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Riconoscimento professionale e legittimazione pubblica

CAPITOLO II: DAL DOPOGUERRA AL BOOM ECONOMICO

3. La sociologia e il mondo accademico

3.7. Riconoscimento professionale e legittimazione pubblica

Dal 1958 al 1962 a dare una spinta decisiva alla strutturazione e al consolidamento della sociologia furono i cosiddetti policy-makers.

Un gruppo ristretto di “operatori pubblici e privati collocati nell’amministrazione pubblica, nell’industria, nei partiti e nei sindacati”, provenienti dalle file della sinistra democratica e del partito socialista, trova “nel contesto politico del primo centro sinistra e nei primi tentativi di programmazione la possibilità materiale di tradurre il proprio interesse alla ricerca sociologica in finanziamenti, commesse e strutture di ricerca” (Chiaretti, 1975 pp. 80-81). Il disegno di riforma del centrosinistra apre spazio alla ricerca sociologica, si cercano possibili alternative “al tipo di gestione tradizionale di potere nella società e nella fabbrica con obiettivi del tipo: riforma dell’apparato amministrativo dello Stato; economia di piano; razionalizzazione del processo produttivo; rafforzamento del potere di rappresentanza dei partiti al governo di centro-sinistra” (ivi, p. 81).

In questi anni vengono sviluppate alcune importanti iniziative politiche come: “i provvedimenti straordinari per il Mezzogiorno; i tentativi di una gestione «sociale» della grande impresa (Olivetti e aziende di Stato); la politica di intervento sociale da parte delle amministrazioni più coinvolte nel processo di sviluppo (Milano, Torino, Genova)” (ibidem). I sociologi si inseriscono in “istituzioni di ricerca come la Svimez e l’Ilses215 per i problemi della programmazione pubblica, gli uffici per le

215 L’Istituto Lombardo per gli Studi Economici e Sociali venne istituito nel novembre del 1960 grazie alle spinte di diverse

forze politiche comunali convogliate dal CNPDS. L’Istituto nasceva con l’intento di porsi come soggetto razionale di riforma politica e sociale attraverso l’impegno scientifico ed una rigorosa metodologia di ricerca. Il lavoro non era organizzato per discipline ma si svolgeva intorno a problemi concreti, concentrandosi sugli aspetti non economici ma sociali dello sviluppo. I primi sociologi a lavorare nell’Ilses furono Ardigò, Bontadini, Pagani e Pizzorno, figure marginali rispetto all’università e divisi politamente tra DC e PSI. In breve tempo si formava nell’Istituto un gruppo di giovani ricercatori che verrà definito “la seconda generazione dei sociologi: Aymone, Balbo, Guidicini, Fioretti, Martinelli, Martinotti, Moretti, Paci, Pellicciari, Rasi,

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relazioni industriali nelle grandi aziende, i convegni e i congressi nazionali e internazionali sui problemi cruciali dello sviluppo” (ibidem). È, dunque, nello spazio extra accademico e nella generale condivisione del disegno politico dei committenti, che i sociologi della prima generazioni acquisiscono un riconoscimento professionale e una legittimazione pubblica (Barbano, 1985).

A sostenere la legittimazione scientifica e il ruolo di pubblica utilità svolto dai sociologi intervengono due importanti strutture culturali: il Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale e il gruppo del Mulino; a essi si aggiungono altri piccoli imprenditori culturali, incentivati dalle risorse finanziarie messe a disposizione della ricerca scientifica dal potere politico come “il Centro studi Nord e Sud (1957); l’IRES di Torino (1958); il Centro studi sociali amministrativi di Ardigò a Bologna216 (1958); la Società

Italiana di Sociologia Rurale a Roma (1959)” (Chiaretti, 1975, p. 82).

Rieser” (Chiaretti, 1975, p. 99). Questi giovani erano accomunati da alcune caratteristiche: nessuno era laureato in sociologia ma tutti hanno condotto studi o tesi di laurea in materie sociologiche, nessuno era inserito all’interno dell’università e molti avevano esperienze di specializzazione all’estero. Nei primi anni della sua attività l’Ilses svolse per i sociologi una funzione formativa che si rivelò utile anche per un futuro inserimento nell’accademia: “un corso di statistica per le scienze sociali; seminari o conferenze di sociologi stranieri invitati presso l’Istituto – Parsons, Touraine, Germani, Form; seminari interni di soli sociologi o con altri studiosi dell’Istituto più interessati a problemi teorici e metodologici” (ibidem). Nel ’63-’64 con il primo governo di centro sinistra l’Istituto cambiava volto, si dava avvio ad una serie di ricerche finalizzate alle esigenze politiche, alcuni ricercatori accettarono, “entran[d]o in rapporto con i centri di potere, ricev[endo] commesse e quindi acquistan[d]o potere”, altri non accettarono continuando a difendere le ricerche di base, i sociologici fecero parte di questo secondo gruppo. A questa tensione si aggiunse una seconda frattura tra gli economisti già impegnati nella ricerca operativa, che ebbe come esito un drastico taglio dei fondi destinati all’Istituto ed un licenziamento dei “collaboratori consulenti e otto dipendenti, si [dimisero] Bontadini, De Carlo, Indovina, Momigliano, Pizzorno, Secchi, Zambrini”. Il numero di sociologi diminuì fortemente e quelli che restarono si dedicarono alla ricerca operativa (ivi, pp. 96-101).

216 Ardigò si laurea nel 1943 in lettere classiche presso l’Università di Bologna. Negli anni del dopoguerra stringe forti rapporti

con la Democrazia Cristiana, in particolar modo nella figura di Giuseppe Dossetti, ed avvia un proficuo rapporto con il Gruppo di giovani democristiani bolognesi con i quali partecipa alle riviste Cronache Sociali e Civitas Humana. “Nel 1946, insieme a Cavallaro, Dore, Savorani e Pecci, fonda il “Gruppo SAS” (Studi e Azione Sociale), che organizza diversi seminari sul regionalismo, la questione meridionale, i problemi del superamento del capitalismo, i diritti delle persone e dei gruppi sociali” (Cavallaro e Porcu, 2010, p. 3). Negli anni successivi il suo impegno con la DC si fa sempre più intenso, entra nel Consiglio nazionale e si trasferisce a Roma per seguire meglio le vicende politiche. “In questo periodo avviene anche l'incontro con i “cattolici-marxisti di nobile stirpe”: Felice Balbo, Mario Motta, Feddo Stiani; il rapporto consolidato con Balbo porta Ardigò ad un'intensa attività sociologica a Matera, città nella quale Balbo ed Ardigò ritengono possa verificarsi il Cronotopo storico situazionale della riforma agraria, in particolare nel villaggio della Martella. In questi anni Ardigò lavora anche come Capo dell'Ufficio stampa dell’Ente Maremma e Fucino (Ministero dell'Agricoltura), ente che coordina la riforma agraria nel comprensorio maremmano; i problemi specifici della riforma agraria diventano evidenti negli anni “52/'53, segnando il fallimento del gruppo di sociologi guidati da Balbo” (ibidem). Nell’anno accademico 1952/53 tiene un corso di Sociologia generale presso l'Università lnternazionale degli Studi Sociali Pro Deo e partecipa alla costituzione della Rivista di Politica Agraria diretta da Bandini. Ardigò a seguito della pestilenza avvenuta a Napoli aveva discusso dell’importanza dei quartieri, le sue intuizioni portarono Dossetti a chiamarlo a Bologna nel 1955 per redigere un Libro Bianco, “uno studio sul decentramento urbano e la nascita dei quartieri a Bologna, in vista delle elezioni amministrative del 1956 (ibidem). Sul finire del 1956 istituisce un gruppo di ricerca sui temi sociologici ed amministrativi delle comunità locali articolato in diversi settori di studio e attività, che nel 1958 verrà istituzionalizzato e riconosciuto come Centro Studi Sociali ed Amministrativi. Negli anni in cui collabora con l’Ilses propone un progetto di ricerca sull’area metropolitana milanese, il cui materiale andrà a costituire la prima documentazione ufficiale del Centro. “Dal 1956 al 1962 Ardigò tiene un insegnamento biennale di Sociologia presso la Scuola di Servizio sociale di Bologna. Nel 1957 è socio fondatore e membro del Consiglio direttivo della Società Europea di Sociologia Rurale. Nel 1958 entra a far parte della delegazione italiana alla prima Conferenza europea promossa dalla FAO per la promozione ed il coordinamento delle ricerche di Sociologia rurale; diviene, inoltre, membro della Commissione Permanente per la Sociologia rurale. A maggio dello stesso anno, Ardigò entra, in qualità di sociologo, nel

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Il CNPDS nasce nel 1947 a Milano dall’iniziativa di quattro magistrati A. Banfi, A. Beria di Argentine, A. Dell’Oro, A. Savini, e in esso confluisce “l’élite progressista del potere accademico, politico e finanziario” unita dalla resistenza, pur caratterizzandosi immediatamente per l’ampia partecipazione di giuristi (ivi, p. 83). Lo scopo dell’associazione è quello di “fornire un servizio di consulenza all’azione legislativa del Parlamento in materia di prevenzione e difesa sociale” nella generale convinzione che i problemi posti dal nuovo progresso scientifico tecnologico vadano conosciuti al fine di prevenire i mali sociali che da essi derivano piuttosto che reprimerli (ibidem). Nell’ottobre del 1954 il CNPDS organizza a Milano un Congresso internazionale sul problema delle aree arretrate cui partecipano “delegazioni e scienziati di 45 paesi e di istituti e organizzazioni internazionali e sovranazionali come la CECA, l’UNESCO, la FAO, l’OECE. […] [Sono presenti,] come esperti dei problemi sociologici, N. Abbagnano, A. Banfi, L. Diena, A. Pagani, G. Sebregondi” (ivi, p. 85). La sostanziale novità di questo convegno è l’approccio, ispirato da Sebregondi217, adottato nell’analisi del sottosviluppo, ossia uno

studio della complessità dei fattori sociali che ne sono alla base. Nel ’57-’58 il CNPDS, grazie alla sua intensa produzione di ricerca scientifica, raggiunge una posizione in ambito nazionale ed internazionale stabilendo profondi rapporti con il potere accademico e politico: “I suoi membri siedono al Parlamento, al Governo, nelle Giunte regionali, provinciali e comunali. Sono alti funzionari della pubblica amministrazione e della giustizia, ma soprattutto accademici” (ibidem). Nel 1955 viene aperta la Sezione Sociologica presieduta da un filosofo, Felice Battaglia, nel rispetto della gerarchia accademica, in cui la

Comitato di esperti del Piano regionale di coordinamento della Regione Emilia-Romagna. Il 1958 lo vede tra i promotori dell’Associazione Italiana di Scienze Sociali (AISS), di cui diventa consigliere nazionale e componente del Comitato esecutivo” (ivi, p. 4). Nel ’58-’59 sostiene l’esame per la libera docenza in sociologia e nel 1961 ottiene l’incarico di Sociologia presso la Facoltà di Magistero di Bologna. “Iniziano, per Ardigò, le prime partecipazioni a Commissioni Ministeriali di Studio in qualità di sociologo. Entra nel “Comitato ristretto di esperti e studiosi per lo studio delle migrazioni interne” del CNEL. […] Gli anni ’60 costituiscono per Ardigò anche anni intensi di ricerche presso il Centro Studi Sociali Amministrativi di Bologna, che riunisce giovani laureati ed intellettuali intorno alla sociologia, disciplina che ha, nella Facoltà di Magistero, ancora un ruolo di secondo ordine” (ivi, pp. 4-5).

217 Giorgio Ceriani Sebregondi (1916-1958) nasce a Roma, si laurea in giurisprudenza e partecipa alla resistenza nelle file del

CLN lombardo. Di estrazione cattolica - insieme a Felice Balbo, con cui istaura un profondo legame di amicizia - si iscrive al Movimento dei cattolici comunisti e al Partito della Sinistra cristiana e successivamente, quando il movimento si scioglie, al Pci dal quale esce nel 1950 insieme a Balbo ed altri intellettuali aderendo alle indicazioni della Chiesa, che aveva scomunicato i cattolici aderenti al Pci. Sebregondi nel 1947, dopo un’esperienza al Servizio studi dell’IRI, viene chiamato dal direttore Angelo Saraceno, all’Ansaldo di Genova come segretario generale, in un momento di profonda crisi per le industrie meccaniche genovesi sottoposte a smobilitazione. Espulso dall’Ansaldo insieme a Saraceno, nel 1948 viene chiamato alla SVIMEZ da Pasquale Saraceno, fratello di Angelo, che, non condividendo la sua attenzione al sociale nell’analisi dei problemi dello sviluppo, istituisce una Sezione sociologica nella SVIMEZ affidandogliene direttamente la responsabilità. La sua esperienza alla SVIMEZ si chiuderà definitivamente nel 1958, quando verrà allontanato dall’associazione (Pascale, 2015). Sebregondi può essere considerato “una delle principali figure della ripresa del discorso sociologico in Italia” ed uno dei primi “ad individuare e studiare la complessità sociale dei problemi dello sviluppo e del sottosviluppo, fondendo la tradizione culturale del meridionalismo italiano con la moderna teoria delle aree depresse” (Chiaretti, 1975, p. 85). Sebregondi oltre ad essere un intellettuale “non-organico” si definiva un non sociologo, ma nei suoi ultimi scritti da una definizione di sociologia come “disciplina che si occupa di tutto ciò che non sia economico all’interno dello sviluppo” (Rei, 1993, p. 93).

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responsabilità organizzativa viene assunta da pochi membri, tra cui quattro sociologi (ivi, p. 86). La Sezione presenta una composizione interdisciplinare, ad essa partecipano infatti “filosofi, pedagogisti, psicologi, etnologi e sociologi” (ibidem). Tra il 1957 e il 1963 la sua attività si intensifica e in linea con l’aumento di questo impegno, cresce anche il numero di sociologi presenti nell’attività di ricerca. Il CNPDS, in un clima apertamente anticomunista, rappresenta una delle poche strutture, se non l’unica, a ospitare intellettuali di diverse estrazioni politiche, tra cui i marxisti, che in esso trovano una delle poche occasioni “di contribuire allo sviluppo della ricerca scientifica e quello della sociologia in particolare” (ivi, p. 87). Tra i collaboratori più stabili e attivi del CNPDS si possono ricordare oltre ad Antonio Banfi, presidente della sezione sociologia dal 1947 al 1954, Lelio Basso, Rossana Rossanda, Franco Momigliano, Alessandro Pizzorno, Cesare Musatti, Tullio Tentori, Achille Ardigò, Giuseppe De Rita, Piero Bontadini e Giorgio Sebregondi (Balbo et al., 1975; Alfonsi, 1993, pp. 49-58).

Il gruppo del Mulino si costituisce a Bologna attorno alla rivista Il Mulino, che pubblica il suo primo numero nell’aprile del ’51, e raccoglie intellettuali dichiaratamente anticomunisti che si impegnano in un’azione di promozione delle scienze sociali affiancando all’attività editoriale una serie di attività come incontri, convegni, ricerche e dibattiti (Chiaretti, 1975, p. 84). L’interesse per le scienze sociali, e la sociologia in particolare, si inserisce in un generale programma di modernizzazione tecnica e culturale del paese “che viene enunciato come molta chiarezza nel 1957 [in un Editoriale della rivista] dopo cinque anni di lavoro che il gruppo redazionale definisce «antologico e accademico»” (ivi, p. 89). Nello stesso anno al Convegno Amici e Collaboratori del Mulino viene definita la direzione culturale scelta per gli anni successivi: “bloccare i principali centri di produzione e diffusione della cultura – l’università e la produzione editoriale – per inserirvi una scienza di tipo positivo; […] organizzare studi e ricerche intorno a temi rilevanti per una prospettiva politica di riforme sociali – università, scuola secondaria, esame di stato, istruzione professionale, ordini professionali, istituti mutualistici e assicurativi, problemi della medicina sociale, studio delle aree depresse” (ivi, p. 91). Nel 1956, per organizzare i vari gruppi e comitati di studio nati intorno alla rivista, era stata creata l’Associazione di cultura e politica Carlo

Cattaneo - trasformata nel 1965 in Istituto di studi e ricerche Calo Cattaneo - che si occuperà di

sviluppare alcuni di questi temi. Nel 1961 inizierà sulla rivista la pubblicazione del Bollettino delle

ricerche sociali, con l’obiettivo di diffondere gli sviluppo delle scienze sociali in Italia, e nello stesso

periodo, avrà inizio la collana Problemi della società italiana, e la pubblicazione della produzione sociologica americana, a cominciare dalle opere di Parsons e Merton (ibidem). A sostegno delle varie attività del Mulino vi furono gli aiuti economici americani che vedevano in esse, e in altre strutture di ricerca come la SVIMEZ e il Centro studi Nord e Sud, la “possibilità di potenziare una struttura culturale

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e una linea politica alleata” (ivi, p. 92). Il risultato fu un considerevole sviluppo delle sue strutture e attività: “in poco più di dieci anni circa «Il Mulino» si trasforma da una piccola impresa culturale a livello locale, dipendente finanziariamente dalla Poligrafici il Resto del Carlino, proprietaria nel ’54 del 90% delle quote, in un’Associazione di cultura e politica, che assume in proprio la responsabilità economica e controlla tre istituzioni: la rivista «Il Mulino», la Società editrice, l’Istituto Cattaneo” (ivi, p. 91). Tra il 1958 e il 1962 si susseguono una serie di convegni e congressi sulla generale trasformazione della società italiana in cui i sociologi occupano posizioni formalmente autorevoli. Tutte queste manifestazioni si svolgono al Nord, principalmente a Milano o nelle vicinanze, nelle zone in cui lo sviluppo industriale e i problemi aperti dal capitalismo sono più intensi. Presentano tutti un carattere formale, conferito dalla presenza di rappresentanti del governo locale, e in alcune occasioni centrale, e la partecipazione di eminenti figure accademiche: l’obiettivo era “sostituire a un’immagine pubblica del potere, che è privatistica, clientelare e parassitaria, un’immagine esperta, moderna e aggiornata sui problemi comuni” (ivi, p. 93). In questa congiuntura si fa strada la professionalizzazione della figura del sociologo come tecnico sociale e modernizzatore che opera attraverso un metodo razionale di pianificazione per agire sulle disfunzioni generate dallo sviluppo economico, in particolare “le aree arretrate, gli squilibri sociali provocati dall’industrializzazione, le ripercussioni del progresso tecnologico sul rapporto di lavoro” (ibidem).

Il rapporto tra i sociologi e i centri di potere si concretizzano tra il 1958 e il 1962 quando “l’interesse degli scienziati ad assumere un ruolo nel disegno di trasformazione e razionalizzazione della società italiana si […] [incontra] con la domanda di programmazione del potere politico” (ivi, p. 101) puntando l’attenzione alle “principali contraddizioni aperte dallo sviluppo […]: questione meridionale, conflittualità operaia al Nord; urbanizzazione” (ibidem). Ci si comincia ad interrogare sull’autonomia e la reale neutralità scientifica del sociologo nei lavori di ricerca commissionati dal potere politico decisionale o da strutture private. Renato Treves, nel 1960, sostiene che l’aumento delle domande poste ai sociologi da industriali, operatori economici e pubblici amministratori metteva a rischio l’affermazione della sociologia come disciplina scientifica, trasformandola in una mera tecnica, utile a qualsiasi fine, e rendendo i sociologi dei semplici professionisti che operano al servizio dei propri clienti (Treves, 1960). Nel 1962 l’AISS e il CNPDS, al V Congresso mondiale di sociologia di Washington, presentano una relazione dal titolo Sociologia e centri di potere in Italia che riporta gli atti di un Convegno in cui i sociologi italiani si erano riuniti per discutere sui rapporti tra gli intellettuali e le strutture di potere. La conclusione cui erano giunti era una sostanziale incompatibilità tra scienziati e politici, chiaramente individuabile nei diversi orientamenti, metodi e obiettivi delle due figure: “i politici si muovono su tempi

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brevi ed esigono una risposta «chiara, precisa, sobria, univoca»; mentre gli intellettuali riflettono e osservano con tempi superiori all’azione e danno risposte che presentano diverse scelte pratiche” (Chiaretti, 1975, p. 103). La soluzione viene individuata nel riconoscimento accademico della disciplina, nonostante nell’università non si faccia ricerca. L’accademia sembra essere l’unica istituzione capace di concedere ai sociologi quella “purezza e neutralità astratta da intellettuali critici e non subordinati” ed assicurare inoltre un maggiore potere di scambio nella contrattazione politica (ivi, p. 104). Per i sociologi che invece fanno ricerca fuori dall’università c’è bisogno di un maggiore controllo esercitato dal ricercatore stesso sulla struttura decisionale committente, che deve rispondere alle caratteristiche di democrazia, partecipazione ed interesse collettivo (ibidem).