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CAPITOLO II: DAL DOPOGUERRA AL BOOM ECONOMICO

1. L’Italia del dopoguerra

1.3. Il boom economico

1.3.1. L’emigrazione

Tra il 1958 e il 1963, dall’Italia meridionale si spostarono al Nord circa 900mila persone. Ad unire il Sud al Nord nella metà degli anni ’50, vi erano 1580 km di rotaie e diversi treni “il treno del Sole, la freccia del Sud, o la freccia della Laguna”, su cui viaggiavano speranze, aspettative, possibilità (La Licata, 2016). “Gli scompartimenti si riempi[vano] di contadini, manovali e operai, che lascia[va]no la Sicilia, la Calabria, la Basilicata, l’Abruzzo alla ricerca di nuove vite, di un lavoro stabile e di quel benessere di cui tutti parla[va]no” (ibidem). Come già accennato la riforma agraria non risolse la questione meridionale163, l’arretratezza economica e la disoccupazione spinsero migliaia di famiglie a cercare

altrove una speranza di vita migliore. Il Nord, protagonista indiscusso dello sviluppo industriale, divenne il principale polo attrattivo della nuova emigrazione che modificò il volto dell’Italia164 (ibidem).

Questo periodo, però, non fu caratterizzato solo dalle migrazioni interne ma anche dalle migrazioni verso i paesi europei. Nel dopoguerra l’Italia firmava i primi accordi commerciali bilaterali, nel 1946 con il Belgio, e, successivamente, nel 1955, con la Germania; gli accordi prevedevano lo scambio di materie prime, di cui l’Italia era sprovvista, con lavoratori di sana e robusta costituzione. “Tra il 1960 e il 1962 si stima che [partirono] dall’Italia verso la Germania federale 100mila lavoratori all’anno. […] tra il 1946 e il 1957 arriva[ro]no in Belgio 149mila uomini” (ibidem). L’emigrazione verso il Belgio si interruppe nel 1956, quando in un incendio della miniera di Bois du Cazier di Marcinelle persero la vita 263 persone,

163 “Il tasso di analfabetismo nel meridione [era] del 26% mentre al Nord del 6%. Il 93% dei capitali industriali [erano]

localizzati al Nord, un abitante del Sud guadagna[va] il 53% in meno di uno del Nord” (La Licata, 2016).

164 Il prototipo di lavoratore immigrato era l’operaio fordista, tutti i primi studi scientifici, demografici, sociologici e le

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tra cui 136 italiani partiti dall’Abruzzo (ibidem). Al fine di facilitare la libera circolazione delle merci e dei lavoratori, nel 1957, con il Trattato di Roma, venne istituita la CEE (Comunità Economica Europea) in cui confluì il nucleo fondativo della CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio); ne facevano parte Italia, Francia, Repubblica Federale di Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo (ibidem). Al di fuori dei paesi aderenti alla CEE l’Italia stipulò, già a partire dal 1948, accordi commerciali anche con la Svizzera; nel 1962 si registrò il più alto numero di lavoratori italiani arrivati in Svizzera, 143mila unità. A causa delle politiche migratorie restrittive, che non permettevano il trasferimento dell’intero nucleo familiare, partivano soprattutto gli uomini da soli che cercavano di fare ritorno in Italia dopo alcuni mesi di lavoro165 (ibidem).

Principale polo di attrazione In Italia, come già accennato, fu il triangolo industriale formato da Milano, Genova e Torino, che visse due forme di immigrazione: una orizzontale nella prima metà degli anni ’50 proveniente principalmente dalle Tre Venezie166 e dal Veneto, e in seguito, con lo sviluppo delle Tre

Venezie, una verticale, proveniente dalle regioni del Sud (ibidem). Torino che viveva questo processo, successivamente definito di meridionalizzazione, già dal 1951, lo vide protrarsi fino ai primi anni ’70167.

La Fiat richiamava non solo lavoratori specializzati ma anche manodopera generica da collocare alla catena di montaggio, un contadino poteva diventare facilmente operaio dopo una settimana di apprendistato. Gli operai meridionali, oltre alle forme di discriminazione vissute fuori dalla fabbrica168,

dovevano affrontare il disprezzo e l’emarginazione da parte delle maestranze operaie specializzate e la durezza del controllo padronale (ibidem). Le condizioni di lavoro in fabbrica fecero, però, maturare presto la consapevolezza della necessità di intraprendere forme di organizzazione per la rivendicazione dei diritti. All’inizio degli anni ’60 le tensioni sociali aumentarono, nel 1962 le rivendicazioni sindacali, per il miglioramento delle condizioni di lavoro e la rinegoziazione del contratto nazionale dei metalmeccanici, esplosero in tre giorni di violenti scontri, dal 7 al 9 luglio, noti come i fatti di Piazza

165 La Rai produsse un programma di intrattenimento rivolto ai lavoratori italiani emigrati in Svizzera, Un’ora per voi

trasmesso dal 1964 al 1989 a cadenza settimanale, visibile esclusivamente in questo Paese. “Il programma [era] un ponte con l’Italia, grazie alla rubrica Saluti da casa, qualcuno [riusciva], dopo mesi di lontananza, a vedere la propria figlia sullo schermo e sapere che la figlia [aveva] cominciato a camminare” (La Licata, 2016).

166 L’espressione Tre Venezie indica l'area geografica costituita dai territori storici della Venezia Tridentina, della Venezia

Euganea e della Venezia Giulia.

167 L’arrivo dei migranti ebbe un forte impatto sociale ed economico sulla città di Torino, che al censimento del 1961 vide un

aumento dell’80% della sua popolazione cittadina. Nel 1961 l’abolizione della legge emanata da Mussolini per ostacolare il processo di urbanizzazione, che vietava ai cittadini di trasferirsi nelle grandi città senza un contratto di lavoro, determinò un’ulteriore accelerazione del processo migratorio (La Licata, 2016).

168 L’integrazione si dimostrò da subito un processo difficile, reso ancora più complicato dalle differenze linguistiche che

segnavano le identità delle varie regioni italiane: “I sogni di lavoro e di benessere che gli emigrati [avevano] portato con loro si scontra[va]no con una realtà di fatica, sacrificio, isolamento e pregiudizio. Il clima di chiusura e diffidenza nei confronti degli immigrati [era] un sottofondo costante delle testimonianze raccolte in quegli anni dalla televisione” (La Licata, 2016).

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Statuto. Gli operai meridionali furono in prima linea durante gli scioperi, marciando insieme ai vecchi operai piemontesi169; la repressione fu molto violenta, vennero fermate 1141 persone e si contarono 169

agenti feriti (ibidem).

Il principale problema che i lavoratori meridionali si trovarono ad affrontare al loro arrivo nel triangolo industriale fu quello dell’alloggio: “alla campagna di assunzioni di massa non corrisponde[va] [infatti] un piano amministrativo di accoglienza della città” (ibidem). Venne occupato innanzitutto il centro della città ma ben presto scantinati, soffitte e mansarde non bastarono più e molti immigrati si trovarono a dover accamparsi in ricoveri di fortuna. Crebbero le periferie come il quartiere delle Vallette o i complessi delle Casermette. Liliana Cavani in un’inchiesta sulla casa del 1962 descrive le condizioni di vita degli abitanti delle Casermette, un complesso di edifici composto da piccole stanze nato per ospitare i militari che in questi anni venne occupato da intere famiglie. Questi alloggi popolari erano isolati dalle città e caratterizzati da ambienti angusti e mancanza dei servizi essenziali: vi era un bagno per ogni 30 persone e mancavano “acqua, fognature, strade, scuole, ospedali e trasporti pubblici” (ibidem).

Al Nord, nel triangolo industriale, si registrò un aumento dell’occupazione femminile; le donne lavoravano “per far fronte al costo degli affitti e della vita […] alcune in fabbrica, altre si occupa[va]no dei lavori domestici presso le famiglie, altre ancora svolg[evano] lavori occasionali” (ibidem). Al Sud la situazione era diversa: le famiglie meridionali vivevano una disgregazione dovuta alla mancanza delle figure maschili, “le donne che [erano] rimaste [avevano] preso il posto dei mariti nella gestione delle campagne o nei piccoli esercizi commerciali” (ibidem). Fondamentale si rivelò il ruolo delle rimesse, dal Nord e dall’estero, che contribuirono alla sopravvivenza di molte aree depresse del Mezzogiorno e al mantenimento del tenore di vita individuale e familiare, ma che non ebbero grosso impatto sulla vita sociale (ibidem).

Nel 1960 più di 380mila persone viaggiarono in treno ma non solo verso il Nord, anche Roma rappresentò una meta attrattiva delle migrazioni di lavoro; l’espansione edilizia attirava un numero sempre crescente di manovali (ibidem). Il principale luogo di ritrovo per le famiglie emigrate era la stazione Termini dove “luccica[va]no vetrine piene di oggetti di consumo e bar con variopinte luci al neon […], un salotto diverso da quello poco distante di via Veneto ritratto da Fellini nella Dolce Vita, uno dei film più visti in quel 1960” (ibidem). Roma non era solo meta di manovali ma anche di aspiranti attori, l’industria

169 L’incontro tra gli operai torinesi e gli immigrati meridionali avvenne in modo più veloce ed immediato nelle piccole

fabbriche, dove la vicinanza di età e condizioni di lavoro favorì il contatto e il confronto, ma anche nelle grandi fabbriche gli operai del “Nord e del Sud, qualificati o meno, condivid[evano] macchinari, spogliatoi, azioni ripetitive e ore notturne […], [condizioni comuni che li portarono a] superare differenze e diffidenze” (La Licata, 2016).

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cinematografica rappresentava “una grande attrattiva per i ragazzi e le ragazze che arriva[va]no dal Sud. Qualcuno [riusciva] a lavorare a giornata come figurante nei set allestiti a cinecittà, alcuni visi tipicamente meridionali comparir[ono] nelle scene dei grandi colossal e nei western girati negli studi e nei teatri di posa” (ibidem). I meridionali, in quegli anni, sul grande schermo, non furono solo comparse ma veri e propri protagonisti, come nel film di Luchino Visconte del 1960 Rocco e i suoi fratelli che raccontava proprio una storia di emigrazioni (ibidem).

Nella generale intolleranza del fenomeno migratorio ad alleviare il senso di isolamento dei lavoratori meridionali vi era il bar, luogo di socialità per eccellenza in cui “si andava non tanto per bere ma per incontrare gente che parlasse lo stesso dialetto” (ibidem). Un luogo, il bar dei meridionali – “crocevia di storie, incontri e condivisione” -, a cui anche le rappresentazioni filmiche dedicarono attenzione, come il film di Gianni Amelio del 1988 Così ridevano. Un altro aspetto che venne considerato tipico, in senso negativo, della realtà meridionale e che caratterizzò nel cinema la rappresentazione degli emigranti del Sud fu la gelosia, e più in generale il rapporto con le donne, tema del film Mimì metallurgico ferito

nell’onore di Lina Wertmüller del 1972 (ibidem). Il tema dell’emigrazione trovò posto anche nella

canzone italiana, “nel 1967 Sergio Endrigo Nel treno che viene dal Sud canta dei lavoratori appena scesi dal treno del Sole”, quel treno che entrato in funzione 19 dicembre del 1954 sarà dismesso definitivamente solo nel 2011 (ibidem).