• Non ci sono risultati.

III. L'EVOLUZIONISMO

11. L'evoluzionismo prima di Darwin

I naturalisti privilegiarono a lungo la botanica e solo pochi si cimentarono nello studio zoologico. Spesso, chi lo faceva, interpretava l'interesse per gli animali come semplice estensione di quello per i vegetali: così fu per Conrad Gesner (1516-1565), Ulisse Aldrovandi (1522-1605), John Ray e altri botanici che si interessarono pure di zoologia. Non sorprende perciò che lo sviluppo della zoologia ricalcasse a lungo quello della botanica1. Eppure, l'analisi della morfologia animale ebbe un ruolo di rilievo nella formulazione della tesi evoluzionista.

Già Aldrovandi aveva prestato attenzione a considerazioni di natura anatomica come guida alla classificazione2. Dal momento che l'anatomia umana, frenata nel corso del Medio Evo dall'impossibilità di dissezionare cadaveri, stava riprendendo vigore, sorse immediatamente la tendenza all'anatomia comparativa. Il rivivificatore dell'anatomia umana, Andreas Vesalius (1514-1564), individuò subito le corrispondenze tra parti umane e parti animali3, approfondite, nel confronto uomo-uccelli, da Pierre Belon (1517–1564). William Harvey (1578-1657) notò che tutti gli animali, uomo incluso, sono generati da un uovo4. Sul contenuto di questo uovo si concentrò la contesa tra preformisti ed epigenisti.

Come si è già accennato nell'introduzione a questa sezione, i preformisti – che annoveravano nei loro ranghi personalità come Charles Bonnet (1720-1793), primo osservatore della partenogenesi, l'italiano Marcello Malpighi (1628-1694) e il sopra citato Albrecht von Haller – ritenevano che nell'ovulo o nello spermatozoo risiedesse già l'individuo preformato in tutti i suoi organi fondamentali, anche se in proporzioni e posizioni differenti rispetto alla forma adulta. La teoria preformista serviva ad evitare il confronto con un elemento implicito nella nozione di uovo informe, ossia l'esistenza d'una qualche forza in grado di modellarlo verso lo sviluppo adulto; tale forza doveva inoltre essere distinta da specie a specie. In tal senso, il preformismo costituiva una difesa del consenso scientifico newtoniano da un altrimenti necessario vitalismo5: in una “forza essenziale” (Caspar Friedrich Wolff, 1733-1794) o “impulso di sviluppo” (Johann Friedrich Blumenbach, 1752-1840) in grado di dare forma alla materia dell'uovo fecondato credevano infatti gli epigenisti. Solo nel corso dell'Ottocento, a fronte dell'affermarsi della teoria cellulare (per cui tutte le parti strutturali di un organismo sono composte di cellule) e della teoria atomica (secondo la quale gli elementi sono composti di atomi indivisibili), il preformismo fu definitivamente scartato dagli scienziati.

Un tipo particolare di epigenismo era quello di Buffon. Ogni organismo possedeva secondo lui una moule intérieure, ereditata dal tipo originario del genere, che informava la riproduzione: molecole inutilizzate dall'organismo che sono raccolte e riassemblate nei 1 A. WOLF ET AL., A history of science, technology, and philosophy in the 16th & 17th centuries, cit., p. 406.

2 Ivi, p. 402.

3 A. VESALIUS, De humani corporis fabrica libri septem, Johannes Oporinus, Basileae, 1543. 4 W. HARVEY, Exercitationes de generatione animalium, Du-Gardianis, Londini, 1651. 5 S.J. GOULD, Ever since Darwin, cit., p. 205.

fluidi seminali6. In pieno Settecento, il naturalista francese ribadiva la sua fede nella rivelazione divina, e cioè che la prima coppia d'ogni specie originaria fosse uscita già pienamente formata dalle mani del Creatore7. Eppure credeva che l'aspetto esteriore potesse essere influenzato dall'ambiente esterno al punto di creare specie derivate, tanto da catalogarle su base geografica8; e coglieva che l'assunto della mutabilità delle specie avrebbe potuto condurre alla conclusione che da un solo essere primordiale erano discese tutte le forme viventi9. Buffon rigettava però tanto questa conclusione quanto l'assunto precedente: le uniche “famiglie” ammissibili erano quelle concepite e create da Dio, mentre andava rifiutata la tesi che la natura, per il tramite di incrocio, variazione o degenerazione delle specie originali, potesse creare altre famiglie10. Se le specie degenerate dall'ambiente fossero state riportate al loro habitat primigenio, pensava Buffon avrebbero recuperato la forma originaria dettata dalla moule intérieure11.

Quest'idea limitata del mutamento trovava ampi riscontri in altri autori, pure nei secoli precedenti. Lo stesso Linneo riteneva che, specialmente tra le piante, l'ibridazione potesse dare forma a nuove specie. L'ereditarietà dei caratteri acquisiti era una credenza comune fin dall'Antichità, tanto in filosofi e naturalisti quanto nel folklore popolare12. Il fissismo, inteso come idea che le specie originariamente create non possano mutare in alcun modo significativo nel corso del tempo, fu un'innovazione settecentesca, derivante dal dibattito che quel secolo dedicò al tema (fino ad allora trattato molto informalmente) della definizione e origine delle specie13. Nei primi decenni dell'Ottocento, sebbene molti scienziati rimanessero fissisti, il tema della variazione delle specie era ampiamente dibattuto14. Il fatto che da una generica idea della trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti si passasse all'intravedere una trasmutazione di specie in specie, e dunque una perturbazione dell'immobile ordine biblico, fu il motivo per cui tanti studiosi reagirono contro tale opinione, teorizzando il fissismo e la creazione speciale. Uno dei maggiori responsabili dell'aver suscitato tale dibattito fu un allievo di Buffon, Lamarck, il quale portò alle estreme conseguenze i ragionamenti del maestro e per primo presentò un'esauriente teoria della trasmutazione biologica.

Fu solo dopo i cinquant'anni d'età e a seguito di ricerche geologiche che Jean-Baptiste Pierre Antoine de Monet, cavaliere de la Marck e meglio noto come “Lamarck” (1744- 1829), si rese conto di quanto fosse vecchia la Terra; da lì cominciò a interrogarsi più a fondo sulle trasformazioni delle specie15. In quel periodo Lamarck, dopo una lunga e onorata carriera da botanico, aveva dovuto convertirsi in zoologo, specializzato negli 6 J.S. WILKINS, Species, cit., pp. 76-77.

7 BUFFON, Histoire naturelle, général et particuliére, vol. 4, Imprimerie Royale, Paris, 1753, p. 383. 8 J.G.T. ANDERSON, Deep things out of darkness, cit., p. 94.

9 E. MAYR, The growth of biological thought. Diversity, evolution, and inheritance, Harvard University Press, Cambridge, 1982, p. 332.

10 J. ROGER, Buffon. A life in natural history, Cornell University Press, Itacha-London, 1997, p. 321. 11 J.S. WILKINS, Species, cit., p. 77.

12 C. ZIRKLE, The early history of the idea of the inheritance of acquired characters and of pangenesis, “Transactions of the American Philosophical Society”, vol. 35, parte 3 (1946), pp. 91-151.

13 J.S. WILKINS, Species, cit., pp. 93-96. 14 Ivi, p. 127.

invertebrati, per adattarsi al caos e alla ventata di rinnovamento portati dalla Rivoluzione16. Nel 1801 diede alle stampe la sua opera sistematica sugli invertebrati, nella cui introduzione esponeva la propria teoria trasmutazionista: la conformazione degli esseri organici e delle loro parti è interamente frutto delle circostanze cui la specie si è trovata assoggettata dalla natura; le quali circostanze, determinando abitudini e modi di vita, hanno influenzato determinate facoltà conservatesi ereditariamente e propagatesi con le generazioni17. L'ambiente aveva dunque per Lamarck un ruolo diretto: l'organismo reagiva plasticamente alle influenze ambientali. Non si trattava più di piccoli mutamenti attorno a una forma fissa, né di degenerazioni rispetto a una forma perfetta, bensì del progressivo trasformarsi da forme più semplici verso forme più complesse e più perfette, fino alla creazione di nuove specie. Lamarck, commenta uno studioso contemporaneo, aveva trasformato la scala naturae in un ascensore18. Il naturalista francese credeva così poco alla fissità delle specie da considerare la categoria stessa (sulla scorta del mentore Buffon) una semplice convenzione: per lui esistevano solo gli individui e la loro discendenza19.

In merito alla dottrina geologica che stava alla base della sua teoria biologica20, è importante notare come essa anticipasse l'uniformismo. Egli credeva che i rilievi fossero il frutto dell'azione delle acque correnti: i corsi d'acqua avrebbero da un lato trasportato sedimenti, elevando le pianure; dall'altro scavato solchi e gole. In tal modo, da una pianura si sarebbero modellate le montagne, con l'azione dei corsi d'acqua aiutata da un altro sedimento, quello organico delle piante e degli animali che nel frattempo vivevano e morivano su quel territorio. Le ipotesi catastrofiste, invece, non lo persuadevano (sebbene fosse sua convinzione che, per effetto dell'attrazione lunare, l'oceano si spostasse da est a ovest di dieci miglia e più nell'arco di un solo giorno)21.

Lamarck, ormai vecchio e debilitato, non fu in grado né di sviluppare né di difendere la propria tesi di fronte alla figura dominante, nella scienza francese, di Georges Dagobert, Barone di Cuvier (1769-1832)22. Cuvier fu uno dei più rigidi assertori del fissismo e pure del catastrofismo geologico, utilizzando quest'ultimo per giustificare la scomparsa o la nascita di nuove specie; sul principio generativo non si interrogò particolarmente, ma esso era un punto debole anche per Lamarck, che si richiamava poco convincentemente a un fluido vitale (un feu éthéré) in grado di dare generazione spontanea23. La tesi trasmutazionista di Lamarck negava l'ipotesi dell'estinzione naturale (la prevedeva solo per mano dell'uomo)24: laddove tutti gli organismi rispondono direttamente ai mutamenti

16 A.S. PACKARD, Lamarck, the founder of evolution. His life and work, Longmans Green, New York, 1901, pp. 32- 38.

17 J.B. LAMARCK, Systême des animaux sans vertèbres, ou tableau général des classes, des ordres et des genres de

ces animaux, Deterville, Paris, 1801, pp. 12-15.

18 J. SAPP, Genesis, cit., pp. 8-9.

19 J.S. WILKINS, Species, cit., pp. 105-107.

20 La teoria geologica è espressa in LAMARCK, Hydrogéologie, Agasse-Maillard, Paris, 1802. 21 A.S. PACKARD, Lamarck, the founder of evolution, cit., pp. 106-107.

22 J.G.T. ANDERSON, Deep things out of darkness, cit., p. 97.

23 E. NORDENSKIÖLD, The history of biology. A survey, Kegan Paul-Trench-Trubner, London, 1929, p. 339; J.S. WILKINS, Species, cit., pp. 107-109.

ambientali e trasmettono questa risposta agli eredi, non era possibile ipotizzare che la natura fosse in grado di cancellarli. Le creature che si trovavano fossilizzate negli strati più antichi dovevano aver lasciato degli eredi, e se non si trovavano – arguiva Lamarck – era perché vivevano nelle profondità inesplorate degli oceani. Cuvier ebbe buon gioco a dimostrare che le estinzioni di intere specie erano in realtà avvenute25. Un altro argomento utilizzato da Cuvier fu l'assenza degli anelli di congiunzione tra una specie più antica e il suo corrispondente moderno: basandosi sull'assunto di una trasmutazione graduale, le forme intermedie avrebbero dovuto essere rinvenibili26.

Malgrado l'insuccesso di Lamarck nell'affermare la propria tesi trasmutazionista, essa fu portata avanti dal più giovane collega al Museo Nazionale di Storia Naturale Étienne Geoffroy Saint-Hilaire (1772-1844). Egli difese l'opinione che le specie, di cui si rinvenivano antichi fossili, rappresentassero gli avi di quelle attuali; che vi fosse cioè un'ininterrotta catena di successione nel mondo animale, con profondi cambiamenti morfologici intervenuti nel corso di generazioni. Gli studi anatomici ed embriologici di Geoffroy erano volti a dimostrare l'intima unità strutturale degli organismi tramite l'individuazione di parti omologhe: le varie specie animali dovevano essere sorte come modificazioni da un unico disegno comune. Rispetto al pensiero di Lamarck, quello di Geoffroy aveva almeno un paio di differenze fondamentali. La prima era circa la natura dell'influenza ambientale sull'organismo: per Lamarck l'ambiente ne mutava le abitudini ed erano queste a sfociare in modificazioni strutturali; Geoffroy invece, sulla scorta di Buffon, ravvisava una diretta influenza ambientale sulle mutazioni (o degenerazioni) morfologiche degli animali27. Una seconda differenza stava nel contesto teologico in cui i due inserivano le rispettive teorie: Lamarck, che la formulava in piena Rivoluzione, la produsse di stampo materialistico, mentre Geoffroy, attivo durante la Restaurazione, aveva un approccio deista. Per quest'ultimo Dio aveva creato la realtà, l'aveva regolata sulla base di leggi naturali, per poi cessare di intervenirvi in maniera diretta e miracolosa28. La prospettiva di Geoffroy era insomma quella della moderna teologia naturale, seppur declinata in senso evoluzionista anziché fissista.

In comune Lamarck e Geoffroy ebbero invece il fatto di cadere sotto la scure della critica di Cuvier. Lo stesso naturalista che aveva ridicolizzato pubblicamente il trasmutazionismo lamarckiano attaccò l'anatomia filosofica (quella secondo cui esiste una struttura fondamentale degli animali, che precede e trascende le funzioni), difendendo un'interpretazione funzionalista: la struttura animale era stata creata a suo avviso appositamente per rispondere alle esigenze richieste dall'ambiente cui quelle specie erano assegnate. Sulla base del piano anatomico (dunque della struttura interna e non più dell'aspetto esteriore), Cuvier riteneva di poter individuare quattro grandi classi animali (vertebrati, molluschi, articolati e radiati) prive di qualsivoglia interconnessione evolutiva 25 S.J. GOULD, Eight little piggies. Reflections in Natural History, Norton, New York, 1993, p. 445.

26 J.S. WILKINS, Species, cit., p. 109.

27 É. GEOFFROY SAINT-HILAIRE, Études progressives d'un naturaliste pendant les années 1834 et 1835, Roret- Denain&Delamarre, Paris, 1835, p. 107.

28 J. SAPP (Genesis, cit., p. 6) suggerisce un collegamento tra l'improvvisa rivoluzione nell'ordine sociale in Francia, e il fatto che Lamarck sviluppò una teoria che sconvolgeva l'ordine naturale allora dato per scontato.

tra loro. Tra Cuvier e Geoffroy vi fu anche un pubblico dibatto presso l'Académie, con botta e risposta per due mesi, al termine del quale la posizione di Cuvier si confermò quella più gradita in seno alla comunità scientifica francese: Geoffroy pagò soprattutto la dottrina speculativa sull'unità di composizione di tutti gli organismi29. Non di meno, i due contendenti risultarono complementari nel far avanzare l'anatomia comparata, una disciplina fondamentale per i successivi sviluppi della biologia evoluzionista30. Cuvier distaccò l'anatomia dalla medicina per farne una scienza strettamente legata alla storia naturale: le singole parti degli animali non furono più trattate come distinte ma osservate nella loro correlazione e interdipendenza. Geoffroy, basandosi su questo principio di connessione (l'osservare le singole parti non secondo forme e funzioni, ma il modo in cui si connettono tra loro), promosse la scoperta di un'anatomia generalizzata, un singolo piano strutturale per tutti i vertebrati. I naturalisti, dopo di lui, presero a focalizzarsi sulle omologie anatomiche di specie differenti e a scoprire quelle leggi morfologiche che, al contrario, Cuvier aborriva come limitanti la sfera d'azione del Creatore. In Francia come in altri paesi europei l'anatomia comparata prese una svolta filosofica, secondo il dettame di Geoffroy, seppur entro una cornice inizialmente non evoluzionista come voluto da Cuvier. In Germania Lorenz Oken (1779-1851) fece propria l'anatomia filosofica in ragione di una dottrina della scienza deduttiva, avanzando tesi come quella dell'omologia tra la testa e il tronco (e i rispettivi componenti). Richard Owen (1804-1892) portò invece avanti uno studio delle “omologie generali”, ossia delle relazioni delle parti con l'archetipo.

È stato notato che Cuvier diede un secondo involontario apporto all'evoluzionismo. La sua classificazione quadripartita, incentrata sull'anatomia interna di tipi radicalmente separati (e ciascuno perfettamente adattato ai propri bisogni funzionali), nonché la descrizione di grandi estinzioni a seguito di catastrofi naturali, tracciavano un quadro di discontinuità, ben lontano dalla scala naturae della tradizione; più lontano da essa anche rispetto al “ascensore” lamarckiano, che postulava un'evoluzione continua e ininterrotta dal semplice al complesso, dall'imperfetto al perfetto. Non è nel quadro lamarckiano dell'unità e continuità della vita, tutto sommato legato alla tradizione, bensì in quello rivoluzionario di Cuvier, che poté inserirsi il modello darwiniano fatto di contingenza e casualità31.

Ironia della sorte, tra gli altri precursori dell'evoluzionismo, ossia d'una teoria della discendenza, furono due illustri parenti: l'uno discendente di Napoleone Bonaparte, l'altro avo dello stesso Charles Darwin. In Francia Carlo Luciano Bonaparte (1803-1857) proponeva di guardare alle specie come in stretta relazione con l'ambiente, capaci di rimanere invariate se esso non varia ma destinate a mutare al suo mutare32. In Gran Bretagna il bisnonno di Charles, Erasmus Darwin (1731-1802), fu il principale precursore intellettuale del nipote. Era un medico, al pari del padre Robert (scopritore d'un fossile giurassico a Fulbeck), con forte interesse per le scienze naturali. La stessa inclinazione si manifestò ancor più fortemente nel fratello Robert Waring, botanico e autore di un'opera 29 Il dibattito e il suo contesto non solo scientifico è stato enucleato T.A. APPEL, The Cuvier-Geoffroy debate, cit. 30 Ivi, pp. 4-5.

31 J. SAPP, Genesis, cit., pp. 11-12.

su Linneo. Erasmus Darwin lavorò alla traduzione in inglese delle opere del naturalista svedese e ne scrisse a propria volta di botanica. Essendo pure un poeta, dedicò anche un'opera in versi, The botanic garden (1791), alla celebrazione degli avanzamenti scientifici e alla loro divulgazione delle nuove scoperte. In uno dei due poemi componenti quest'opera, The loves of the plants, illustrava la sistematica di Linneo tramite la personificazione dei vegetali. Si è osservato che tale metodo mirava pure ad “animalizzare” gli uomini, mostrandone le profonde connessioni con gli altri esseri organici33. L'opera più famosa di Darwin fu però Zoonomia (1794-1796). È in quest'opera che troviamo l'accenno a un pensiero che anticipava persino quello analogo di Lamarck34. Darwin enumerava i profondi cambiamenti che si possono osservare tanto nell'arco della vita di un singolo individuo, quanto nella discendenza del suo lignaggio. Le analogie morfologiche lo inducevano a credere che tutti gli animali a sangue caldo, se non tutti gli animali tout court, dovessero essere stati prodotti da «un similare filamento vivente», un abbozzo di embrione cui si sono aggiunte le varie parti caratterizzanti. L'origine di questa differenziazione erano le perpetue trasformazioni che volontà, desiderio, avversione, piacere e dolore inducono in un individuo nel corso della sua esistenza, e che si trasmettono in ampio numero alla posterità.

Sebbene la tesi di Erasmus Darwin rimanesse in ombra, presumibilmente anche per il contemporaneo successo della cosmogonia di Paley, l'evoluzionismo era stato non di meno impiantato nel dibattito britannico, e nei decenni successivi fu infertilito dalle scoperte e riflessioni geologiche e coltivato dal dibattito in terra di Francia. Negli anni '30 gli evoluzionisti britannici erano ancora pochi, per lo più radicali cui le nuove teorie rivoluzionanti l'ordine naturale sembravano giustificare analoghe sovversioni in campo sociale e politico35. Un radicale e materialista era lo scozzese Robert Edmond Grant (1793- 1874), che dalla sua cattedra d'anatomia comparata a Londra diffondeva le tesi evoluzioniste apprese direttamente da Geoffroy e sosteneva la generazione spontanea come spiegazione dell'origine della vita. Negli anni '20 il giovane Charles Darwin, allora studente di medicina all'Università di Edinburgo, lo frequentò nell'ambito della giovane

Plinian Society, fondata per raggruppare i locali adepti di scienze naturali. Da lui poté

apprendere e mettere in pratica i rudimenti dell'anatomia comparata e certo ricevere anche le prime suggestioni evoluzioniste.

Preoccupazioni di carattere politico sollevò, nel 1844, pure la comparsa di un trattato anonimo, scopertosi poi essere opera del giornalista scozzese Robert Chambers (1802- 1871), dal titolo Vestiges of the natural history of Creation. Il nome omaggiava Hutton, poiché era stato lui a scrivere che, di fronte alla sterminatezza dei tempi geologici, non si potevano vedere né le vestigia di un inizio né la prospettiva di una fine. Chambers descriveva una realtà in cui tutto, dalle sostanze inorganiche come pianeti e rocce alla vita organica, discendeva da forme precedenti, in un continuo progresso da quelle più semplici a quelle più complesse. Tale processo aveva richiesto la periodica estinzione di specie per 33 C. PAKHAM, The science and poetry of animation. Personification, analogy, and Erasmus Darwin's ´Loves of the

Plants´, “Romanticism”, vol. 10, n. 2 (2004), pp. 191-208.

34 E. DARWIN, Zoonomia; or, the laws of organic life, vol. 1, Johnson, London, 1794, pp. 500-509. 35 Cfr. A. DESMOND, The politics of evolution, cit.

fare posto a quelle più evolute. Come interpretare dunque il ruolo di Dio in una creazione che sembrava imperfetta, se richiedeva costanti avanzamenti? La risposta offerta da Chambers era quella newtoniana-deista secondo cui Dio operava non in particolari occasioni, tramite miracoli, ma aveva fissato all'inizio dei tempi delle leggi naturali, e tramite quelle regolava l'esistenza dell'universo.

Vestiges fu un grande successo commerciale, conobbe un'ampia diffusione e preparò il

pubblico britannico dell'epoca a più scientifiche esposizioni di teorie evoluzioniste. Fu duramente attaccato dai maggiori studiosi dell'epoca, come Lyell, Sedgwick e Whewell , tutti docenti di Charles Darwin, ma proprio per ciò offrì un altro servigio a quest'ultimo: svelò cioè in anticipo le più acute critiche all'evoluzionismo, su cui il naturalista di Shrewsbury poté riflettere prima ancora di pubblicare la propria personale versione della teoria.