• Non ci sono risultati.

CAPITOLO II: DAL DOPOGUERRA AL BOOM ECONOMICO

3. La sociologia e il mondo accademico

3.6. Autonomia ed integrazione

La ripresa degli studi sociologici nell’immediato dopoguerra avvenne nella sostanziale ripresa anche delle altre scienze sociali, in una spinta verso l’interdisciplinarità che muoveva dai programmi di ricerca connessi ai nuovi bisogni posti dalla società industriale. Dalla seconda metà degli anni ’50 si determinarono, grazie al sempre più stretto coinvolgimento della scienza con la vita e i bisogni sociali, ampi processi di interazionismo epistemico tra le scienze sociali, e tra le scienze sociali e le altre discipline scientifiche, si assistette ad un “forte scambio tra storia e scienze sociali (sociologia,

166

antropologia, economia, psicologia) tra sociologia e scienza del linguaggio; alla riapertura degli scambi tra scienze della vita, biologia per esempio, e scienze sociali; agli scambi tra scienze mediche, psichiatriche e sociologia; e tra scienze sociali e scienze cibernetiche, informatiche” (Barbano, 1985, p. 139). Se da un lato gli anni della rinascita furono caratterizzati dalla ricerca di una legittimazione scientifica, prima ancora che accademica, della sociologia, dall’altro prevalsero ben presto sugli interessi per la riaffermazione dell’autonomia scientifica gli interessi per le relazioni con le altre scienze sociali (Barbano, 1985).

Il primo Congresso dell’Associazione Italiana di Scienze Sociali (AISS)212, svoltosi a Milano nella

primavera del 1958, ebbe come tema quello dell’Integrazione delle scienze sociali213; integrazione che

vide non solo il riproporsi di nuovi ed inediti rapporti tra sociologia, psicologia sociale e antropologia culturale ma anche fra scienze come la psicologia e la psichiatria, l’economia e il diritto, la geografia e l’urbanistica ecc; scienze che offrivano e richiedevano appoggio alla sociologia e cercavano un’occasione di rilancio delle proprie tematiche (ibidem).

Negli anni ’60 all’integrazione vennero via via sostituendosi processi di differenziazione delle singole discipline sociali, posti dai bisogni di autoaffermazione disciplinare, accademica ed istituzionale, e per ciò che riguarda la sociologia nella differenziazione dei suoi rami con le scienze sociali confinanti, come ad esempio i rapporti della sociologia economica con l’economia, della sociologia politica con la teoria politica, della sociologia urbana con l’urbanistica, eccetera (ibidem).

I bisogni di integrazione tra teoria e ricerca empirica, e tra le scienze sociali, erano maturati nel contesto statunitense negli anni ’20 e ’30, e si erano manifestati contemporaneamente negli anni ’40 come risposta ai processi economici e politici, come la Grande depressione degli anni ’30 e il New Deal, che avevano

212 L’assemblea per la costituzione dell’AISS si tenne a Bologna, presso la Facoltà di Economia e Commercio, nel maggio

del 1957; un anno dopo la decisione da parte di un gruppo di studiosi italiani presenti al III Congresso mondiale di sociologia, organizzato ad Amsterdam nell’agosto del 1956, di costituire una sezione italiana dell’ISA “visto che l’Associazione italiana di Scienze Politiche e Sociali creata qualche anno prima […] [si era dimostrata] essenzialmente un’associazione di scienze politiche” (Chiaretti, 1975, p. 79). L’associazione venne fondata con “l’appoggio e la collaborazione del Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale (CNPDS) di Milano e del gruppo del «Mulino» a Bologna” (ibidem) e vide l’elezione come presidente di Renato Treves, figura che garantiva, e immediatamente comunicava, “la prevalente impostazione democratica e antifascista” dell’associazione (ibidem). Il nucleo promotore dell’iniziativa era composto da “A. Anfossi, padre S. Burgalassi, V. Filippone, G. Galeotti, A. Meister, C. Pellizzi, B. Segre, T. Seppilli, padre A. Toldo, F. Zaccone de Rossi” (ibidem). Questo gruppo di intellettuali, nonostante la divergenza di visioni su alcuni aspetti, condividevano la necessità di separare il lavoro scientifico dall’ideologia e dalla lotta politica (ibidem).

213 Pizzorno dedicò, una parte del suo intervento al Congresso, agli strumenti tecnici della ricerca sociale introducendo un

dibattito sul che cosa fa e come la ricerca sociale, indicando come strumenti convenzionali delle varie discipline: «l’osservazione di oggetti e comportamenti culturali alla antropologia; l’intervista di massa alla sociologia; l’intervista clinica e i tests alla psicologia; l’analisi dei documenti alla storia […], prendeva quindi in particolare considerazione l’intervista, il cui uso ha potuto rappresentare “un nuovo atteggiamento verso la realtà sociale, e più che un nuovo modo di vedere le cose, la scoperta di un nuovo modo di cose da vedere”» (Barbano, 1985, p. 150).

167

indotto ad una proficua interazione tra istituzioni scientifiche e lavoro sociale, e teoria e ricerca sociale nei vari ambiti disciplinari. Negli stessi anni lo stato complessivo, soprattutto della ricerca sociale, in Europa ed in particolare in Italia, era notevolmente arretrato. Tali bisogni maturarono dunque in Italia con un certo ritardo e furono sollecitati dalle richieste di risposte, pratiche e concrete, al mutamento in atto nel contesto economico, politico e sociale (Barbano, 1985, pp. 144-145).

I rapporti tra storia e sociologia si sono articolati nel tempo intorno alla contrapposizione tra l’esigenza sistemica e generalizzante della sociologia e l’esigenza individualizzante della storia, a cui si aggiungevano le diverse concezioni della storia come teorica, analitica ecc.; una difficile integrazione, dunque, che sembrava in qualche modo appianarsi nell’ambito della ricerca. Al Congresso del 1958 Pietro Rossi presentò un contributo sui rapporti della storia con la sociologia nel quale confermava la ritrovata connessione delle due discipline nell’ambito della metodologia della ricerca, che non escludeva una relazione positiva e di scambio tra i loro apparati teorico-concettuali (Barbano, 1985).

Sempre nel Congresso del 1958 emergeva una trasformazione del concetto di cultura in senso analitico- descrittivo, che indurrà, nel corso degli anni ’60, ad una progressiva caratterizzazione della sociologia in senso culturale fino ad una sua definizione come cultura sociale nel passaggio dagli ’70 agli anni ’80, nel generale intensificarsi dei processi di comunicazione di massa. Durante gli anni ’50 la cultura veniva ancora preminentemente intesa come cultura astratta, patrimonio umanistico e intelligenza “alta”; gli intellettuali continuarono a costituire dunque una minoranza prendendo le distanze da quella figura di intellettuale organico proposta dalla cultura di sinistra. Bisognerà aspettare ancora molti anni per la maturazione di un maggior interesse per le culture popolari e quelle culture che si fanno e rifanno alla vita quotidiana (ibidem).

L’antropologia culturale, così come la sociologia, nell’immediato dopoguerra aveva l’esigenza di essere riconosciuta come scienza e distinguere i propri interessi da quelli delle discipline affini come l’etnologia, l’etnografia, la storia del folklore ecc. Al Congresso del 1958 un gruppo di antropologi – Liliana Bonacini Seppilli, Romano Calisi, Guido Cantalemassa Carboni, Tullio Seppilli, Amalia Signorelli e Tullio Tentori – scrissero un Memorandum, che poteva essere inteso come un manifesto degli antropologi italiani, in cui esprimevano un comune impegno per una revisione critica e una migliore definizione dei fondamenti teorici e delle tecniche di ricerca della disciplina, e per la sua istituzionalizzazione. I punti salienti esposti nel Memorandum vengono così sintetizzati da Barbano: “Il carattere dialettico e storico delle manifestazioni culturali; la loro appartenenza a dimensioni diverse del livello sociale (cultura della società, subcultura, cultura di gruppo, patrimonio culturale individuale); le interazioni fra piano culturale, sociologico ed economico (struttura della cultura) e i relativi ambienti; la classificazione delle scienze

168

sociali secondo piani; la critica al concetto di “modello culturale” (“sintesi della ideologia dominante nella cultura analizzata”); la sua sostituzione con il concetto di tema, evidenziandone l’uso mobile e non gerarchico; l’accoglimento della dicotomia personalità e cultura e della nozione di personalità di base, e, finalmente il ruolo dell’antropologia culturale nella pianificazione e nell’intervento sociale” (Barbano, 1985, pp. 159-160).

Per quanto riguarda la psicologia gli interventi presentati al Congresso del ’58, da Angiola Massucco Costa e da Enzo Morpurgo, Virginio Porta e Giuseppe Salom, cercarono di rivendicare un’autonomia della psicologia più che un integrazione con le altre scienze sociali, in un rapporto, tra sociologia e psicologia sociale, che in Italia non si svilupperà mai molto, mentre si assisterà, negli anni ’70, a un interscambio tra sociologia e psichiatria sociale in relazione ai nessi del disagio sociale e delle realtà psichiatriche private ed istituzionali (Barbano, 1985).

Per la rinascita della sociologia fu decisivo il ruolo della tradizione giuspolitica214 ma nel Congresso del

’58 si definivano i rapporti della sociologia con numerose altre discipline; negli Atti conclusivi essi venivano menzionati in ordine gerarchico: “l’economia e la statistica, il diritto e la politica, la geografia umana e l’urbanistica” (Barbano, 1985, pp. 167-168). La linea di connessione fra sociologia, geografia e urbanistica durante gli anni ’50 è rappresentata dai rapporti città-campagna, tema che può essere indicato come indirizzo caratterizzante della ricerca sociale lungo il decennio in oggetto, e che segnò i rapporti della sociologia con le altre discipline. In quel congresso vennero presentati più di venti contributi sull’argomento, prendendo in considerazione aspetti diversi del binomio integrazione e interdipendenza da un lato, e rottura dall’altro. A intenderlo nei termini di integrazione furono soprattutto i geografi come Umberto Toschi, Carlo della Valle e Pietro Scotti mentre ad analizzarlo come interdipendenza vi fu il gruppo di ricerca della Svimez; gli autori che trattarono l’argomento nei termini di una rottura provocata dalle migrazioni interne, in quel momento in pieno svolgimento, soprattutto dal Sud al Nord, furono molti, tra questi Francesco Compagna, Giuseppe Galasso e Luciano Saffirio (Barbano, 1985).

Le migrazioni rappresenteranno, nel passaggio agli anni ’60, uno dei temi più indagati dalla ricerca sociologica, che si concentrerà sui “processi di scomposizione, mobilizzazione e quindi ricomposizione urbana di individui, famiglie, gruppi che per un insieme di forse più che quattro milioni di persone

214 Il nesso della sociologia con l’esperienza giuridica è stato rilevante sia nella “prima” che nella “nuova” sociologia. Renato

Treves al Congresso del 1958 presentò una relazione dal titolo Il contributo delle scienze sociali allo studio del diritto in cui, attraverso un’esposizione storicizzata, distingueva tra elementi tecnici ed elementi giuridici del diritto. Treves contrapponeva ad una giurisprudenza sociologica una sociologia giuridica, mostrando i contributi che la sociologia avrebbe potuto apportare all’esperienza giuridica sia dal punto di vista delle teorie pure e formali del diritto che nello studio dell’elemento politico, inteso come indagine dell’evoluzione storica e come azione ed istituzione di controllo sociale (Barbano, 1985, p. 174).

169

caratterizzeranno il mutamento di fondo della composizione territoriale, regionale, strutturale e culturale in Italia in quegli anni” (Barbano, 1985, p. 178). Nell’analisi della dicotomia città-campagna si iscrivevano altri elementi dicotomici come sviluppo economico-sviluppo culturale, sviluppo- sottosviluppo e tradizionalismo-modernizzazione; quest’ultima dicotomia fu alla base della grande stagione di ricerche e indagini sulla città media e piccola e sulle comunità e i paesi, che caratterizzarono gli anni della rinascita della sociologia (Barbano, 1985).

Il merito complessivo del Convegno del ’58 fu sicuramente quello di definire la “scienza sociale moderna […] come un nuovo tipo di cultura, con una funzione di promozione non solo disciplinare ma anche culturale e sociale” (Chiaretti, 1975, p. 79).