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La rinascita: mercato editoriale, cinema e tempo libero

CAPITOLO II: DAL DOPOGUERRA AL BOOM ECONOMICO

1. L’Italia del dopoguerra

1.2. Gli anni della ricostruzione

1.2.1. La rinascita: mercato editoriale, cinema e tempo libero

Gli aiuti americani erano riusciti in buona parte a risolvere il problema dell’alimentazione ma restava drammatica la situazione delle case, anche quelle che avevano resistito ai bombardamenti: “ogni quattro case una [era] senza acqua e in 73 case su 100 manca[va] il bagno, mentre più famiglie conviv[evano] nella stessa abitazione. Non solo le case ma anche le città si trasforma[va]no, le periferie si riempi[vano] di baracche. La maggioranza degli italiani vive[va] in campagna, i contadini [erano] otto milioni e mezzo, sei milioni di italiani lavora[va]no invece nell’industria e quattro nei servizi, per muoversi usa[va]no soprattutto i piedi o la bicicletta, è così che [andavano] al lavoro […], la macchina [era] un lusso per pochi. [Era] un Italia che sarà raccontata nei film, nei romanzi e nelle canzoni” (Di Giovine, 2016). Il salario di un operaio arrivava massimo a 30mila lire al mese, la Fiat Topolino - cantata da Paolo Conte nella canzone La Topolino Amaranto del 1975 - costava 1milione e 720mila lire mentre una bicicletta ne costava 20mila. Il numero di automobili in circolazione scese di 20mila unità rispetto a dieci anni prima, nonostante la popolazione fosse aumentata di 4milioni. Gli autocarri in città avevano in parte sostituito gli autobus e i tram; la situazione dei treni era disastrosa, da Milano a Roma partiva un solo treno al giorno (ibidem). Nel 1946 venne lanciata sul mercato la Vespa152, un nuovo mezzo di locomozione facile

da guidare e non molto costoso (80mila lire), che conquistò immediatamente gli italiani. Nel 1947 l’Innocenti, che prima della guerra produceva tubi in acciaio e proiettili, rispose alla Vespa con la Lambretta: “Nel ’46 circola[va]no 100mila motoveicoli, nel ’49 […] 460mila e tre anni dopo arriveranno ad 1.820mila, il triplo delle autovetture”153 (ibidem).

I segni della rinascita si riscontravano in diversi ambiti: “nell’immediato dopoguerra si celebra[ro]no tanti matrimoni come mai nella storia d’Italia, i reduci si ricongiung[evano] con le loro fidanzate, le sale cinematografiche si riempi[vano], finalmente si po[tevano] vedere i film di Hollywood, che il fascismo aveva vietato. Nei locali da ballo si diffond[evano] i suoni americani, [era] il boogie-woogie” (ibidem).

152 La Vespa fu inventata dall’ingegnere Corradino D’Ascanio, che ricavò il motore dalle scorte dei motorini di avviamento

degli aerei che la Piaggio non poteva più costruire per divieto degli alleati (Di Giovine, 2016).

153 Lo scooter non era soltanto una bicicletta rafforzata ma rappresentava anche una rottura simbolica molto forte con il

passato, con un elemento estetico ed un’idea di movimento rivoluzionaria. Si poteva andare in posti prima irraggiungibili, in due, con gli amici o la ragazza (Di Giovine, 2016).

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L’America si materializzava nell’immaginario degli italiani come “abbondanza, spregiudicatezza e movimento”: il cinema, il ballo e i prodotti americani ebbero sul popolo, che aveva una forte voglia di rivivere, una fascinazione immediata (ibidem). La sinistra osteggiò culturalmente, in modo esplicito, questa grande potenza dell’immaginario, mentre la Democrazia Cristiana cercò una mediazione tra la modernità americana, che voleva dire “anche disordine, caos, sregolatezza morale”, e la matrice cattolica, che tendeva invece a contenere tali comportamenti (ibidem).

Accanto alle mode americane si riprendevano velocemente anche i riti italiani e si creavano nuovi miti. “Nel ’46 ripart[iva] il giro d’Italia e gli italiani si divid[evano] tra tifosi di Bartali e tifosi di Coppi. [Erano] i nuovi idoli dello sport ma […] anche i rappresentanti di due Italie che si confronta[va]no, l’Italia cattolica di Bartali e quella laica di Coppi. I giornali esalta[va]no le loro imprese, che varca[va]no i confini nazionali, [erano] il simbolo e l’orgoglio della nuova Italia” (ibidem). Nello stesso anno nasceva il concorso Miss Italia che lanciava sulle scene le nuove dive del cinema italiano – come Silvana Mangano, Gina Lollobrigida, Silvana Pampanini e Sofia Loren - e proponeva un nuovo modello di donna lontano da quello del regime. Nel ’46 ripartiva anche il calcio e per la prima volta “al campionato [veniva] abbinato un concorso pronostici, i bar si riempi[ro]no di schedine della Sisal, che diven[ne] nel ’48 il Totocalcio. Tutti si affida[va]no alle schedine, i governi che usa[va]no i soldi della Sisal per risanare i bilanci e gli italiani, che cred[evano] nella ricostruzione ma punta[va]no molto anche sulla fortuna” (ibidem).

Dal mondo della cultura emergeva l’esigenza di raccontare “la nuova Italia che [usciva] dalla guerra con le sue speranze e le sue miserie” (ibidem). Il mercato editoriale, così come quello dello spettacolo e del tempo libero, vide in brevissimo tempo un esponenziale sviluppo. “La situazione di partenza non [era] facile, gli italiani legg[evano] poco, il 40% per cento non legge[va] mai un libro, nonostante questo nel 1945 in Italia [uscirono] più di 4mila pubblicazioni, quattro anni dopo i volumi pubblicati [furono] 10mila. Nasc[evano] le prime collane economiche in formato tascabile, i classici della letteratura diventa[va]no accessibili a tutti ma arriva[va]no anche gli autori stranieri proibiti dal regime, gli americani prima di tutto, ed [uscivano] i romanzi dei nuovi narratori italiani”154 (ibidem). Il cambiamento

investì anche il settore del giornalismo e dell’informazione in generale: “nasc[evano] nuovi settimanali come Il Mondo e L’Europeo, dove si forma[ro]no giornalisti come Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca e Oriana Fallaci, e dove si racconta[va] in modo nuovo la cronaca: meno retorica, più inchieste e tante

154 L’industria editoriale si divideva in un due grandi categorie una strettamente commerciale della Rizzoli e della Mondadori,

ed una che si dedicava alla cultura politicizzata, dove l’Einaudi vedeva il monopolio assoluto in un rapporto strettissimo ma anche tumultuoso con il partito comunista (Di Giovine, 2016).

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immagini” (ibidem). Il teatro viveva un momento di particolare effervescenza: “il teatro lirico vi[sse] il suo grande risveglio nel maggio del 1946 quando Arturo Toscanini, tornato in Italia dall’America, [diresse] il concerto di riapertura della Scala di Milano ricostruita dopo i bombardamenti. Nello stesso anno, sempre a Milano, un imprenditore teatrale, Paolo Grassi, e un giovane regista, Giorgio Strèhler, apr[irono] il Piccolo teatro di Milano che divent[ò] un punto di riferimento della scena teatrale italiana. Ma [era] tutto il teatro di prosa ad essere pervaso da un grande fermento culturale, a Napoli Eduardo De Filippo mette[va] in scena Napoli Milionaria, che racconta[va] il dramma di una città che cerca[va] di ricucire le ferite della guerra” (ibidem).

La necessità di indagare e raccontare i problemi della società, dopo anni di forzato silenzio, pervadeva ogni settore del mondo culturale e prendeva il nome di realismo. “In letteratura il realismo si afferma[va] nel 1945 con il romanzo di Carlo Levi Cristo si è fermato ad Eboli, cronaca di un Sud dimenticato, segu[irono] i romanzi sulla resistenza, nasc[evano] scrittori come Fenoglio e Calvino. Per molti intellettuali l’impegno sociale [era] totalizzante e il rapporto con la politica sempre più forte, Vittorini fonda[va] la rivista Il Politecnico, Pavese lavora[va] alla casa editrice Einaudi che pubblica[va] le opere di Gramsci”155 (ibidem). Questo nuovo modo di raccontare la realtà si impose sulla scena internazionale

attraverso il cinema e prese il nome di neorealismo: “[furono] tre i suoi alfieri Roberto Rossellini, Vittorio De Sica e Luchino Visconti. [Avevano] storie e provenienze diverse, Rossellini [aveva] diretto film per il regime, De Sica [era] stato un divo dei telefoni bianchi, Visconti [era] un aristocratico che [aveva] fatto la resistenza. Lontani e diversi tra loro [riuscirono] a raccontare la nuova povera Italia che [usciva] dalla guerra con una verità e un realismo che incanta[ro]no il mondo” (ibidem). Gli autori neorealisti furono accomunati dall’utilizzo di un tipo particolare di set, le scene venivano girate “nei loro luoghi naturali, le strade della città, le case, abbandonando gli studi cinematografici” (ibidem). Dietro questa scelta c’era sia un ideale espressivo che una necessità materiale: era infatti impossibile l’uso degli studi di Cinecittà occupati in quegli anni dagli sfollati. Il pubblico italiano non rispose con grande entusiasmo alle opere neorealiste, a questo tipo di cinema preferiva infatti i film di “pura evasione che arriva[va]no da Hollywood”156 (ibidem). Il cinema neorealista italiano, invece, riscosse subito un grande successo di

pubblico e di critica all’estero, ottenendo riconoscimenti come Oscar e Palme d’Oro. Grazie alle opere

155 La sinistra, molto attenta alle egemonie culturali, dava agli intellettuali, ai registi, agli scrittori, ai pittori, agli artisti un

ruolo e una risonanza che i partiti di governo non davano. Uno dei più grandi polemisti culturali del PC era il suo segretario Togliatti, il quale usava lo pseudonimo Rodrigo di Castiglia, che tuonava contro gli intellettuali e gli artisti che non si schieravano con l’estetica ufficiale del Partito e dei partiti comunisti (Di Giovine, 2016).

156 Il film Roma città aperta di Roberto Rossellini venne proiettato per la prima volta al Festival del Quirino a Roma, il 24

settembre 1945. La sera della prima proiezione fu fischiato, una parte della critica fu totalmente negativa mentre l’altra, che accettava il film, affermava che esso tendeva a creare una notevole confusione tra cronaca e arte (Di Giovine, 2016).

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neorealiste il cinema italiano venne conosciuto in tutti i paesi dando nuova linfa allo sviluppo dell’industria cinematografica italiana, che si affermò come “la seconda industria cinematografica nel mondo dopo quella americana” (ibidem). In Italia i film neorealisti non riscossero grande successo non solo tra il pubblico ma, anche, tra eminenti figure di intellettuali e politici, i quali sostennero che questi film davano “dell’Italia un’immagine non nobilitante” (ibidem). Il cinema neorealista introdusse un elemento nuovo e ormai non più negoziabile, la comparsa sul grande schermo della vita quotidiana del grande popolo degli ultimi, per la prima volta le ‘classi subalterne’ trovavano volto e voce157. A mostrare

il proprio appoggio al cinema neorealista furono soprattutto le élite culturali che aderivano alle posizioni del partito comunista che, a differenza dei rappresentati del partito di governo, sentivano e mostrarono una vicinanza particolare ai valori e alle esigenze della classe proletaria (ibidem).