuta. Linneo ridusse lo schema a binomiale, con un'unica parola per indicare la specie interna al genere25.

Linneo non aveva la pretesa di rappresentare la gerarchia fissata da Dio, ma un'organizzazione coscientemente artificiale: «Dio ha creato, Linneo organizzato» (Deus

creavit, Linnaeus disposuit) è una frase frequentemente attribuitagli. Qualche generazione

prima, John Locke (1632-1704) aveva descritto la suddivisione in specie come convenzionale, un ausilio alla conoscenza, ed è dimostrata la sua influenza quanto meno sui naturalisti francesi26. Anche lo svedese Linneo aveva l'utilità dello studioso in vista, nel realizzare la propria classificazione. Egli organizzò il creato suddividendolo in tre regni – animale, vegetale e minerale – a loro volta suddivisi in classi e, scendendo nella gerarchia, ordini, generi e specie: solo queste ultime due classificazioni erano, secondo Linneo, divine e naturali, le altre create per l'utilità dell'osservatore. In apparenza, i generi erano per lui più reali delle specie: riteneva possibile il sorgere di nuove specie a mezzo ibridazione, ma senza mai superare i confini invalicabili dei generi27. Il suo punto di riferimento era ancora la scala naturae, la progressione gerarchica delle specie viventi (tant'è vero che, pur in presenza di scarse e dubbie testimonianze in merito, inserì una specie subumana, chiamata

Homo troglodytes, come per lui necessario anello di congiunzione tra l'uomo e la scimmia)28, ma Linneo divenne sempre più attento ai fenomeni di ibridazione e metamorfosi (indotta dall'ambiente) nei vegetali, arrivando a imputare a Dio la creazione di una sola pianta per ciascun ordine, da cui discendeva la suddivisione in generi e la moltiplicazione delle specie29.

All'utilità dell'osservatore mirava precipuamente la classificazione proposta da un coetaneo di Linneo, George-Louis Leclerc conte di Buffon (1707-1788), nella sua Histoire

Naturelle. Le specie erano organizzate secondo la presumibile familiarità del lettore: prima

le addomesticate e poi le selvatiche, prima quelle del clima temperato e poi quelle d'area tropicale. Non si trattava d'un passo indietro verso una scienza più imperfetta, bensì d'una scelta meditata e fondata sulla convinzione, nutrita da Buffon, che la natura fosse un 22 J. RAIO, Synopsis methodica animalium quadrupedum et serpentini generis, S. Smith & B. Walford, Londini, 1693. 23 J. RAIO, Historia plantarum, Maria Clark, Londini, 1686.

24 J.G.T. ANDERSON, Deep things out of darkness, cit., pp. 62-66.

25 J. CLUTTON-BROCK, Naming the scale of nature, cit., p. 174; J.S. WILKINS, Species, cit., p. 70. 26 J.S. WILKINS, Species, cit., pp. 62-65.

27 Ivi, p. 70.

28 S.J. GOULD, The flamingo's smile: Reflections in Natural History, Norton & Co., New York, 1987, pp. 263-264. 29 J.S. WILKINS, Species, cit., pp. 71-73.

«flusso di movimento continuo»30, fatto di gradazioni che arrivavano ad unire una specie all'altra, tanto da renderne i confini arbitrari. Intravedeva in questa confusione un tipo originario, la vera forma di un genere, degradante in numerose mostruosità – sebbene non si spingesse fino a teorizzare la trasmutazione delle specie31.

La visione essenzialista della specie stava lasciando il campo ad una nominalista, che minimizzava il solco tra l'uomo e gli animali, ammorbidiva la rigidità della categoria di “specie” e le dava un valore meramente biologico e non più filosofico: questa tendenza la si osserva ad esempio anche in Charles Bonnet (1720–1793)32. Nella seconda metà del Settecento autori come Vitaliano Donati (1717-1762), Johann Hermann (1738-1800) e Jean Baptiste Robinet (1735-1820) resero popolare la visione della natura come “rete”, in cui le specie rappresentano i nodi e non sono, perciò, rigidamente separate in base ai generi e agli ordini, ma è possibile rinvenire similitudini anche attraverso queste macro-categorie33. Lo scopo di tutte queste classificazioni era, fondamentalmente, permettere al naturalista d'identificare con certezza le specie che si trovava davanti, e ordinarle secondo un qualche criterio razionale34. Per tale ragione, le tassonomie di Ray, Linneo e degli altri studiosi dell'epoca sono state criticate come arbitrarie, non scientifiche, istintive, basate sull'autorevolezza dell'autore35. Ma essi erano pienamente consci di praticare delle classificazioni artificiali, in cui la presenza o assenza di caratteri selezionati determinava l'appartenenza a una medesima specie; e che una classificazione naturale avrebbe richiesto di creare raggruppamenti uniformi su tutti i caratteri possibili: un compito, quest'ultimo, che giudicavano a ragione a dir poco improbo36.

L'evoluzionismo segnò una svolta nel dibattito tassonomico: la ricerca non poteva più focalizzarsi su criteri scelti arbitrariamente (tanto meno quelli fondati sulla soggettività umana poiché, se le specie non sono state create così come sono oggi né per il diletto dell'uomo, i caratteri sono valutabili scientificamente solo in funzione dell'utilità della specie stessa che li possiede37), ma nemmeno necessitava di ampliarsi a tutti i caratteri possibili. Si poteva invece mirare all'essenza della specie, quel legame occulto che da sempre i naturalisti cercavano di ravvisare38. I sistemi di classificazione della natura, secondo Charles Darwin, non avevano saputo rivelare l'ineffabile piano del Creatore ma solo rispecchiare le affinità percepite dall'uomo. Alla base di questa percezione stava proprio l'oggettiva affinità per via di discendenza. La classificazione realistica era pertanto solo quella genealogica39. Tali occulti legami di discendenza erano rivelati dalla morfologia, per Darwin non a caso anima e sezione più interessante della storia naturale40.

30 BUFFON, Histoire naturelle, général et particuliére, vol. 9, Imprimerie Royale, Paris, 1761, p. 127. 31 J.S. WILKINS, Species, cit., pp. 75-76.

32 A.O. LOVEJOY, The great chain of being: A study of the history of an idea, Harvard University Press, Cambridge, 1936, p. 231; J.S. WILKINS, Species, cit., pp. 82-84.

33 J.S. WILKINS, Species, cit., p. 84.

34 J.G.T. ANDERSON, Deep things out of darkness, cit., p. 71.

35 C.K. YOON, Naming nature. The clash between instinct and science, Norton, New York, 2009, p. 187. 36 J.S. WILKINS, Species, cit., p. 92.

37 C. DARWIN, The origin of species by means of natural selection, John Murray, London, 1859, p. 199. 38 Ivi, pp. 413-414.

39 Ivi, pp. 419-420. 40 Ivi, p. 434.