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CAPITOLO II: DAL DOPOGUERRA AL BOOM ECONOMICO

3. La sociologia e il mondo accademico

3.8. Verso l’istituzionalizzazione

Negli anni ’60 tutti i sociologi, sia coloro che hanno scelto la strada della riforma sociale orientata politicamente, sia coloro rimasti ai margini, si trovano d’accordo nel considerare l’istituzionalizzazione accademica della disciplina una necessaria, e non più rinviabile, fonte di legittimazione (Balbo et al., 1975). Al IV Congresso mondiale di sociologia, tenutosi a Stresa nel 1959, una delegazione di sociologi fa presente al ministro dell’istruzione “l’anomalia della situazione italiana, di un paese nel quale non mancavano gli studiosi di valore ma mancavano le cattedre e non si bandivano i relativi concorsi” (Siza, 1993, p. 203).

L’insegnamento della sociologia è presente nelle Facoltà di Scienze politiche di Firenze, dove Camillo Pellizzi ex docente di Teoria e storia del fascismo è divenuto, nell’immediato dopoguerra, e rimarrà fino al 1963, il primo docente ordinario di sociologia, e di Scienze statistiche e demografiche di Roma, dove “Castellano ha ereditato la sociologia positiva di Gini e ha fatto valere questo suo interesse nell’ambito della corporazione degli statistici al momento in cui è stata decisa la riforma della Facoltà, nel 1960” (Chiaretti, 1975, p. 119). La stessa sorte non è toccata alle esperienze di Abbagnano, Bobbio e Barbano, a Torino, dove la sociologia non ha visto un consolidamento all’interno dell’Accademia (ibidem). La sociologia fa la sua comparsa nell’università, come disciplina marginale e subordinata, principalmente nei corsi di Scienze politiche: nel “1960 15 su 18 insegnamenti effettivamente tenuti – escluse le scuole di statistica – sono istituiti per la laurea in Scienze politiche” (ibidem). Questa posizione non permette alla disciplina di ritagliarsi uno spazio di autonomia per poter esercitare la sua funzione innovatrice, ma un’accettazione dei modelli culturali dominanti al fine di ritagliarsi un piccolo spazio. Nelle facoltà di Scienze politiche inoltre una forte funzione di controllo è esercitata dalla corporazione dei giuristi che

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possiede un forte potere di controllo sull’organizzazione interna della facoltà, che si riflette nel notevole aumento dei posti di ruolo ottenuti nell’ambito del riordino del sistema universitario (Balbo et al., 1975). I sociologi entrano nell’università come singoli e non come categoria, e vengono esclusi da tutti i più alti posti della carriera accademica, vivendo una condizione comune di “isolamento, cattedre disperse, mancanza di risorse per la ricerca. […]. I sociologi sono costretti per arrivare in cattedra ad osservare le norme e gli orientamenti di valore dell’accademia, mortificando i propri interessi iniziali e subordinando le proprie scelte alle aspettative istituzionali. […] [Inoltre, l’] istituzionalizzazione non significa riconoscimento e organizzazione pubblica dei risultati della ricerca sociale, né formazione di ricercatori […], ma azione di pressione sui centri di potere accademici per ottenere incarichi, cattedre, finanziamenti” (Chiaretti, 1975, pp. 120-121).

Se negli anni cinquanta le specializzazioni sociologiche si formavano in relazione agli interessi conoscitivi che emergevano nella pratica, negli anni ’60 “le selezioni che la sociologia opera, rispetto alla complessità dei fenomeni sociali da osservare, assumono sempre più chiaramente un carattere autoreferenziale: sono le dinamiche interne alla comunità sociologica e le esigenze legate allo sviluppo delle conoscenze più che la consistenza dei problemi presenti nella realtà sociale a determinare interessi conoscitivi” (Siza, 1993, p. 200). Il ritirarsi della ricerca in ambito accademico e il bisogno di riflessività maturato dopo gli anni di stretto rapporto con i policy makers, da un lato modificano la rappresentazione sociale della disciplina, non più additata di tuttologia, ma, dall’altro, ne accrescono la marginalità culturale, per la scarsa attenzione mostrata verso i nuovi problemi sociali e la scarsa capacità di “rapportarsi proficuamente alle domande di applicazioni sociali”, determinando anche “l’irrilevanza sociale dei suoi risultati conoscitivi” (ibidem).

La riforma della scuola e dell’università, voluta fortemente dal primo governo di centro-sinistra, per colmare il forte gap che l’Italia presenta in questo settore in riferimento alle altre nazioni europee, apre una strada per la sociologia. Le scienze sociali sembrano acquisire un nuovo ruolo nel complessivo riordino delle facoltà umanistiche, in un contesto segnato da un imminente sviluppo economico e sociale in cui cresce esponenzialmente il settore dei servizi e si avverte la necessità della formazione di personale altamente qualificato e specializzato. L’obiettivo dei sociologi è di inserirsi in questo processo di riforma generale dell’università: in questi anni numerosi convegni vengono dedicati ai problemi della scuola e nascono numerose riviste specializzate come espressione dei diversi raggruppamenti accademici. Anche l’AISS si muove in questa direzione, preparando un documento programmatico, sulla funzione formativa e specialistica della sociologia, che verrà presentato al Convegno di studio su Ordinamento e funzione di

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a questa riforma per la preoccupazione di perdere il proprio potere accademico ma anche il “monopolio”, da questi assunto, “nella formazione dei quadri della vita pubblica, operatori del diritto e funzionari dello Stato” (Chiaretti, 1975, p. 125). Nel 1964 si giungerà, con il progetto Maranini-Miglio, a una soluzione moderata nella riforma della facoltà di Scienze Politiche, che prevede un ridimensionamento del ruolo delle scienze sociali. Prima di questa definitiva chiusura erano però maturate alcune esperienze come l’inserimento della sociologia nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica di Milano nel 1959 e l’istituzione nel 1962 dell’Istituto superiore di Scienze Sociali di Trento, progetti del tutto nuovi e che, alla luce nel nuovo corso di riforma, rimarranno irripetibili (Balbo et al., 1975).

3.8.1. L’Istituto Superiore di Scienze Sociali di Trento

L’Istituto Superiore di Scienze Sociali nasce per iniziativa del gruppo dirigente democristiano della Provincia di Trento, ed in particolare per volontà del presidente Bruno Kessler. L’obiettivo di Kessler è in linea “con la tesi dell’Università impresa sostenuta dagli esperti della riforma della scuola”, la sua idea è infatti quella di formare tecnici specializzati che riescano a adattarsi rapidamente alla nuova domanda di forza lavoro (Chiaretti, 1975, p. 135).

L’Istituto non solo è il primo esperimento di istituzionalizzazione della sociologia in Italia ma apre l’iscrizione ai suoi corsi anche agli studenti degli Istituti tecnici superiori, spingendo verso un’istruzione universalistica. La composizione del Consiglio di Facoltà mostra chiaramente come “il potere accademico si fonde […] con quello politico ed è collegato a centri culturali clericali, a enti privati, a gruppi oligopolistici” (ivi, p. 138). Kessler è il Presidente, Mario Volpato, docente ordinario di matematica è il direttore, Braga, libero docente di sociologia all’Università Cattolica, è il vicedirettore; fanno inoltre parte del Consiglio di Facoltà: M. Boldrini, F. Benvenuti, G. Dell’Amore, F. Di Fenizio, F. Ferrarotti, L. Rosa, A. Trabucchi218 (Balbo et al., 1975).

Come afferma il Professore Antonio Schizzerotto in un intervista effettuata dal DNA Trentino: “Al di là della sfera del dibattito culturale c’erano una serie di cambiamenti empirici nel governo della società e delle cose che in qualche modo spingevano verso questa maggiore empiria nell’analisi dei fatti sociali. Cosa potesse essere la sociologia si incominciava ad intravedere. La sociologia è stata l’idea di un politico lungimirante, non è certo stata un’idea emersa, tra virgolette, dal basso della collettività locale […] c’è la visione di un politico che vedeva nelle autonomie locali un modo importante per innovare l’intero paese e per emancipare gli strati sociali più bassi da una condizione di subalternità” (Schizzerotto,

218 Per un approfondimento sulle discipline di riferimento e i ruoli svolti da questi intellettuali al di fuori dell’accademica,

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2018a). Schizzerotto ricorda di essere arrivato a Trento l’anno dopo la nascita dell’Istituto (1963-64), e racconta i motivi che lo hanno spinto a intraprendere questa strada: “Era una roba nuova, la sociologia era ancora l’inferma scienza di definizione crociana, secondo il quale solo la storia e forse la scienza politica esistevano, e dunque la sociologia non era una disciplina ma un simulacro di saperi approssimativi abborraciati. E questa era la temperie culturale che girava anche all’interno di tutto l’arco politico e intellettuale del paese, salvo alcune minoranze un po’ a Torino, un po’ a Milano. […] Questa era l’impostazione idealistica crociana, perché la sociologia ha nella sua nascita il marchio del positivismo. Naturalmente non è così, […] Comte era un positivista e visto che si è inventato lui il termine sociologia, non c’è dubbio che per molti versi la sociologia si sia sviluppata con il positivismo. Croce era un idealista […] e dunque non ammetteva che fosse possibile una conoscenza empirica della società, se non, appunto, nella forma di un’interpretazione storico-filosofica degli eventi storicamente rilevanti. La vita quotidiana, cosa di cui ovviamente si occupano i sociologi, per lui non aveva senso. Non trova un’interpretazione storica nel senso che non capisce hegelianamente lo svolgersi del ciclo storico perché è appiattita sul contingente, sul presente, su ciò che è la superfice della vita associata, questa era la critica. E questa critica era diffusissima, e dunque, non c’era sociologia in Italia, anche se ovviamente in tutti gli altri paesi, a cominiciare dagli Stati Uniti, la stessa Inghilterra, Germania, Francia, Svezia etc, la sociologia c’era, e quindi quella era la prima facoltà di Sociologia. Era una roba nuova ed era la prima volta che in Italia si apriva uno spiraglio accademico per la sociologia. Sono queste le due ragioni, non avevo alternative, o venivo a Trento o non facevo sociologia. […]. La reazione ufficiale è una reazione estremamente negativa da parte di tutto l’arco […] costituzionale, perché anche a sinistra, il marxismo, la filosofia di ispirazione marxista italiana, era pesantemente condizionata dalla filosofia idealistica, […] doveva scoppiare il ’68 e dintorni prima che la sinistra decidesse che la cosa fatta a Trento non era una cosa reazionaria (Schizzerotto, 2018c). Schizzerotto ricorda inoltre, le tappe dell’apertura all’iscrizione universitaria ai diplomati degli istituti tecnici: “Quelli che non venivano dai licei dovevano sostenere un esame di ammissione. Fino alla riforma del ’69 quelli che provenivano dagli istituti tecnico-commerciali potevano iscriversi direttamente ad economia. La riforma Gentile aveva detto solo i licei classici vanno dove vogliono, gli scientifici avevano dei vincoli, ad esempio non si potevano iscrivere a lettere etc, e questa roba qui è andata avanti fino al ’66. Nel ’66 c’è stata una piccola liberalizzazione, chiamiamola così, per cui agli istituti tecnici ai quali era precluso ogni facoltà, se non credo economia e commercio […]. Nel ’66 […] per esempio, ingeneria venne aperta per quelli che uscivano dagli istituti tecnici- industriali, mi pare che forse venne aperta anche in parte scienze politiche, i periti agrari potevano iscriversi ad agraria. Insomma, diciamo così, per le facoltà strettamente innestate, per così dire, nel ramo

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di specializzazione dell’istituto tecnico era consentito l’accesso ma per il resto nulla fino al ’69 dove, a quel punto, tutti […] [coloro] che provenivano da un corso di studi di durata quinquennale, ricordate che a quei tempi c’erano secondarie e superiori di durata triennale, gli istituti professionali, e quadriennale, gli istituti magistrali, tutti i quinquennali invece avevano accesso diretto. […] [All’inizio dell’istituzione di Trento] l’accesso venne consentito solo dietro superamento di un esame scritto e di un esame orale. […] Le componenti di motivazioni ideali e di interesse per la disciplina erano prevalenti” (Schizzerotto, 2018b).

Nel suo primo anno di attività l’Istituto vede l’iscrizione di 226 studenti, la maggior parte dei quali di Trento, lavoratori e provenienti da Istituti tecnici, tre anni dopo gli iscritti aumentano del 175% e la maggior parte proviene da altre provincie. Il principale problema che l’organismo rappresentativo studentesco affronta in questi anni è il riconoscimento giuridico del titolo di studio; le rivendicazioni degli studenti portano, nel 1965, all’approvazione, da parte del Senato, del disegno di legge per il riconoscimento dell’Istituto, apportando però una modifica al titolo del corso di laurea “Scienze politiche e sociali, ad indirizzo sociologico” (Chiaretti, 1975, p. 138). Gli studenti non accettano questo compromesso, sentendosi ridotti ad un “sottoprodotto della Facoltà di Scienze Politiche”, e nel gennaio del 1966 occupano la Facoltà. L’esito dell’occupazione è favorevole: “il titolo originale è reintegrato in Parlamento e l’Istituto Superiore di Scienze Sociali assume la forma di Università libera giuridicamente autorizzata a rilasciare un titolo di laurea in sociologia” (ibidem).

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CAPITOLO III: LA SOCIAL NETWORK ANALYSIS E L’EVOLUZIONE DELLA