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CAPITOLO II: DAL DOPOGUERRA AL BOOM ECONOMICO

3. La sociologia e il mondo accademico

3.1. La nascita della rivista Quaderni di Sociologia

Nel 1951 veniva fondata da Nicola Abbagnano e Franco Ferrarotti202 la prima rivista di sociologia

apparsa nel secondo dopoguerra Quaderni di Sociologia, che condivideva la stessa impostazione del

Centro Metodologico di Abbagnano (Balbo et. al., 1975).

202 In un intervento all’Università la Sapienza di Roma del luglio del 2002, Franco Ferrarotti ricostruisce le origini e le idee

che portarono alla costituzione dei Quaderni di Sociologia, la cui costituzione, affermava, si legò da un lato “al bisogno e alla passione che fin da giovanissimo avvertivo per la sociologia” e dall’altro all’esigenza “di poter parlare alle persone conosciute ma anche, e più ancora, a quelle sconosciute attraverso un organo di stampa periodico, di cui fossi responsabile”. L’idea della rivista, racconta Ferrarotti, nacque a seguito del fallimento di un’altra rivista, da lui pensata e diretta, e stampata dalla piccola tipografia La Voce del Monferrato, dal titolo La rivoluzione umana – Quindicinale della generazione nuova che lo accompagnò “durante tutta la laboriosa traduzione dell’opera iconoclastica La teoria della classe agiata di Thorstein Veblen, uscita da Einaudi il 3 gennaio 1949. Laureatomi a Torino con Nicola Abbagnano, mi sentivo pronto (eravamo nell’inverno 1949-50 e dall’autunno 1948 avevo incontrato e cominciato a collaborare con Adriano Olivetti) a dar corso all’impresa di una rivista rigorosamente scientifica, ma extra-accademica. Ma perché una rivista? E perché quel titolo? Non ero mai stato uno studente modello. Augusto Guzzo, che aveva rifiutato di firmarsi la tesi (la firmò, generosamente, Nicola Abbagnano a scatola chiusa), mi chiamava il suo “clericus vagans”. Trovavo la filosofia, soprattutto quella neo-idealistica e spiritualistica, che era allora dominante, pomposa e astratta nello stesso tempo; d’altro canto, le lezioni di economia politica di Bordin, che avevo seguito per qualche tempo a Piazza Arbarello (a Torino, dove Bordin teneva le sue lezioni nella Facoltà di Economia e Commercio), mi parevano noiose e inutilmente matematizzate. Volevo qualche cosa di scientificamente rigoroso, ma vicino all’esperienza quotidiana del vivente. Per me, era la sociologia. […]. La prima persona con cui parlai esplicitamente dei “Quaderni di Sociologia” fu una studentessa di Abbagnano che stava per laurearsi, Magda Talamo, e poi ne parlai anche con una sua amica, Anna Anfossi. Insieme si voleva fare un centro di ricerche, che da tempo proponevo, il CRIS (che poi, quando io me ne andai per il mondo, loro due fecero). […]. I “Quaderni” erano diventati per me un’ossessione. Ne parlavo spesso anche con Pavese. Cesare Pavese mi consigliava di mettermi insieme con la “cocca” (così diceva) di “Cultura e realtà”, una rivista che stava per uscire a Roma, con Natalia Ginzburg, Mario Motta, Felice Balbo, Giorgio Ceriani Sebregondi, lui stesso e altri. Ma io, a naso, a giudicare dal comitato di redazione, trovavo l’impresa piuttosto precaria, e avevo ragione. Di “Cultura e realtà” non uscirono che due o tre numeri. Una possibilità c’era, con la “Rivista di Filosofia”, che in quel momento era pubblicata da Olivetti con le edizioni di Comunità. Ma giocavano contro questa apparentemente ragionevole soluzione, due difficoltà piuttosto per me massicce: 1) non volevo aver niente da spartire con la filosofia “tradizionale”; 2) in secondo luogo, non volevo fare pasticci con Olivetti; i “Quaderni” dovevano essere gelosi della loro autonomia, né con l’università né contro l’università, ma neppure al servizio di pur nobili ideali; dovevano servire solo a condurre una battaglia strettamente sociologica. […] Fu allora che di fronte alla mia ostinazione, Abbagnano, un giorno di fine ’50, mi invitò a casa sua, in Via Talucchi. Si mangiò; si parlò del più e del meno; lui fumò una mezza sigaretta; io tracannai un bicchiere di rosso. Stavo per andarmene. Marian, mi spiegò [Abbagnano], era la sua seconda moglie. Era americana, non era neppure il caso di dirlo, lo vedevo da me. Alta, bionda, slanciata, con lo sguardo diritto e fermo di un’autentica businesswoman. Non avevamo parlato molto, ma coglievo una certa simpatia nei suoi occhi chiari. Sulla porta, Abbagnano mi fa: “Senti, Franco. Mi sembra che tu abbia qualche difficoltà a trovare uno che ti stampi i “Quaderni”. Sai, mia moglie Marian ha una piccola casa editrice, la Taylor. Potremmo stamparla noi. Tu naturalmente saresti il direttore e il proprietario, hai avuto tu il permesso di stamparla

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Come ricorda Paola Borgna - in occasione del convegno LUCIANO GALLINO - Dalla sociologia del

possibile alla sociologia per la società mondo - Presentazione del numero speciale di “Quaderni di Sociologia” dedicato a Luciano Gallino del 03-04 aprile 2017 presso l’Università della Calabria203 -,

Nicola Abbagnano in occasione dei 25 anni della rivista ricordava la sua nascita, nel 1951, come “un avvenimento «modesto», così lo definiva, che tuttavia aveva segnato una data nella storia culturale italiana. Per comprendere che cosa intendesse e quanto «pregiudizi, dogmatismo e provincialismo», come lui li definiva, trovassero spazio nella cultura italiana ufficiale del tempo è utile richiamare la nota polemica che aveva opposto Carlo Antoni alla sociologia” (Borgna, 2017). Poco dopo l’uscita del primo numero dei Quaderni di Sociologia, estate 1951, Carlo Antoni pubblicava sul settimanale Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio e di forte orientamento liberal-crociano, un articolo dal titolo La scienza dei

manichini in cui muoveva una serie di obiezioni alla sociologia utilizzando essenzialmente le stesse

argomentazioni che Croce aveva utilizzato nella polemica con Vilfredo Pareto agli inizi del Novecento. Carlo Antoni muoveva la sua critica alla sociologia proprio a partire dalla neonata rivista, aprendo il suo articolo con queste parole: “Vi è qualche segno dell’intenzione, da parte delle solite brave persone desiderose di tenere al corrente la nostra cultura, di reimportare tra noi quella scienza o pseudoscienza ottocentesca, che quasi da mezzo secolo era scomparsa dalla nostra cultura: la sociologia. A questo scopo è uscita in questi giorni una piccola rivista. È il caso dunque di dire qualcosa sul conto di questa scienza”204 (Antoni, 1951, p. 6). Antoni richiamava la negazione da parte di Croce e di Gentile di una

scienza “che alla realtà spirituale pretendeva applicare gli schemi delle scienze naturali” (ibidem), identificando nei manichini l’esito cui conduce il procedimento classificatorio applicato al mondo umano, che disgrega la persona nella “sua soggettività interiore e lo spezza in una pluralità di gesti e comportamenti contraddittori, che fanno di lui un automa incoerente e assurdo” (ibidem) perdendo di vista “l’autonomia spirituale, il prodigio della libertà, l’originalità, che sono le qualità per le quali l’uomo ha un valore ed hanno un valore le sue opere” (ibidem) e attraverso l’impiego “delle statistiche, per effetto di quella superstizione moderna che è l’impiego del numero […] pretende trarre l’interpretazione dell’animo umano, della vita spirituale e della sua storia” (ibidem). Nicola Abbagnano rispondeva a Carlo

dalla Questura. Io ti aiuterò”. La sua generosità incantava, detta in poche parole, sottovoce. Nell’estate del 1951 usciva il primo numero dei “Quaderni”, con il mio “Piano di lavoro”, e lui, Abbagnano, in funzione di vice-direttore. La cosa mi sembrò naturale. Ma aveva del miracoloso. Nei miei propositi, i “Quaderni di sociologia” erano innanzitutto uno strumento di battaglia culturale, e nascevano in funzione extra-accademica e anche, occasionalmente, aspramente anti-accademica” (Ferrarotti, 2002).

203 L’intero testo dell’intervento di Paola Borgna, così come quello di Paolo Ceri allo stesso convegno, è integralmente

riportato nella sezione Altri materiali della presente trattazione.

204 L’articolo di Carlo Antoni La scienza dei manichini può essere consultato online grazie al progetto di digitalizzazione

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Antoni direttamente dai Quaderni di Sociologia con un testo pubblicato sul fascicolo n. 3, inverno 1952, dal titolo Risposta a Carlo Antoni in cui affermava che era lui a sentirsi di fronte a “manichini della scienza”, “cioè a principi, tesi e affermazioni che non avevano fondamento nella situazione culturale del tempo e che venivano assunte e ripetute nella forma stereotipata e nel loro valore presunto, appunto come dei manichini” (Borgna, 2017). Abbagnano affermava che “i concetti di natura e spirito nella loro posizione schematica sono diventati impropri e inoperanti. […] è chiaro che il problema della sociologia non è quello di ridurre lo spirito umano alla natura, come pretende l’Antoni, ma solo quello di vedere se sussistono nella vita umana uniformità relative che possano essere constatate con mezzi di accertamento oggettivi. Ora, che tale uniformità sussista non è una cosa che si possa mettere in dubbio dal momento che esse sono il fondamento di tutte le manifestazioni fondamentali della vita umana e sono l’uniformità che chiamiamo azioni, abitudini, costumi, negozi, istituzioni” (Abbagnano, 1952).

In questo clima culturale Ferrarotti, nel primo numero dei Quaderni di Sociologia, esponeva il Piano di

lavoro, i compiti che la rivista si assegnava e si assumeva. La rivista si divideva in tre sezioni: teorica, di

sociologia applicata, rassegna bibliografica e notiziario. La sezione teorica veniva presentata come il luogo dei “principi della sociologia” attraverso “un’acquisizione critico-espositiva delle verità parziali prodotte dalle varie “scuole sociologiche” e l’approfondimento rigoroso di una serie di temi, che indichiamo schematicamente come segue: 1. I fondamenti logici della sociologia come scienza; 2. Dato pragmatico e dato problematico. 3. La sociologia come analisi descrittiva e rilevazione di linee di tendenza (problema della “oggettività” nella sociologia). 4. La concezione del fatto sociale come struttura totale aperta. 5. Le unità di misura e i criteri zetetici della sociologia: il concetto di atteggiamento (interindividuale) e di istituzione come modo di essere collettivo con validità consuetudinaria non codificato in senso giuridico. 6. Esame critico della critica crociana alla sociologia. 7. Dalla sociologia universalistica e filosofeggiante (Comte, Spencer) alla sociologia come scienza rigorosa. 8. La sociologia di fronte alla filosofia: giudizi di fatto e giudizi di valore. 9. La concezione del fatto nel vecchio positivismo. 10. Il concetto di convenzione e il Circolo di Vienna” (Ferrarotti, 1951, p. 5). La sezione di sociologia applicata veniva definita da Ferrarotti come “una sezione decisiva […] per la cultura italiana, può veramente rappresentare una novità. […]. Rientrano di diritto in questa sezione indagini e studi particolari, saggi di microsociologia, sociometria. I temi fondamentali sono forniti da tre ordini di problemi: a) rapporto città-campagna […]; b) il lavoro industriale […]; c) l’organizzazione della cultura (I. modi e strumenti espressivi, tecniche di distribuzione dei prodotti culturali; 2. l’intellettuale di fronte al mondo della produzione economica; 3. funzione sociale dell’intellettuale: l’intellettuale come elemento eterogeneo e come fattore di omogeneità)” (ibidem). Le motivazioni alla base dell’iniziativa

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pubblicistica della rivista vengono sintetizzate in tre punti: “1. - Inesistenza della sociologia come scienza rigorosa in Italia e fuori d’Italia. In Italia l’influenza del neoidealismo ha precluso per un certo tempo ogni possibilità di studio e, in genere, di attività teorica in questo senso. Fuori d’Italia l’empirismo, nelle sue svariate versioni (pragmatismo, scientismo, evoluzionismo unilineare, comportamentismo, antropologismo etnografico, psicologismo, ecc.) si è rivelato insufficiente a fondare logicamente la sociologia come scienza e a garantirla come tale. 2. -Possibilità e quindi necessità di aprire inchieste e indagini particolari e circoscritte, pur con la estrema povertà di mezzi e la rudimentalità degli strumenti zetetici […]. 3. Opportunità di divulgare certe tecniche di ricerca e alcune verità parziali acquisite dalla sociologia, quale si configura in determinate situazioni culturali europee e americane, nella cultura italiana, anche fuori del mondo accademico e della cultura ufficiale” (ivi, p. 6).

Abbagnano nel 1976, in occasione dei 25 anni dei Quaderni di Sociologia, ne ricordava gli anni della nascita: “Quando, per iniziativa di Franco Ferrarotti e mia, questa rivista nacque, nel 1951, le circostanze erano tutt’altro che favorevoli agli studi sociologici. L’idealismo, che aveva dominato nei decenni precedenti la cultura italiana e di cui ancora rimanevano tracce, considerava la sociologia una falsa scienza cui non convenisse prestare alcuna attenzione. Studi sociologici erano occasionalmente coltivati da economisti e politici; ma lo stesso Trattato di sociologia (1916) di Vilfredo Pareto, che ora è considerato come un’opera classica, non aveva suscitato in Italia alcuna attenzione. Non esistevano nelle università italiane cattedre di sociologia; e anche questo era un fattore che impediva o scoraggiava l’interesse per questa scienza. Esistevano tuttavia condizioni obiettive per l’insorgere di questo interesse. In primo luogo, l'impossibilità, sempre più e meglio riconosciuta, di istituire un qualsiasi discorso sull'uomo, e specialmente sul suo sviluppo e sulla sua educazione, senza tener conto del suo aspetto «sociale»; quindi l’esigenza di determinare la natura e la portata di questa socialità. In secondo luogo, l’esigenza di rendersi conto, con ricerche appropriate e accertamenti validi, dei problemi sociali fatti sorgere dalle trasformazioni in atto. In terzo luogo, l’esempio degli altri paesi, ai quali la cultura italiana si era ormai aperta abolendo la precedente clausura, nei quali la ricerca sociologica aveva già dato frutti abbondanti. Infine, l’esigenza di non acquisire passivamente i risultati di tale ricerca, ma di sottoporla a un controllo teorico e sperimentale” (Abbagnano, 1976, p. 5). Abbagnano riconosceva negli intenti enunciati da Ferrarotti nel Piano di lavoro del 1951, e nel modo in cui i Quaderni in questi primi venticinque anni li avevano perseguiti, il primo accenno di una ripresa degli studi sociologici in Italia “Franco Ferrarotti vi propose un ambizioso «piano di lavoro» che si è rivelato tuttavia decisivo per l’orientamento della rivista. Vi era chiaramente indicato un orientamento critico che servisse «a sbloccare sul piano della ricerca viva, colta nel suo momento induttivo, gli apriorismi del sociologismo tradizionale

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(denuncia e avvio di una aporetica sistematica) e nel contempo servisse come verifica delle singole ipotesi di lavoro, in prima istanza, nonché dei princìpi generali della ricerca, ossia dei princìpi primi della scienza (integrazione e definizione del rapporto della sociologia rispetto alla filosofia e alle scienze)». Ferrarotti accennava anche all’importanza delle ricerche sul campo, di cui infatti la rivista sin dal primo numero portò qualche esempio, e a quella di una divulgazione delle tecniche di ricerca e di alcune verità parziali acquisite dalla sociologia negli altri paesi. I Quaderni di Sociologia costituirono il primo accenno di una ripresa degli studi sociologici in Italia. Nei dieci anni che seguirono la loro apparizione, questi studi conobbero una prima fioritura anche perché ne fu subito compreso, non solo l’interesse teorico, ma anche l’utilità pratica ai fini di una migliore organizzazione delle strutture economiche e sociali. Sorsero, o risorsero a nuova vita, le riviste specifiche. Furono istituite cattedre di sociologia che subito richiamarono l’interesse di molti studenti. Si accese la polemica tra le diverse impostazioni teoriche della scienza e si moltiplicarono le indagini specifiche su settori o aspetti della vita sociale. […]. Si può onestamente dire che negli anni successivi questa rivista ha tenuto fede al suo impegno. Non sono ad essa sfuggiti i fenomeni e gli aspetti più macroscopici della vita sociale del nostro tempo, ai quali ha dedicato talvolta numeri unici che hanno avuto vasta risonanza. Dall’altro lato, essa è rimasta estranea a quel «sociologismo» deteriore che si ferma a spiegazioni stereotipe dei fenomeni sociali, spiegazioni che, come le chiavi false, aprono tutte le porte. Essa è e intende restare una libera palestra di ricerche, di critiche, di indagini approfondite, nonché un notiziario esauriente di quanto si fa nel suo campo” (ivi, pp. 5-6).

In occasione del cinquantesimo anniversario dei Quaderni di Sociologia, nel 2001, Luciano Gallino, direttore della rivista dal 1968205, ricostruiva nella presentazione del fascicolo celebrativo, scritta insieme

a Paolo Ceri, “la singolarità” delle vicende dei Quaderni di Sociologia “La singolarità stava nel fatto che un filosofo di grande fama, cattedratico dell’Università di Torino, che aveva appena finito di pubblicare la prima edizione della sua poderosa Storia della Filosofia, e un suo giovane neo-laureato, provvisti di risorse minime, si erano alleati per compiere un’impresa editoriale innovativa quanto ardita: pubblicare una rivista scientifica intitolata a una disciplina che nemmeno la maggior parte degli accademici sapeva bene qual cosa fosse, e che aveva allora nel continente rare consorelle. In effetti le riviste di sociologia

205 Franco Ferrarotti lascia la direzione della rivista Quaderni di Sociologia nel 1967 in disaccordo con la linea editoriale

assunta dalla rivista, definita da Ferrarotti troppo accademica: “Se la sociologia vuol essere la partecipazione critica dell’umano all’umano, deve unire analisi rigorosa e attenzione all’attualità, anche la più slabbrata. Non per mettersi al rimorchio della cronaca, ma per cogliere nel dato empirico il suo senso profondo, il collegamento con la totalità. Nel 1967 lascio i «Quaderni di sociologia» e esce il primo numero di «La critica sociologica»” (Ferrarotti, 2017).

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erano a quel tempo, in Europa, non più di cinque o sei: trent’anni dopo si sarebbero contate a centinaia, con decine di specializzazioni. Le più note, e di maggior peso culturale, erano la francese «Cahiers Internationaux de Sociologie», avviata nel 1946, e la tedesca «Koelner Zeitschrift fuer Soziologie und Sozialpsychologie», rinata nel 1949 dalle ceneri postnaziste. Quanto agli insegnamenti universitari, in Italia esisteva una sola cattedra di sociologia, a Firenze, titolare Camillo Pellizzi, derivante dalla trasformazione nell’immediato dopoguerra d’una precedente cattedra di tutt’altro contenuto. […]. Nessun editore di peso alle spalle, pochi riferimenti internazionali, qualche decina di studenti in una sola città, diffidenze accademiche diffuse: da dove provenissero gli abbonati e i lettori dei primi «Quaderni di Sociologia» rimane un mistero. Nonostante ciò, nel giro di pochi anni, grazie anche ai rapporti internazionali di Marion Taylor, gli abbonati ai «Quaderni» arrivarono a oltre 1.000, di cui più di un terzo all’estero: cifra ancor oggi invidiabile per gli editori di riviste scientifiche” (Gallino e Ceri, 2001, p. 7). Come afferma Paolo Borgna i Quaderni di Sociologia, nati e diretti a Torino in un contesto culturale meno afflitto di altri dall’ostracismo di un’egemonia idealistica, hanno rappresentato sin dall’inizio una rivista nazionale e non locale, caratteristica che si evince da un’analisi della composizione editoriale, della composizione redazionale, dalla provenienza territoriale degli autori così come dalla diffusione dei fascicoli, che ha contribuito in maniera rilevante ad accreditare la disciplina sociologica sia in ambito culturale che universitario (Borgna, 2017).