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CAPITOLO I: DALL’UNITÀ D’ITALIA AL FASCISMO

4. L’Italia fascista

4.5. Gli studi sociali durante il fascismo

L’instaurazione del regime politico fascista, come spiegano Lentini (1974) e Avallone (2010), non condusse a un totale azzeramento delle discipline sociali quanto piuttosto a quello di ogni loro forma di espressione autonoma. Il regime era interessato a descrivere la realtà sociale senza metterne in evidenza i conflitti e le contraddizioni interne: a tale scopo alcuni ambiti istituzionali furono mantenuti, e altri creati, sia per lo svolgimento delle indagini sociali che per l’insegnamento della sociologia (Avallone, 2010). Si dimostrava utile per la descrizione della realtà sociale il ricorso agli strumenti dell’indagine sul campo e, soprattutto, della statistica. Nel 1926 venne creato l’Istituto centrale di statistica, diretto da Corrado Gini134 e posto alle dipendenze dirette del Capo del Governo. Gini, già presidente della sezione

italiana dell’Institut international de Sociologie, nel 1937 promosse la rinascita della Società italiana di

sociologia, fondata nel 1910 da Raffaele Garofalo, ed il riconoscimento della disciplina come materia di

insegnamento universitario. Egli stesso divenne titolare di una cattedra di sociologia presso l’università di Roma. L’insegnamento della sociologia venne inoltre introdotto nell’Università di Padova e l’Istituto di scienze sociali di Firenze, sedi cui si aggiunsero, dal 1928, Milano, Cagliari, Bologna e Palermo. La sociologia, così come le altre scienze sociali, non fu soppressa come disciplina né tanto meno interdetta a livello istituzionale o sul piano delle tecniche, bensì fu privata delle libertà di ricerca e ridotta a sapere organizzato di Stato (ibidem).

La crisi vissuta dalla sociologia agli inizi del nuovo secolo, come afferma Avallone (2010), non è da imputarsi, esclusivamente a fattori esterni quali la già accennata opposizione da parte dell’idealismo e

134 Corrado Gini fondò nel 1936 la Facoltà di scienze statistiche, demografiche e attuariali dell’Università di Roma La

Sapienza, di cui fu preside fino al 1954. Fu presidente dell’Istituto centrale di statistica (1926- 1932), della Società italiana di genetica ed eugenica (1934), della Federazione internazionale delle Società di eugenica dei paesi di lingua latina (1935), della Società italiana di sociologia (1937), della Società italiana di statistica (1941-1944 e dal 1949 fino alla morte). Fu vicepresidente dal 1933 e presidente dal 1950 dell’Istituto Internazionale di sociologia e membro nazionale dell’Accademia dei Lincei (1962). Gini fondò e diresse le riviste Metron (1920), Vita economica italiana (dal 1925 al 1943) e Genus (dal 1934). Contribuì in modo decisivo allo sviluppo della metodologia statistica dando vita ad una vera e propria scuola italiana, ed alla costruzione delle basi teoriche di una sociologia positiva (Federici, 2001). Michele Marotta (1959) dedica un volume al pensiero sociologico di Corrado Gini.

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l’avanzata e l’affermazione del fascismo, bensì anche e soprattutto alle sue debolezze interne135 che le

impedirono di resistere ai fattori esterni di crisi, nel caso specifico alla sua utilizzazione da parte del fascismo per le proprie finalità politiche (Avallone, 2010).

Una continuità degli studi sociali dalla fase precedente al periodo fascista è stata riconosciuta solo dagli anni ’70 in poi quando si è passati da un’analisi esclusivamente politica a una storiografica del ventennio, che ha permesso una ricostruzione dei diversi percorsi di studio e indagine effettuati durante la dittatura. Barbano (1985) evidenzia una continuità di interessi sociodemografici, sulla famiglia e sulle corporazioni; Lentini (1995), a sua volta, evidenzia come i temi della distribuzione e della mobilità territoriale della popolazione, con riguardo particolare al rapporto tra insediamenti rurali e urbani, e alle condizioni materiali di vita, specialmente delle classi rurali, con un’attenzione particolare alle abitazioni, rappresentino una linea di continuità con gli studi realizzati nei decenni precedenti. La differenza sostanziale va rintracciata nelle motivazioni alla base di queste indagini, non più legate a interessi di natura scientifica o amministrativa ma volte a perseguire nel migliore dei modi gli obiettivi interni al regime: la spinta verso il processo di accumulazione e il sostegno alla retorica anti-urbanistica (ibidem). L’opzione ruralista venne perseguita dalla politica fascista, oltre che con la propaganda, attraverso l’emanazione di provvedimenti legislativi tesi a ridurre il processo di inurbamento e la diffusione degli stili di vita ad esso connessi, sforzi che non sembrarono però riuscire ad arginare il lento ed inesorabile movimento della popolazione dai centri interni e di montagna verso le città, processo fotografato dai dati Istat che non potevano negare quanto accadeva nella realtà sociale, territoriale ed economica nazionale, analogamente si realizzò il processo di deruralizzazione, nonostante gli ostacoli posti dal fascismo (ibidem). Ebbe un’accelerazione, seppur disomogenea per aree territoriali, anche il processo di industrializzazione, evidente nell’aumento degli addetti all’industria nel periodo 1921-1931. Come scrive Avallone “Le questioni del rapporto tra città e campagna, tra popolazione rurale ed urbana e tra sviluppo dell’agricoltura e diffusione industriale furono centrali nella politica complessiva del fascismo, così come, più in generale, lo furono tutti i temi connessi al governo del territorio. Il programma di bonifica integrale, l’idea di un piano regolatore nazionale, la fondazione delle città e dei borghi rurali e la

135 Non era stata raggiunta una sistematizzazione teorica e metodologica, neppure la pubblicazione del Trattato di sociologia

generale pubblicato nel 1916 riuscì a dare una spinta al consolidamento della disciplina ed alla costruzione di una scuola sociologica italiana. L’influenza del positivismo pur avendo rappresentato per la disciplina un momento di mutata attenzione e di sviluppo aveva finito per indebolirne il potenziale conoscitivo, incanalando gli sforzi della disciplina verso l’elaborazione di sintesi teoriche onnicomprensive dei fenomeni sociali (Avallone, 2010).

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riflessione urbanistica che sfociò nella legge del 1942 sono alcune delle tracce maggiormente significative dell’attenzione riconosciuta dal regime al tema del territorio” (Avallone, 2010, p. 77). Questi interessi vennero espressi non solo dalle figure di tecnici ed intellettuali ma anche da abili ricercatori, tra cui spicca Arrigo Serpieri, studioso agrario, tecnico con compiti politici e organizzatore di studi sulla realtà rurale136. Serpieri condivideva con il regime l’impostazione ruralista che lo indusse

a inserire tra le indagini condotte dall’Inea, oltre allo studio degli elementi strutturali e demografici della popolazione, anche alcuni aspetti sociali, e in particolare un’indagine sui caratteri della famiglia rurale (1938), considerata l’unità fondamentale per la vita associata e la coesione nazionale. Tale indagine, diretta da Ugo Giusti137, venne svolta con i metodi indicati da Serpieri nel suo manuale del 1929: per

ogni area territoriale venne costruita una tipologia delle famiglie contadine e compilata una monografia corrispondente (volta a raccogliere dati sia sui caratteri sociologici e psicologici del modo di vivere, sia sul lavoro e sulla struttura del reddito e del consumo) (ibidem).

Tuttavia, l’analisi territoriale, seppur prediligendo le indagini sulla realtà rurale, non trascurò le città ed i processi di crescita urbana. L’attenzione fu rivolta soprattutto alle dimensioni delle città e alla pianificazione urbana: una di queste indagini in ambito statistico fu realizzata da Ugo Giusti, già occupatosi dagli inizi del secolo, prima di passare al coordinamento di una serie di indagini dell’Inea, delle caratteristiche dell’urbanesimo italiano e dello sviluppo storico demografico delle città. Ai lavori di Giusti si affiancarono quelli di altri studiosi come Roberto Bachi che, dopo aver condotto studi sulle abitazioni, definì una metodologia statistica per l’analisi della mobilità territoriale, con particolare attenzione agli spostamenti all’interno delle città e tra le aree urbane (ibidem).

Linee di continuità con gli studi sociali effettuati nel periodo precedente al fascismo possono essere rintracciate non solo nell’azione governativa ma anche tra gli studiosi antifascisti, come “Le monografie urbane e rurali pubblicate dalla rivista Stato Operaio, le analisi agrarie di Emilio Sereni e Manlio Rossi- Doria, gli scritti di Guido Dorso sulle classi politiche locali del Mezzogiorno, quelli di Antonio Gramsci

136 Il manuale di Arrigo Serpieri Guida a ricerche di economia agraria del 1929 sarà un riferimento anche nel dopoguerra per

gli studiosi impiegati sul campo per la riforma agraria, in esso veniva sistematizzata non solo la metodologia generale di ricerca ma anche gli strumenti e le tecniche da adoperare per il lavoro sul campo. Come membro del governo, nominato sottosegretario al Ministero dell’economia nazionale nel 1924, apportò importanti contributi alla trasformazione politica del territorio agricolo, come direttore dell’Istituto nazionale di economia agraria (INEA), fondato nel 1928, contribuì all’organizzazione degli studi agrari indagando gli aspetti economici ed organizzativi delle realtà rurali e concentrando in modo particolare la sua azione sul tema della bonifica che sfociò nell’emanazione di diverse leggi (Avallone, 2010).

137 Ugo Giusti (1873-1953) si diplomò come ragioniere all’istituto commerciale di Firenze. Nel 1903 venne assunto dal

comune di Firenze dove divenne responsabile prima della sezione di statistica e poi dell'Ufficio di statistica. Oltre alla realizzazione di diverse monografie statistiche si dedicò, dal 1904, alla redazione dell’Annuario statistico del Comune di Firenze, Giusti riteneva che l’utilizzo della statistica locale condotta con criteri scientifici e pratici fosse indispensabile (Marucco, 2001).

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sulla Questione meridionale e sulle specificità delle relazioni tra città e campagna […] le teorie sulla classe politica di Piero Gobetti, (e ancora sulla questione meridionale gli scritti di) Luigi Sturzo e Umberto Zanotti Bianco” (ivi, pp. 74-91). I contributi antifascisti furono messi a dura prova dalle leggi fascistissime nel biennio 1925-1926, a cui seguirono censura, esilio forzato, incarcerazioni e negazione dei diritti di espressione e di stampa. Lo stesso fuoco che anima la conoscenza scientifica, ossia il dibattito pubblico, venne spento ma, nonostante tutte le difficoltà, la ricerca e la riflessione sociale continuarono grazie ad alcuni esuli all’estero come da parte di alcuni intellettuali rimasti in Italia, costretti in carcere o al confino (Avallone, 2010).

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CAPITOLO II: DAL DOPOGUERRA AL BOOM ECONOMICO