CAPITOLO II: DAL DOPOGUERRA AL BOOM ECONOMICO
3. La sociologia e il mondo accademico
3.3. Marxismo e sociologia
I processi di migrazione interna, dalle aree rurali alle aree urbane, indussero ad una crescita degli interessi sociologici su tale tema che non si fermarono ad una mera rilevazione del processo in atto ma cercarono di indagare anche i relativi problemi di assimilazione e integrazione, producendo una crescita esponenziale della letteratura sulle migrazioni che vide il suo culmine alla fine degli anni ’50, quando la classe politica e la ricerca sociale non poterono che prendere atto dell’esodo rurale provocato dalla polarizzazione dell’industrializzazione al Nord. Scrive Barbano: “Mondo, cultura e civiltà contadina furono temi studiati e dibattuti in quegli stessi anni, nei quali si andava via via demistificando o smascherando la ideologia conservatrice implicita in molte delle esaltazioni della cultura contadina” (Barbano, 1985, p. 64). Il tema dell’industrializzazione venne indagato dalla sociologia soprattutto in termini di capitalismo, l’adozione di tale approccio introdusse i rapporti tra sociologia e marxismo in Italia (ibidem). La sociologia nel suo “collocarsi al di fuori di una prospettiva di classe e all’interno di una neutralità professionale e scientifica” venne considerata dalla sinistra ufficiale come “una delle più pericolose scienze borghesi, essa venne messa al bando nel dibattito teorico e nella pratica organizzativa del movimento operaio (Massironi, 1975, p. 54). Proprio la netta opposizione dei vertici della sinistra pose però le condizioni per un dibattito sotterraneo, al di fuori del partito, alimentato dai risultati delle prime ricerche sul campo. Venne a crearsi un forte dualismo tra la cultura ufficiale ortodossa e la cultura di opposizione che si approfondì quando, nel 1955, la CGIL ricevette un duro colpo dagli operai della
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Fiat, passando dal 63% dei consensi dell’anno precedente al 36%. Le due linee culturali risposero alla sconfitta in modo diverso (Massironi, 1975).
La cultura ufficiale mise in atto un processo di aggiornamento e adattamento alle nuove condizioni determinate dal neocapitalismo, la cui prima azione fu l’organizzazione nel 1956 di un convegno presso l’Istituto Gramsci dal titolo Lavoratori e progresso tecnico (ibidem).
La cultura di opposizione diede avvio ad una strutturale revisione delle categorie e dei concetti marxisti alla luce delle nuove tecniche aziendali. Nacquero due riviste che, raccolsero gli intellettuali aderenti alla cultura di opposizione, ponendosi come strumenti di creazione e promozione di questo gigantesco progetto di revisione enciclopedica. La prima, Ragionamenti, nata nell’autunno del 1955, vide tra i suoi collaboratori e direttori figure come “L. Amodio, S. Caprioglio, F. Fortini, A. e R. Guiducci, F. Momigliano, A. Pizzorno, G. Della Volpe, S. Leonardi, D. Montaldi, E. Morin, G. Neri, G. Piccardi, G. Scalia” (ivi, pp. 55-56). La seconda, Opinione, nacque nel maggio del 1956 per opera di un gruppo di intellettuali socialisti “E. Agazzi, R. Bonfiglioli, F. Fortini, R. Guiducci, G.I. Luzzato, G. Picardi, M.A. Salvaco, F. Rizzoli, G. Scalia” (ivi, p. 56), destinata ai quadri intermedi del partito e del sindacato, e caratterizzata da un approccio meno culturale ma che condivideva con Ragionamenti il medesimo obiettivo di “restituire al movimento operaio consapevolezza critica e strutture di partecipazione democratiche” (ibidem).
I fatti di Ungheria del novembre del ’56 misero definitivamente in crisi i rapporti tra cultura ufficiale e di opposizione, un gruppo di intellettuali, nel n. 7 di Ragionamenti sui fatti di Ungheria, firmò un allegato in cui si affermava “la necessità di nuove teorie sociologiche che rendano conto delle trasformazioni in atto nel mondo capitalistico, e l’inadeguatezza di alcune ipotesi interpretative della teoria marxista” (ibidem). La ricerca sociologica veniva riconosciuta come un utile strumento per comprendere la realtà della classe operaia e delle trasformazioni in atto al fine di intervenire sugli squilibri sociali da questa generati, mentre la teoria veniva riconosciuta come valido strumento anti-ideologico per conoscere la realtà così come è, senza mistificazioni” (ivi, pp. 56-57). Gli intellettuali che parteciparono a queste
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riviste, ed altre come Passato e Presente206 e Tempi moderni207, definite riviste marxiste dissidenti,
“partecipano al dibattito e alle iniziative per l’istituzionalizzazione delle scienze sociali in Italia” (Chiaretti, 1975, p. 70) proponendo un modello alternativo a quello accademico che assumerà, però, un ruolo minoritario nel percorso di affermazione ufficiale della disciplina. Questo gruppo di dissidenti antiaccademici introdusse sulla scena il problema del ruolo e dell’autonomia degli intellettuali rispetto ai partiti e al potere politico. Concentrati soprattutto nel Nord, tra Bologna, Torino e Milano, questi intellettuali capovolsero impostazione e metodo della sociologia istituzionale, non più dalla costruzione di postulati teorici alla loro verifica sul campo ma da una conoscenza diretta della realtà per il fine ultimo di un’azione sul campo (Balbo et al., 1975).
Nonostante la generale condivisione di questa diversa impostazione di fondo, tra le file degli intellettuali marxisti si sviluppano due posizioni che possono essere rappresentate dalla “sociologia organica di Guiducci” e dalla “sociologia-scienza di Pizzorno” (Chiaretti, 1975, p. 76). Guiducci sostiene che la scelta dell’oggetto di ricerca debba essere individuato nei problemi man mano affrontati all’interno dell’organismo collettivo, ossia il partito, ed indagato attraverso il metodo della conricerca, in cui le categorie sociali, e dunque gli individui, non sono più oggetti di ricerca ma conricercatori - un approccio che mette in discussione l’idea stessa di intellettuale “come categoria o ceto separato e privilegiato” negando la sua “tradizionale funzione di mediatore tra «l’alto» e il «basso» (ivi, p. 77) - con lo scopo di attivare più soggetti e competenze possibili e dar vita ad un istituto scientifico di sociologia che possa porsi come punto di riferimento materiale di tutti i soggetti coinvolti in questo processo. Pizzorno sostiene che i temi di ricerca siano il frutto diretto dei cambiamenti in atto “nelle strutture e nei nuovi
206 La rivista Passato e Presente nasce nel 1958 e conclude le sue pubblicazioni nel 1961, in essa confluisce il gruppo delle
riviste Opinione e Ragionamenti, oltre ad altri marxisti dissidenti, partecipano alle sue attività i “teorizzatori e i sostenitori della sociologia come marxismo [che] hanno partecipato al processo di istituzionalizzazione promosso dal CNPDS […] [e che] si sono collegati al nuovo programma politico del PSI elaborato per la sua partecipazione al governo di centro-sinistra” (Chiaretti, 1975, p. 106). La rivista tenta una mediazione con le posizioni del partito attraverso una revisione del marxismo “alla luce dei nuovi rapporti di produzione e sociali determinati dallo sviluppo del capitalismo” (ibidem). Ma proprio il tentativo di dialogo con il partito, nella figura di Giolitti che introduce il concetto di Stato pianificatore come metodo di gestione democratica del potere, e l’ingresso dei socialisti al governo segna la fine della rivista con l’ingresso di alcuni suoi componenti della colazione di centro-sinistra, e di altri, nelle università o nelle organizzazioni industriali (ivi, p. 107).
207 La rivista Tempi Moderni viene fondata da Fabrizio Onofri nel 1958, a seguito della sua espulsione dal partito comunista,
con l’obiettivo di porsi “come strumento autonomo e di pressione degli intellettuali sul potere politico”, aprendo un dialogo con la DC e il PSI. La rivista sposa la proposta di una sociologia organica elaborata da Guiducci, portando avanti fino al 1963 “la proposta di un «piano democratico di sviluppo economico» come piattaforma comune ai socialisti e ai cattolici, e diffonde[ndo] lo slogan di una «de-ideologizzazione» del lavoro di ricerca perché gli intellettuali possano elaborare una «cultura politica nuova»” (Chiaretti, 1975, p. 108). La rivista inizialmente edita da la Nuova Italia, dal 1960 viene pubblicata dal CIRD; il Centro Italiano di Ricerche e Documentazione costituito da Onofri grazie ai finanziamenti ricevuti dal centro- sinistra nella figura di Matteo Matteotti, svolge ricerche “sulle trasformazioni strutturali e politiche dei partiti e dei sindacati e sui temi connessi alla programmazione economica”. Nel 1968 si chiude l’esperienza del CIRD e la rivista cambia impostazione aprendosi a “diversi ambiti culturali”, per esaurire le sue pubblicazioni nel 1977 (Vittoria, 2013).
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rapporti organizzativi” (ivi, p. 76), e che la metodologia di indagine sia determinata dalla logica dell’organizzazione che la conduce e che debba essere portata avanti da scienziati sociali, raccolti in strutture scientifiche, il cui compito è comprendere e descrivere la realtà per metterla al servizio degli uomini che possono utilizzarla per intervenire (ivi, pp. 76-78). La costruzione di strutture di ricerca, in entrambi i casi, non sarà realizzata a causa della strutturale mancanza di committenti disposti a finanziarle, ma, l’alternativa rappresentata da questi intellettuali marxisti sarà molto importante nell’orientamento materiale e ideologico dei futuri sociologi (ibidem).
L’opzione del marxismo come sociologia fallisce a causa della sua impostazione eccessivamente tecnocratica e la trasformazione della sua ipotesi politica di partenza, la via al socialismo attraverso l’attuazione di riforme strutturali volte alla correzione degli squilibri determinati dal capitalismo non è più percorribile. Il miracolo economico ha sostanzialmente modificato il quadro di riferimento storico e sociale, ormai caratterizzato da uno sviluppo capitalistico avanzato, mettendo in crisi le organizzazioni di classe e lo storicismo marxista. Gli anni ’60 si aprono all’insegna delle lotte operaie nelle grandi aziende del Nord: “la lotta degli elettromeccanici nell’inverno del ’60 a Milano, le lotte alla Fiat nel ’61/’62” (ivi, p. 108). L’eredità del marxismo come sociologia, e l’analisi di un confronto con la sociologia borghese, verrà raccolta a partire dal 1959 dagli intellettuali militanti all’opposizione delle organizzazioni politiche e sindacali del PCI e della CGIL, che aprono uno spazio critico “all’interno delle stesse organizzazioni per una valutazione-utilizzazione […] della produzione sociologica” (ivi, p. 109). Nel 1959 viene organizzato dall’Istituto Gramsci il convegno Marxismo e sociologia in cui emerge chiaramente, ancora una volta, la netta opposizione della dirigenza del partito all’introduzione in Italia del modello culturale americano e la necessità di una revisione del modello sociologico attuale. L’attenzione viene nuovamente posta sulla messa in discussione e l’analisi critica del Capitale e dello storicismo marxista chiamato a confrontarsi con il successo dell’ideologia neocapitalistica, la soluzione non è dunque una riorganizzazione politica ma una revisione teorica che annovera tra i suoi mali il metodo dell’inchiesta sociologica. Nonostante la scomunica della sociologia da parte dei dirigenti del partito il metodo dell’inchiesta viene adoperato da alcuni giovani come risposta alla conoscenza e all’analisi di alcune situazioni locali, e recepito di buon grado dal sindacato che si trova di fronte all’urgenza di una conoscenza più approfondita della vita di fabbrica al fine di riorientare la sua linea politica ed organizzativa. Il sindacato si pone come “unico canale istituzionale per stabilire un collegamento tra ricerca scientifica e movimento operaio” (ivi, p. 112). I dirigenti sindacali della CGIL, nel 1960, partecipano al Congresso internazionale sul progresso tecnologico e la società italiana organizzato dal CNPDS; nel 1962 l’Istituto Gramsci organizza un Convegno dal titolo Tendenze attuali
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del capitalismo italiano. In questi anni aumentano inoltre gli studi “sullo sviluppo del capitalismo italiano
e le ricerche sulla classe operaia” (ivi, p. 110) in una generale presa di coscienza “dell’efficacia dell’ideologia neo-capitalistica e dei fenomeni reali di cui essa è il riflesso […] [come le] trasformazioni dei tradizionali ceti medi e della forza lavoro intellettuale” (ibidem). Nello stesso arco di tempo aumentano, però, le lotte operaie mettendo in discussione la possibilità, sotto le pressioni dall’alto del partito, di una revisione della tradizionale linea sindacale, da qui ha inizio “il fenomeno delle formazioni minoritarie e neomarxiste alla sinistra del PCI” (ivi, p. 113). All’interno di questa nuova dissidenza viene affrontata la critica alla sociologia borghese da parte di Coletti, nella relazione presentata al Convegno su Marxismo e sociologia208, e del gruppo raccolto attorno alla rivista Quaderni Rossi209 (Chiaretti,
1975).