• Non ci sono risultati.

CAPITOLO II: DAL DOPOGUERRA AL BOOM ECONOMICO

1. L’Italia del dopoguerra

1.1. Dalla monarchia alla repubblica

L’8 settembre del 1943, quando l’Italia firmava l’armistizio con gli alleati, “fini[va] la guerra voluta da Mussolini e inizia[va] la resistenza ma anche la guerra civile, con gli italiani che si divid[eva]no e si combatt[eva]no tra chi [voleva] far risorgere il fascismo e chi [voleva] un’altra Italia” (Volpini, 2016). Il giorno successivo alla firma dell’armistizio la famiglia reale e Badoglio lasciarono Roma, per fuggire a Brindisi, privando l’esercito di ogni direttiva. Lo Stato Maggiore dell’esercito si sciolse e il Paese fu lasciato allo sbando totale. In questo contesto, il 9 settembre del ’43, si riunivano a Roma le forze antifasciste dando vita al CLN (Comitato di Liberazione Nazionale)138 (ibidem). Le forze politiche erano

schierate principalmente su due versanti, quelle decisamente repubblicane - come i Socialisti, Giustizia e Libertà e i Comunisti -, quelle più caute legate al mondo cattolico, che presentava al suo interno diverse anime, e gli antifascisti di fede liberale che preferivano una soluzione di ricambio graduale; tutti però favorevoli all’espulsione dal Paese del Re, ritenuto responsabile dell’entrata in guerra (ibidem).

L’Italia era un grande campo di battaglia: i tedeschi controllavano il Centro-Nord e al Sud combattevano contro gli alleati che tentavano di risalire la penisola, a Roma singole unità dell’esercito italiano resistevano ai tedeschi ma dopo due giorni di scontri furono costrette ad arrendersi. Se i bombardamenti

138 Il 9 settembre del 1943 erano presenti a Roma Bonomi, presidente del Comitato, De Gasperi per la Democrazia Cristiana,

Casati per il Partito Liberale, Ruini per la Democrazia del Lavoro, La Malfa per il Partito d’Azione, Nenni per il Partito Socialista, Scoccimarro e Amendola per il Partito Comunista (Volpini, 2016).

95

dell’aviazione inglese non avevano provocato eccessivi danni le fortezze volanti americane, nell’estate del ’42, seminarono morte e distruzione (ibidem).

Il 12 settembre del 1943 il Duce venne liberato dalla prigione di Campo Imperatore da un commando tedesco; ebbe così inizio l’esperimento della Repubblica Sociale, il nuovo regime fascista guidato da Mussolini. Il 27 settembre ebbero inizio le quattro giornate di Napoli, i napoletani insorsero contro i nazisti e, combattendo strada per strada, il 1° ottobre riuscirono a liberare la città. Aveva inizio la resistenza, nell’autunno del ’43 si formarono le prime bande partigiane; il primo problema da affrontare fu quello di trasformare il movimento spontaneo di ribellione in una insurrezione organizzata (ibidem). Mentre nel Nord, occupato dai tedeschi, il CLN coordinava e organizzava in clandestinità la lotta partigiana, nel Sud, controllato dagli angloamericani, il CLN combatteva una guerra senza armi, una lotta politica per il potere. Il 13 ottobre 1943 l’Italia dichiarava guerra alla Germania, “per gli angloamericani [era] una nazione cobelligerante non alleata, [era] il nemico vinto che combatte[va] contro l’alleato di ieri e contro quel pezzo d’Italia che [aveva] aderito alla Repubblica Sociale” (ibidem). Nel gennaio 1944 si tenne a Bari il primo convegno dei partiti liberi antifascisti, il Congresso del CLN, nel quale si palesarono subito insanabili divergenze sul futuro istituzionale del paese: repubblica o monarchia. Data l’impossibilità di raggiungere un accordo, la decisione unanime dei partiti fu rimandare la decisione della questione istituzionale alla fine della guerra. La monarchia, forte dell’appoggio della Gran Bretagna139,

per salvaguardare il suo potere decise di non concedere nessuno spazio alle forze antifasciste (ibidem). Intanto la guerra continuava lungo la linea Gustav, sbarramento difensivo che tagliava la penisola dal Mar Tirreno all’Adriatico, e nei territori occupati dai nazisti. Il 23 marzo del ’44 i partigiani dei gruppi di azione patriottica in un attentato in via Rasella, a Roma, uccisero trentatré soldati del reggimento Bozen. I tedeschi ordinarono la fucilazione di dieci italiani per ogni militare caduto, ventiquattro ore dopo vennero giustiziate trecento trentacinque persone (ibidem).

Il 27 marzo del ’44, tre giorni dopo l’eccidio delle Ardeatine, sbarcò a Napoli Palmiro Togliatti. L’Unione Sovietica aveva da poco riconosciuto il governo Badoglio, una mossa inattesa che aveva sorpreso tutti: “gli angloamericani, i partiti del CLN e probabilmente anche molti comunisti italiani” (ibidem). Fu lo stesso Togliatti ad assumersi il compito di spiegare alle forze antifasciste la strategia sovietica: “in nome della lotta al nazifascismo il leader comunista apr[iva] al governo Badoglio, superando temporaneamente

139 Il 22 febbraio del 1944 Churchill aveva pronunciato il famoso discorso sulla caffettiera, sostenendo che bisognava tenere

ancora in piedi la monarchia e il governo Badoglio: “[q]uando si deve reggere una caffettiera bollente, è meglio non spezzare il manico fino a quando non si è certi di averne un altro che faccia lo stesso servizio, o per lo meno sino a quando non si disponga di uno spesso panno per evitare le scottature” (Barone, 1952, pp. 207-208). In queste poche battute emergeva chiaramente la scarsa, o nulla, fiducia, da parte di Churchill verso la capacità di autonomia dei partiti antifascisti italiani.

96

la pregiudiziale antimonarchica” (ibidem). Se da un lato l’Unione Sovietica era interessata a ridurre e a limitare l’influenza angloamericana in Italia, dall’altro Badoglio guardava con favore a questa apertura che gli permetteva di giocare contemporaneamente su due tavoli, quello sovietico e quello angloamericano. A trovare una soluzione politica accettabile da tutti, in questo eccessivo stato di entropia, fu Enrico De Nicola con la cosiddetta Svolta di Salerno, dal nome dell’allora capitale del Regno del Sud. Il compromesso a cui giunsero il Re e De Nicola fu il seguente: “Vittorio Emanuele III non abdica[va] ma si impegna[va], una volta liberata Roma, a cedere i poteri, nominando il figlio Umberto luogotenente del Regno, mentre, la soluzione della questione istituzionale [era] rinviata a dopo la fine della guerra” (ibidem).

Il 22 aprile del 1944 nasceva il secondo governo Badoglio, il primo di unità nazionale di cui facevano parte i partiti del CLN che entravano nel governo giurando fedeltà al Re: tra i ministri c’era anche Palmiro Togliatti. Il 4 giugno del ’44, dopo nove mesi di occupazione nazista, Roma veniva liberata dagli alleati: “Vittorio Emanuele III cede[va] i poteri al figlio, Umberto diventa[va] luogotenente del Regno mentre Badoglio [usciva] dalla scena politica; a Ivanoe Bonomi, leader di Democrazia del Lavoro, [veniva] affidato l’incarico di formare un nuovo esecutivo, emanazione diretta del CLN” (ibidem). Il primo atto del governo Bonomi fu l’emanazione di un decreto-legge per la convocazione di un’assemblea costituente non appena fossero cessate le ostilità, la questione istituzionale non era più una promessa ma un impegno istituzionale (ibidem).

Le forze antifasciste erano però divise sulla questione del rinnovamento della società italiana, i moderati temevano le spinte rivoluzionarie dei partiti di sinistra - Partito socialista, Partito Comunista e Partito d’Azione - favorevoli ad una modifica profonda dello stato non solo con il passaggio dalla monarchia alla repubblica ma anche attraverso una riorganizzazione della sua struttura: “l’eliminazione dei prefetti e dei questori, forme di autogoverno, forme elettive nella giustizia, nell’amministrazione, e via dicendo” (ibidem). Ma il grande tema che portò alla prima crisi di governo, nel novembre del ’44, fu quello dell’epurazione: “come giudicare le persone, soprattutto dipendenti pubblici, che in passato [avevano] servito il fascismo” (ibidem). La risposta di Bonomi alla crisi fu la rassegnazione delle dimissioni direttamente nelle mani del luogotenente, un’azione istituzionalmente corretta ma che sul piano reale sembrò disconoscere il CLN e restituire legittimità alla monarchia. Nel dicembre del 1944 venne formato un nuovo governo Bonomi a cui socialisti e azionisti non aderirono, mentre, seguendo la linea di Togliatti, i comunisti entrarono nell’esecutivo (ibidem).

Intanto, la guerra volgeva al termine. I mesi che separavano l’autunno del ’44 dalla primavera del ’45, furono mesi terribili per i partigiani che si trovarono da soli a fronteggiare i nazisti in attesa della ripresa

97

dell’offensiva da parte degli alleati, sospesa nei mesi invernali. Nell’aprile del 1945 con la ripresa dell’offensiva alleata e lo sfondamento della linea Gotica, uno sbarramento che tagliava la penisola dal Mar Ligure all’Adriatico, le grandi città del Nord insorsero: “La guerra [era] finita, nasce[va] il mito del vento del Nord”140 (ibidem). A Bonomi succedeva uno dei capi della Resistenza, Ferruccio Parri leader

del Partito d’Azione. Non fu una scelta semplice, si giunse al nome di Parri dopo tre mesi di discussioni e la candidatura di Nenni alla quale si contrappose quella di De Gasperi. La debolezza del governo Parri si mostrò immediatamente, ancora una volta la causa della rottura fu la legge sull’epurazione, approvata e promulgata da Parri e Nenni. I ministri del Partito Liberale si dimisero seguiti da De Gasperi. Nel dicembre del ’45 Parri si dimise e venne formato il governo De Gasperi, il primo a guida democristiana e l’ultimo del Regno d’Italia (ibidem).

Nel 1946 “dopo venti anni di regime e una guerra terribile gli italiani [riscoprivano] la libertà e la politica: in piazza, nei caffè e nelle trattorie uomini e donne [potevano] di nuovo discutere ed immaginare ad alta voce il loro domani” (ibidem). Il grande tema che appassionava e divideva era soprattutto la questione istituzionale. De Gasperi nel marzo del ’46 propose, e fece approvare dal governo, un decreto in cui venne stabilito che la questione istituzionale non doveva essere risolta da un’assemblea costituente bensì decisa da un referendum. La scelta di De Gasperi fu dettata da vari motivi: rassicurare la Chiesa che, spaventata e in cerca di cautela, era convinta che la maggioranza degli italiani, se non altro per paura della novità, restasse sul fronte monarchico; evitare spacchi all’interno del partito che aveva visto i quadri democristiani nettamente a favore della repubblica nella convinzione, anche in questo caso, che la grande maggioranza dell’elettorato democristiano restasse fedele alla monarchia; il rifiuto da parte di De Gasperi di ogni politica giacobina, che decidesse cioè le sorti del paese dall’alto. C’era un’altra motivazione importante: secondo De Gasperi la parola andava data al popolo, anche per evitare future lacerazioni tra le forze politiche (ibidem).

La data per il referendum costituzionale fu fissata al 2 giugno 1946. Intanto, tra marzo e aprile, si tennero le elezioni ammnistrative in ben 5722 comuni: “Per la prima volta vota[ro]no anche le donne, la Democrazia Cristiana [ottenne] ben 2534 comuni, [andarono] bene anche socialisti e comunisti, 2289 amministrazioni, mentre il grande sconfitto [fu] il Partito d’Azione che conquist[ò] solo 9 municipi” (ibidem).

140 “Il vento del Nord [era] uno stato d’animo diffuso soprattutto nel Nord Italia, zona geografica nella quale si [era] vissuta

con più intensità l’esperienza della resistenza e si traduce[va] in un’aspettativa di rinnovamento politico in senso democratico dello Stato italiano. Rinnovamento nel senso di una rottura profonda con lo stato fascista e in parte anche con lo Stato liberale che lo aveva preceduto” (Volpini, 2016).

98

Il 9 maggio Vittorio Emanuele III, avendo percepito una certa volontà di rinnovamento da parte del popolo - e consapevole di essere giudicato corresponsabile del regime fascista - abdicava a favore del figlio Umberto e lasciava l’Italia, trasferendosi ad Alessandria d’Egitto, nel disperato tentativo di salvare l’istituto monarchico. “L’atto di abdicazione [accese] la campagna referendaria, manca[va]no oramai pochi giorni al voto, le piazze d’Italia [erano] gremite. […] Le forze antifasciste più radicali azionisti, socialisti e comunisti [ritenevano] che la repubblica e l’emersione di una nuova classe dirigente [fosse] una questione vitale per il paese, [c’era] invece chi [riteneva] che il fascismo [fosse] sostanzialmente stato una parentesi che non [avesse] inciso profondamente sul corpo del paese e, che, quindi, si [potessero] recuperare gli equilibri del passato” (ibidem).

Il 2 giugno del ’46 “venticinque milioni di italiani ed italiane si reca[ro]no alle urne” (ibidem). Il paese era spaccato, il Centro-Nord aveva scelto la repubblica mentre il Sud voleva ancora un Re. “Il 5 giugno il ministro dell’interno Romita annuncia[va] i risultati, la Repubblica [aveva] avuto 12milioni e 700mila voti, la monarchia 10milioni e 700mila” (ibidem). Non venne però fornito il numero dei votanti - mentre la legge elettorale stabiliva la vittoria di una della due fazioni sulla maggioranza del totale dei votanti -, tale omissione indusse un gruppo di giuristi padovani a presentare ricorso chiedendo l’annullamento della vittoria della Repubblica. I giuristi dell’università di Padova affermavano che non si era tenuto conto delle schede bianche e nulle. Mentre si attendeva il parere definitivo della Corte di Cassazione, in tutta Italia infuriava la protesta dei monarchici che parlavano apertamente di brogli. Si verificarono una serie di scontri, i più violenti a Napoli quando l’11 giugno i monarchici assaltarono la Federazione Comunista di Via Medina e nove monarchici morirono sotto i colpi delle forze dell’ordine (ibidem). “Il 12 giugno del ’46 il Consiglio dei Ministri nomina[va] De Gasperi capo provvisorio dello Stato, il giorno dopo senza abdicare Umberto II lascia[va] l’Italia. […] Il 18 giugno, terminato il calcolo delle schede, la Corte di Cassazione proclama[va] ufficialmente la vittoria della Repubblica. L’Italia [aveva] scelto, […] [veniva] ammainata la bandiera con la croce dei Savoia” (ibidem).

Il 15 luglio venne scelta dall’Assemblea Costituente la “Commissione dei 75” che aveva il compito di redigere il testo della carta costituzionale da sottoporre poi al giudizio dell’Assemblea. La Commissione venne divisa in tre sottocommissioni: “Diritti e doveri dei cittadini, Organizzazione costituzionale dello Stato, Rapporti economici e sociali. Il 22 dicembre 1947, con 453 voti favorevoli e 62 contrari, dopo 170 sedute, l’Assemblea Costituente approva[va] la Costituzione Repubblicana, che entra[va] in vigore il 1° gennaio 1948” (ibidem).

99