II. LE ORIGINI DELLE SCIENZE NATURALI
9. Il ritorno della teologia naturale
L'avanzamento dello studio della natura non riguardò solo la ricerca scientifica, ma anche il modo diffuso di pensarla. Secondo Max Weber la Riforma promosse il “disincanto del mondo”: a forze misteriose e ineffabili si sostituì la razionalità di leggi naturali perfettamente comprensibili1. Peter Berger ha parlato di una vera e propria “desacralizzazione”: la coscienza protestante traslò i suoi adepti dal mondo penetrato di forze ed esseri sacri a uno radicalmente separato dalla dimensione divina e trascendente2. Questo mutamento della prospettiva si ripercuoteva su vari ambiti contemporaneamente, poiché, fino almeno all'inizio del XIX secolo, la teologia, le scienze naturali e la riflessione sulla società erano interessate da un comune contesto intellettuale, che faceva loro seguire correnti e ispirazioni in comune3. Avveniva così, come nella Francia del Settecento, che la storia naturale (genere di successo commerciale) fosse ampiamente utilizzata dagli intellettuali per proporre riflessioni morali, sociali e religiose; uno spazio importante lo trovò anche nelle pagine della Encyclopédie, in particolare grazie alle penne di Diderot e Jaucourt4.
All'inizio del Seicento, in Inghilterra, al disincanto e alla desacralizzazione s'aggiunse una fase di disordine politico e sociale che accrebbe la sfiducia e lo scetticismo verso la religione organizzata e le Sacre Scritture. Contestualmente, si assistette a un rinnovato interesse per la teologia naturale, depurata però dei suoi tradizionali aspetti simbolici ed estetici e votata a un razionalistico dar senso al mondo5. Peculiarità inglese fu l'idea che l'età dei miracoli fosse terminata, e che essi non avvenissero ormai più in natura6. Siccome il miracolo è un evento che sovverte le leggi naturali, relegare il fenomeno a un passato circoscritto e concluso (quello in cui il Cristianesimo doveva affermarsi nel mondo) significava affermare l'inesorabile e costante agire delle leggi naturali, senza eccezione alcuna. Ciò fu ben sottolineato nel Seicento da John Ray, teologo e naturalista, secondo cui nel creato si manifestava più la saggezza che la potenza divina, ossia più il complesso regolatore di leggi che eventi miracolosi estemporanei7. Il ricorso a questo tipo di teologia
1 A.E. MCGRATH, Darwinism and the divine. Evolutionary thought and Natural Theology, Wiley-Blackwell, Malden, 2011, p. 57
2 P. BERGER, The sacred canopy. Elements of a sociological theory of religion, Doubleday, Garden City, 1967, pp. 111–13.
3 T.A. APPEL, The Cuvier-Geoffroy debate. French biology in the decades before Darwin, Oxford University Press, Oxford, 1987, p. 7; D.N. LIVINGSTONE, Natural Theology and Neo-Lamarckism: the changing context of
Nineteenth-century geography in the United States and Great Britain, “Annals of the Association of American
Geographers”, vol. 74, n. 1 (1984), pp. 9-28; Y.F. TUAN, The hydrologic cycle and the wisdom of God: a theme in
geoteleology, “University of Toronto, Department of Geography Research Paper”, n. 1 (1968); J.K. WRIGHT, Notes on early American geopiety in Id., Human nature in geography, Harvard University Press, Cambridge, 1966, pp.
250-285; R.M. YOUNG, Malthus and the Evolutionists. The common context of biological and social theory, “Past and Present”, n. 43 (1969), pp. 109–45.
4 J. LANA, Natural History and the ´Encyclopédie´, “Journal of the History of Biology”, vol. 33, n. 1 (Spring, 2000), pp. 1-25.
5 A.E. MCGRATH, Darwinism and the divine, cit., p. 58. 6 Ivi, pp. 59-61.
naturale poteva puntellare l'autorità della Rivelazione con una spiegazione scientifico- religiosa della realtà, divenendo un'importante risorsa apologetica8. Al “Libro della Scrittura” si affiancava il “Libro della Natura”, parimenti opera di Dio e dunque strumento per meglio comprenderlo.
In questo quadro la filosofia meccanica di Isaac Newton (1643-1727) permetteva di immaginare l'universo come un grande macchinario, retto dai princìpi della dinamica, in cui Dio è (secondo l'analogia resa celebre da William Paley9) “l'orologiaio” che crea e aziona il meccanismo10. L'interpretazione meccanicistica della realtà, retta da leggi naturali che ne regolano le dinamiche, era in contrasto con quella più tradizionale, neo-platonica, che leggeva la realtà come un tutt'uno coerente e armonioso11, ma costituiva una sintesi in grado di unire dottrinalmente le tante confessioni riformate emerse in Inghilterra12. Quest'alleanza tra cristiani riformati e scienziati newtoniani assicurò che lo studio della natura non fosse visto come minaccioso per la religione, e anzi il clero stesso vi si cimentasse con entusiasmo13.
Dall'inizio del Settecento la moderna teologia naturale inglese assunse un approccio che lo scienziato e teologo William Derham (1657-1735) battezzò come “fisico-teologico”: l'enfasi si spostò sul disegno insito nella natura e tendente dinamicamente al compimento di un fine14. Parallelamente, dalla dimensione astronomica e fisica che aveva caratterizzato la stagione “newtoniana” della teologia naturale, nel Settecento l'attenzione si spostò sulla dimensione biologica, ritenuta ancor più capace di palesare la costruzione divina15. L'opera più rappresentativa di questa tradizione, la Natural Theology di William Paley del 1802, traeva la gran parte dei suoi argomenti proprio da biologia e anatomia: occhi, semi, uova, muscoli, ossa, giunture, sistema circolatorio, ali, pinne, istinti erano tra gli esempi invocati da Paley per sostenere la tesi di un meccanismo che richiede un disegno preciso e un suo creatore. Se la presenza di un orologio rivela quella di un orologiaio che ne ha assemblato il meccanismo per un determinato fine, l'osservazione di un ben più complesso meccanismo e disegno nella natura implica la presenza di Dio16. Paley non era tuttavia disposto a far sì che la propria teoria giustificasse l'evoluzione progressiva (allora nota come “teoria delle inclinazioni naturali”), da lui scartata in base al duplice argomento che non è osservabile l'ereditarietà dei caratteri acquisiti, e che taluni caratteri attuali in forma rudimentale (dunque in via di sviluppo) sarebbero stati dannosi per le specie che li
delivered in the chappel of Trinity-College, in Cambridge, Samuel Smith, London, 1691.
8 A.E. MCGRATH, Darwinism and the divine, cit., pp. 50-52.
9 W. PALEY, Natural Theology or evidences of the existence and attributes of the Deity, Faulder, London, 1802. 10 Le tesi newtoniane diedero linfa al deismo (allora al suo apice in Inghilterra), il quale professava l'esistenza di un
Dio che non interferiva nell'universo da lui creato: per questo, malgrado Newton fosse convinto del costante intervento divino nella sua creazione (I. NEWTON, Opticks. Or, a treatise of the reflections, refractions, inflexions
and colours of light, 2nd ed., Innys London, 1718, p. 378), tradizionalmente è stato accostato al deismo (J.E. FORCE,
The Newtonians and Deism, in J.E. Force, R.H. Popkin [eds.], Essays on the context, nature, and influence of Isaac Newton's theology. Springer, Berlin, 1990, pp. 43-73, alla p. 53).
11 A.E. MCGRATH, Darwinism and the divine, cit., p. 55. 12 Ivi, p. 62.
13 Ivi, p. 63. 14 Ibidem.
15 A.E. MCGRATH, Darwinism and the divine, cit., pp. 70-71 16 W. PALEY, Natural Theology, cit., p. 12.
avessero posseduti17. Dio aveva progettato e avviato il meccanismo, ora in grado di muoversi da sé, ma incapace, secondo Paley, di discostarsi dal piano iniziale e creare qualcosa di nuovo.
Il libro di Paley ebbe tanto successo da diventare un classico e costituire ancora in epoca vittoriana un punto di riferimento per l'opinione pubblica di matrice creazionista, sebbene l'argomento dell'identità tra organismi e macchine fosse ridotto dai successori a mera analogia18. Lo stesso Darwin lesse e studiò con attenzione Natural Theology e altri libri di Paley19, e ne trasse ispirazione nel linguaggio e nelle immagini20. Il Conte Frances Egerton di Bridgewater, naturalista e infatuato dall'utilizzo che Paley fece dell'argomento teleologico, decise di stanziare un'ingente somma per finanziare una monumentale serie di libri che esponessero in lungo e in largo quell'argomento del disegno divino. Dal 1833 al 1840 uscirono otto volumi, noti come i Bridgewater Treatises e firmati da altrettanti illustri studiosi, che rappresentano una summa delle conoscenze naturalistiche pre-evoluzioniste.
La teologia naturale, nel momento in cui raggiungeva il suo apice col fortunato libro di Paley, aveva già cominciato il proprio declino. Essa era attaccata tanto dagli esponenti dello scetticismo e dell'ateismo quanto da quelli del risveglio evangelico. David Hume, oltre vent'anni prima della pubblicazione del libro di Paley, aveva rivolto esiziali critiche alla teologia naturale, rigettando le analogie tra natura e artefatti umani, e affermando che, anche ammessa e non concessa la validità di tali analogie, esse non dimostravano in alcun modo che il Creatore fosse buono, infinito, perfettamente intelligente o unico21. Nel contempo, gli evangelici non accettavano che il “Libro della Natura” potesse essere elevato alla dignità delle Sacre Scritture, ritenendo il primo tutt'al più confermativo delle seconde ma in nessun modo fonte autonoma di conoscenza di Dio: l'accusa di taluni ambienti evangelici a Paley era esattamente quella di aver posto la natura al fianco della Bibbia22. Un ulteriore problema era la tenuta delle tesi teologico-naturali a fronte delle nuove scoperte scientifiche. Paley difendeva ancora, come Ray prima di lui, la tesi che il mondo fosse rimasto immutato dalla Creazione, ma essa si scontrava ormai con la emergente documentazione geologica, che con le scoperte di Buffon e Cuvier in Francia aveva già dimostrato l'esistenza di specie antiche ora estintesi.
Nel corso dell'Ottocento la teologia naturale cercò di adattarsi a queste nuove evidenze scientifiche, inserendo il catastrofismo all'interno del grande disegno divino. Episodi di distruzione apparentemente insensata trovavano in realtà la loro logica se osservati nel lunghissimo periodo: William Buckland, ad esempio, leggeva la distruzione delle foreste primordiali alla luce del suo lontano effetto positivo per l'uomo, ossia l'aver prodotto carbone per l'industrializzazione23. La creazione non era più interpretata come un evento
17 Ivi, pp. 299 e pp. 463-473.
18 N.C. GILLESPIE, Divine design and the Industrial Revolution. William Paley's abortive reform of Natural
Theology, “Isis”, vol. 81, n. 2 (Jun., 1990), pp. 214-229.
19 F. DARWIN (ed.), The life and letters of Charles Darwin, 3 voll., John Murray, London, 1887, vol. 1, p. 47.
20 S.J. GOULD, The structure of evolutionary theory, Belknap, Cambridge, 2002, pp. 118-21; R.M. YOUNG, Malthus
and the Evolutionists, cit., p. 43.
21 D. HUME, Dialogues concerning natural religion, London, 1779. 22 A.E. MCGRATH, Darwinism and the divine, cit., p. 109.
singolo e immutabile, bensì come un processo lungo e in continuo divenire. Non nella religiosità popolare, ma per lo meno tra gli intellettuali cristiani, una certa misura di sviluppo evolutivo nella natura divenne nozione diffusamente accettata già prima di Darwin24. Una corrente storiografica ritiene che il dibattito sull'evoluzionismo sia avvenuto prevalentemente all'interno della teologia naturale, e non come critica scientifica alla stessa25. Nell'ambito della geografia, molti degli autori più influenti della prima metà dell'Ottocento – da Carl Ritter a Mary Somerville passando per Arnold Guyot – inserirono le proprie narrazioni della geografia fisica e umana nel quadro d'un ordine religioso, con una forte impronta teleologica26.
Quel che è certo, è che l'evoluzione subita dalle scienze naturali dal Rinascimento e per tutta l'Età Moderna aveva preparato il terreno alla concezione e ampia accettazione di un altro processo evolutivo: quello che il pianeta e la vita da esso ospitata stavano incessantemente vivendo fin dalla notte dei tempi. Il prossimo capitolo sarà dedicato all'affermazione dell'evoluzionismo e soprattutto della sua declinazione darwinista.
Press, Oxford, 1820, p. 12.
24 A. DESMOND, The politics of evolution. Morphology, medicine, and reform in radical London. University of Chicago Press Chicago, 1992, pp. 1-24 ; A.E. MCGRATH, Darwinism and the divine, cit., p. 133.
25 È questa la tesi che traspare recentemente in A.E. MCGRATH, Darwinism and the divine, cit., la quale si pone in continuità, tra gli altri, coi lavori di W.F. CANNON, The problem of miracles in 1830's, “Victorian Studies”, vol. 4, n. 1 (Sep., 1960), pp. 4-32; The bases of Darwin's achievement: a revaluation, “Victorian Studies”, vol. 5, n. 2 (Dec., 1961), pp. 109-134.