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CAPITOLO II: DAL DOPOGUERRA AL BOOM ECONOMICO

2. La ripresa degli studi sociali dopo il fasciamo: vecchie e nuove opposizioni

2.4. La sociologia e il mondo cattolico

Il mondo rurale e la classe dei contadini avevano da sempre rappresentato le aree di maggior influenza della Chiesa Cattolica che, nel secondo dopoguerra, vide vacillare il suo peso sotto le spinte disgreganti dello sviluppo industriale che spingeva alcune classi, prima marginali, al centro della sfera pubblica. In Europa era in atto un preoccupante processo di scristianizzazione, risultava che solo il 10% degli operai praticava la religione cattolica e la percentuale scendeva al 5% considerando gli operai adulti, si rendeva necessario un intervento per la ripresa del consenso e della partecipazione, in un clima, quello della guerra fredda, in cui bisognava innanzitutto e con ogni mezzo arginare il pericolo del comunismo (Balbo et al., 1975).

L’alternativa sociale cattolica alla ricomposizione delle nuove controversie generate dall’industria non poteva far riferimento né al Partito Popolare né alla cosiddetta scuola sociale cristiana, i cui principi di sussidiarietà e di bene comune non trovavano spazio nel mondo industriale. Si pose il bisogno di un’analisi dettagliata dello stato dei fenomeni religiosi in atto nel paese, e la sociologia si rivelò un adeguato insieme di tecniche e strumenti di ricerca per la misurazione statistica del grado di scristianizzazione. Il fronte cattolico di riforma sociale della dottrina era schierato su due posizioni che

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si combatterono per un intero decennio, da un lato Don Luigi Sturzo201 - che con gli altri gesuiti di Napoli

facevano capo alla rivista Civiltà Cattolica - che riteneva fondamentale una riproposizione dei principi tradizionali cattolici, e dall’altra Padre Gemelli - che con Francesco Vito dell’Università Cattolica e i gesuiti di Milano facevano capo alla rivista Aggiornamenti sociali - che aveva trovato nella sociologia un valido referente per la misurazione concreta dei fatti (ibidem). L’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con la sua Rivista internazionale di scienze sociali, divenne un centro promotore del dibattito sul problema della scientificità della sociologia, mentre sulla rivista Aggiornamenti sociali venivano pubblicate “inchieste, bilanci storici su attività svolte, progetti concreti di riforma istituzionale, confronti con situazioni in Europa e nel mondo” (Massironi, 1975, p. 34).

La sociologia rispondeva al bisogno dell’aggiornamento culturale in senso democratico e di sviluppo, dell’analisi delle cause del processo di scristianizzazione attraverso la ricerca sociale, della formazione della classe lavoratrice e la sua promozione a élite dirigente. Vennero create strutture di ricerca sociale come “l’INCAS, l’ISA (Istituto Sociale Ambrosiano), il Centro S. Fedele (che [dava] valutazioni morali sui film: «per tutti, adulti, escluso» ecc.) ed in modo particolare le ACLI (Associazione Cristiana Lavoratori Italiani)” (ivi, p. 36).

Le ACLI vivevano internamente diverse visioni e posizioni ma la divergenza di vedute si evinceva soprattutto tra il grosso dei funzionari intermedi, legati ad uno “spirito burocratico reazionario” (ibidem), e la componente avanzata alla guida delle ACLI, che faceva capo alla rivista Quaderni di azione sociale,

201 Franco Crespi in un’intervista effettuata personalmente presso la sua abitazione di Perugia l’11 luglio 2018, e riportata

interamente nella sezione Altri materiali della presente trattazione, parlando della sua carriera universitaria così descrive la figura di Sturzo: “negli anni ’50 avevo conosciuto Luigi Sturzo, che era già molto anziano, e l’avevo conosciuto attraverso un mio amico che si chiamava Vincenzo Filippone, che è stato poi Professore di Filosofia Morale a Salerno. Sturzo era una persona estremamente vivace, veramente molto fragile fisicamente, stava in un convento, in una stanza piena di libri, con una tavola coperta di libri, di documenti e con un’aria estremamente fragile, però appena parlava era di una vivacità straordinaria. Lui che era venuto in Italia subito dopo la guerra con l’idea, avendo avuto conoscenza della sociologia americana, soprattutto degli aspetti empirici della ricerca sociologica. La sua idea era che l’Italia avesse proprio bisogno di esperienze di tipo pratico, empirico, perché considerava che era un paese che era stato troppo legato all’ideologia e alla tradizione dell’idealismo crociano, quindi pensava che la sociologia era importante nella cultura italiana per portare la cultura italiana ad una maggiore attenzione agli aspetti concreti della vita sociale, ecc. Ed è così che nel ‘58 lui fondò questa prima scuola di specializzazione in sociologia nell’Istituto Sturzo, che era a quell’epoca già stato creato. Lui mi chiese di partecipare al corso, per questo corso erano previste due tipi di borse una di 250 mila lire, per tutto il corso diciamo di 10 mesi, ed un’altra di 500. Allora io ero già abbastanza… non ero più giovanissimo, avevo 28 anni, e quindi andammo a fare una conversazione con il direttore del corso che si chiamava Palladino, Dott.re Palladino, non credo che fosse Professore, e mi disse che lui avrebbe potuto darmi la borsa di 250mila perché considerava che io ero di una famiglia agiata e quindi… allora io gli dissi “No guardi per me è troppo poco perché veramente passare un anno quasi senza…”, quindi rimasi che non ci sarei andato. Invece un giorno dopo, per dire com’era Sturzo che era incredibile, ricevo una telefonata ed era il senatore Sturzo che mi diceva “Guardi che abbiamo studiato la cosa e vorremmo che lei venisse, e le riconosciamo la borsa di 500mila” al che io ho detto “Va bene”. Ed è così che ho, diciamo, fatto questa scuola che era abbastanza interessante, c’erano piuttosto dei filosofi tipo il Professor Mario D’Addio, Gabriele De Rosa, però insomma è stata un’occasione per… ed insegnava anche Vincenzo Filippone in questo corso, e poi altri di cui adesso non ricordo il nome francamente”.

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che, in uno dei primi articoli sulla ricerca sociologica, esplicitava il ruolo che questa poteva svolgere all’interno delle ACLI come: analisi precisa dei molteplici aspetti della realtà sociale e come valido strumento per la formazione al giudizio critico e al pensiero-azione dei quadri (ibidem).

Nel 1949, a Milano, il professor Romani dell’INCAS organizza un corso per sindacalisti e un corso mensile per assistenti delle ACLI, nel 1951 viene fondato l’ENAIP per la formazione sociale dei lavoratori cristiani e prende avvio un dibattito, coadiuvato da un serie di inchieste, sulle condizioni dei lavoratori in fabbrica che conquista la scena dei Congressi Nazionali delle ACLI (ibidem).

Nel 1954 su Quaderni di azione sociale appare la rubrica “«Inchieste», che informa su due inchieste svolte dalle ACLI. La prima attuata nel 1953 a cui hanno partecipato 53 circoli: La classe lavoratrice si difende; la seconda, sulle Situazioni e prospettive della gioventù operaia e contadina affronta il problema delle trasformazioni dell’ambiente di lavoro” (ivi, p. 39), dedicando un’attenzione costante alle principali pubblicazioni di sociologia su questi temi, sia italiane che straniere, di cattolici e non (ibidem).

Nel Convegno nazionale del 1957 vengono dibattuti diversi temi “«Il fattore umano nelle aziende» (1951), «Per la piena occupazione» (1952), il mondo contadino, le condizioni di vita dei lavoratori, fino all’automazione […]. Costante è l’attenzione al problema della produttività. […], si promuovono inchieste su: le condizioni dei lavoratori in fabbrica, la formazione di quadri sindacali e assistenti sociali, il problema dell’assetto territoriale, il problema della scuola (dal 1955 in poi) (ivi, pp. 37-38). Questo programma di profonda valenza politica provoca reazioni violente tra i cattolici tradizionalisti, Don Sturzo dal Giornale d’Italia accusa le ACLI di coesistenza con il comunismo.