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CAPITOLO I: DALL’UNITÀ D’ITALIA AL FASCISMO

3. Le inchieste parlamentari post-unitarie

3.1. Analisi delle inchieste parlamenti post-unitarie

3.1.6. L’istruzione

Il quadro generale degli orientamenti della pubblica istruzione nel contesto europeo cambiò notevolmente a partire dalla Rivoluzione francese, con l’estendersi della rivoluzione industriale e l’accentuarsi del ruolo statale la scolarizzazione cominciò ad assumere un ruolo sempre più importante nella dinamica sociale. Se l’istruzione era stata fin ad allora considerata un fatto elitistico e privato80, dal

periodo giacobino cominciò a maturare l’idea di una formazione sociale a carico dello Stato sin dalla scuola popolare (Dal Passo, 2017). Nacque in questo periodo la diversificazione delle funzioni tra scuola elementare e scuola media, al cui interno venne accentuata la separazione tra indirizzi professionali ed umanistico-letterari, e cominciarono a essere introdotti diversi correttivi per il miglioramento dei programmi didattici (ibidem). Nel 1848 si cominciò a discutere sulle condizioni delle classi meno abbienti e sul diritto all’istruzione pubblica, e si compresero il rapporto dell’istruzione con l’economia, i processi produttivi, il ruolo dei lavoratori, gli strati e le classi sociali. Venne così a configurarsi un nuovo modello scolastico, altamente burocratizzato, che si affidava, per il suo funzionamento, alla sperimentazione ma anche ai partiti e alle organizzazioni politiche81 (ibidem).

In Italia la legge Boncompagni, approvata nel Regno di Sardegna nel 1848, rappresentò il primo tentativo di accentramento delle funzioni di controllo dell’istruzione. Si trattava di un sistema strettamente gerarchizzato, che si basava sui principi di stratificazione delle funzioni, gerarchia, controllo e uniformità. Se da un lato non veniva dato spazio all’autogoverno, dall’altro ogni grado di istruzione veniva individuato come preparatorio a quello successivo (ibidem). Tra il 1849 e il 1857, in linea con il nuovo progetto di annessione e unificazione nazionale, vennero approvate diverse varianti alla legge Boncompagni, fino all’emanazione, nel 1859, della legge Casati. Essa rappresentò il punto culminante dello sforzo organizzativo del Regno piemontese nel settore scolastico, e la base per i futuri interventi istitutivi messi in atto nelle varie regioni a seguito dell’unificazione. Tra le maggiori novità vi era la

79 Per un approfondimento sugli interventi parlamentari in materia di istruzione: Cfr. Tabella 25: Interventi in materia di

istruzione in Italia 1861-1915 (Fonte: Polo Bibliotecario Parlamentare), Appendice metodologica, p. 193.

80 Il Rapporto al Re G. Murat per l'organizzazione della Pubblica istruzione (1809) di Vincenzo Cuoco rappresentò

un’innovazione non tanto per i suoi esiti non efficaci ma per le motivazioni e l’impianto didattico alla sua base. In questo scritto Cuoco dichiarava che l’istruzione doveva essere universale, pubblica e uniforme e proponeva la divisione dell’istruzione in comune, alta, secondaria e primaria. Per la prima volta l’istruzione veniva vista come strumento emancipatorio sebbene il suo ruolo continuava ad essere ben definito: il popolo non avendo alcuna funzione nell’esercizio del potere esecutivo doveva essere istruito solo per ubbidire “ai sapienti” e da loro “trarre profitto” (Dal Passo, 2017).

81 Per quanto riguarda la situazione italiana risultano esemplari le relazioni sul progetto per la riforma della pubblica istruzione

nel Regno di Napoli, Rapporto sul progetto di legge per il riordinamento dell’istruzione primaria e Rapporto sul progetto di legge sulla riforma dell’insegnamento secondario, stese dalla Commissione per la Riforma della Pubblica istruzione guidata da Francesco De Sanctis nel 1848; e il saggio Sull’ulteriore sviluppo del pubblico insegnamento in Lombardia scritto da Carlo Cattaneo nel 1848.

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costituzione di Scuole tecniche di primo grado e di Istituti tecnici secondari, al fine di costituire percorsi formativi utili all’inserimento nel pubblico servizio, nelle industrie, nei commerci e nel lavoro agrario (ibidem). Veniva confermato il ruolo della Scuola secondaria classica come mezzo per l’accesso al sistema universitario, si faceva più dettagliata la suddivisione tra scuole inferiori e superiori, ed urbane e rurali, venivano specificate le materie di studio (tra cui veniva inserita l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione), veniva prevista l’utilizzazione di sotto-maestri e l’istituzione di scuole convenzionate. La legge Casati sanciva il diritto del cittadino di provvedere direttamente, o tramite scuole private, all’istruzione dei figli e concedeva la possibilità a chiunque avesse compiuto i 25 anni di età di aprire scuole, purché detentore di certi requisiti e previa accettazione del controllo statale (ibidem). Questi provvedimenti andavano in direzione opposta alla linea accentratrice statale, veniva affidata ai comuni, nella stragrande maggioranza dei casi impossibilitati ad assolvere tale compito: “la deroga dell’insegnamento elementare, della gestione degli asili infantili, delle scuole materne e, in generale, delle istituzioni e comunità infantili” (ivi, p. 7); queste funzioni, inoltre, erano concesse, in delega, anche alle istituzioni ed alle iniziative private e religiose. Insieme al processo di unificazione, e nell’ambito del nuovo Stato unitario, veniva creato un intero sistema di scuole a carattere tecnico-scientifico ed economico, sulla base del generale convincimento, maturato dagli anni Trenta in poi, che spostare l’asse culturale in senso tecnico e scientifico avrebbe portato a un irrobustimento delle forze intellettuali e produttive necessarie alla rigenerazione del Paese e alla sua piena partecipazione ai processi di modernizzazione82 (Dal Passo, 2017). In una visione e gestione essenzialmente liberale, l’istruzione

82 Già nel 1859 nascevano due scuole politecniche per ingegneri: la Scuola di applicazione di Torino e l’Istituto tecnico

superiore di Milano. Sempre a Milano veniva rafforzata la Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri mentre altrove si istituivano altre scuole di carattere tecnico come la Scuola per il corpo del Genio civile a Ferrara (1860), poi trasformata in Scuola di applicazione per gli ingegneri idraulici (1863), la Scuola per ingegneri di Palermo (aperta solo nel 1866) seguita in varie città dell’isola da altre strutture «speciali», l’Istituto d’arti e mestieri di Fermo (1861) e il Reale istituto d’incoraggiamento di agricoltura, arti e manifatture per la Sicilia con il compito di promuovere lo sviluppo delle attività produttive. Nel 1860 venne inaugurato a Firenze l’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento sia per le scienze umane che per le scienze naturali considerate sotto il duplice aspetto del loro perfezionamento e del loro pratico esercizio. Nel 1862 veniva istituita la Scuola di applicazione di Torino e mentre si dava attuazione all’Istituto tecnico superiore di Milano, si provvedeva a riordinare la Scuola per gli ingegneri di Napoli così come le Scuole d’ingegneria di Padova e di Roma, rispettivamente nel 1866 e nel 1870. Contemporaneamente veniva costruita la rete di scuole tecniche inferiori e di istituti tecnici secondari prevista dalla Casati che a una prima rilevazione statistica, effettuata nel 1868, contava già 84 istituti, di cui 45 governativi, 19 pareggiati e 18 liberi. Si ampliava ulteriormente anche il complesso di istituzioni superiori, che dovevano completare il nuovo settore dell’istruzione nazionale. A Venezia venne aperta la Scuola superiore di commercio (1867), a Genova si avviò la Scuola superiore navale (1870) e a Palermo si attivò nel 1872 la Scuola postlaurea a indirizzo minerario, per gli studi agrari si crearono le due Scuole superiori di agricoltura di Milano (1870) e di Portici (1872), attorno alle quali sarebbero sorte la Stazione sperimentale di Lodi per il settore lattiero-caseario (1871), l’Istituto forestale nell’ex Badia di Vallombrosa (1869), e varie stazioni e scuole pratico-sperimentali finalizzate alla gelsibachicoltura, alla viticoltura, alle attività nautiche e di pesca e alle miniere – fra cui quelle di Caltanissetta (1862) e Iglesias (1871) – per la preparazione di periti e capi operai minerari (Lacaita, 2011).

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restava comunque appannaggio delle classi più abbienti, mentre al popolo veniva riservata un’istruzione rudimentale, sufficiente a formare sudditi “fedeli al Re e alla patria” (ivi, p. 3).

Lo Stato si dichiarava esente da ogni responsabilità economica riguardo all’edilizia scolastica e alla retribuzione degli insegnanti83, ponendo entrambi gli oneri a carico dei Comuni, senza accertarsi della

loro disponibilità economica e politica, producendo, soprattutto nel caso dell’istruzione elementare, un numero molto alto di evasione scolastica e abbandoni. Nonostante le evidenti mancanze e lo spirito complessivo da cui venne guidata, la legge Casati fornì alcuni elementi che fungeranno da base alle future riforme relative alla pubblica istruzione come: “la gratuità e l’obbligatorietà della scuola primaria, il superamento della distinzione educativa tra maschi e femmine e l’esigenza di una più adeguata preparazione professionale dei docenti” (ivi, p. 5). Si dovrà attendere il 1877 per un nuovo intervento organico nell’ambito dell’istruzione, con l’emanazione della legge Coppino che, oltre a cercare di rendere operativo “il principio dell’obbligatorietà della scuola elementare, limitatamente al grado inferiore, fisserà le sanzioni per gli inadempienti ed istituirà il controllo statale sulle nomine dei maestri” (ibidem). La legge Coppino puntava sul raccordo “fra scuola e lavoro, esercito e popolo, e tra scuole elementari, serali, festive e professionali” (ibidem), mantenendo però inalterato il principio di separazione tra i corsi e gli indirizzi delle scuole elementari superiori in base all’attività lavorativa futura o al proseguimento degli studi. A ciò si aggiungeva, inoltre, “l’ambigua posizione assunta dalla legge nei confronti dell’insegnamento religioso: esso, sebbene non esplicitamente abolito, non compare più tra le materie; al suo posto è inserito (art. 2) l’insegnamento delle prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino” (ibidem).

Con l’inizio dell’età giolittiana si aprì una nuova fase della situazione scolastica, anche grazie a una migliore condizione economica e politica del Paese. A partire dall’inizio degli anni ’90 si inserirono all’interno del dibattito sull’istruzione nuovi interlocutori che andavano da posizioni socialiste e democratiche a cattoliche, a presenze e interferenze di tipo nazionalistico. Grazie al confronto e alla spinta di varie organizzazioni politiche e associazioni, come ad esempio l’Unione magistrale nazionale (1901), la Niccolò Tommaseo (1906) e la Federazione nazionale insegnanti scuola media (FNISM, 1902), vennero emanati una serie di provvedimenti legislativi (Dal Passo, 2017). Nel 1904 la legge

Orlando prolungava l’obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età, dividendo i destini scolastici al

termine della quarta, tra chi doveva proseguire gli studi e chi invece doveva inserirsi nel mondo del

83 I maestri e le maestre assunsero quasi il ruolo di missionari: mal pagati, privi di uno stato giuridico, molto spesso alle

dipendenze di amministratori poco sensibili, costretti ad una serie di attività e di servizi extrascolastici, quasi privi di una solida preparazione professionale e culturale e con classi numerosissime (Dal Passo, 2017).

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lavoro, istituiva le scuole serali e festive per gli analfabeti, l’assistenza scolastica a carico dei Comuni per i più poveri, e dava vita alla Direzione generale dell’istruzione elementare. Nel 1906 veniva istituita la Commissione centrale per il Mezzogiorno, a sostegno della lotta contro l’analfabetismo nelle isole e nelle province del Sud, e l’incremento delle scuole serali e festive. Nel 1909, sotto la direzione dell’ispettore Camillo Corradini, vennero presentati i risultati dell’inchiesta per l’ordinamento degli studi in Italia, al fine di fare un chiaro punto sulle condizioni dell’istruzione primaria nel Regno84 (ibidem). Il

massimo impulso all’espansione sistematica dell’istruzione elementare nel Paese venne dato dalla legge

Daneo-Credaro del 1911, che avocava allo Stato le scuole primarie, eccetto quelle dei comuni di

capoluogo e circondario, e “istituiva nuovi circoli di direzione didattica, il Patronato scolastico obbligatorio in tutti i Comuni, le scuole reggimentali e le scuole carcerarie; e stanziava inoltre fondi per le biblioteche popolari, scolastiche e magistrali, per le scuole degli handicappati e per gli asili” (ivi, p. 6).

Sullo stato della scuola italiana pesarono diversi fattori: “carenza di scuole, stato desolante di molti edifici scolastici, scarso impegno finanziario degli enti locali e dello Stato, mancanza di ispezioni, insufficiente materiale didattico, impreparazione degli insegnanti e loro scarsa retribuzione, alto numero di allievi per classe, programmi scombinati e ripetitivi” (ivi, p. 10). La struttura ed il sistema di gestione scolastico, sembravano scoraggiare, più che incoraggiare iniziative, proposte e sperimentazioni: “Le leggi Boncompagni e Casati risultarono strumenti atti più a contenere, sorvegliare, controllare che a stimolare la ricerca di strade nuove” (ivi, p. 11). Nonostante i frequenti cambiamenti di programmi e la dettagliata azione legislativa e normativa si determinò una situazione di stallo che incise negativamente nella “lotta contro l’analfabetismo”, nell’“azione a favore dell’educazione popolare” e nella “qualificazione culturale e professionale della scuola media” (ibidem). La classe politica liberale, “preoccupata di gestire politicamente la scuola, rimase ingabbiata nella legge Casati […] non riuscendo a cogliere la dinamica delle trasformazioni sociali che premevano sulla scuola” (ivi, p. 11). La Sinistra storica pose invece particolare attenzione alla discussione “sulla selettività, sulla serietà degli studi, sulla funzione elitaria della scuola superiore e universitaria” (ivi, p. 9), senza intendere il vero significato, ed anche la struttura,

84 La Commissione reale per l’ordinamento degli studi in Italia venne insediata con Regio nel 1905 e terminò i lavori nel

1909. Questa ebbe il compito di studiare l’ordinamento degli studi secondari, la situazione scolastica, didattica e culturale, e di formulare i criteri di un nuovo ordinamento. Fu compilato un questionario molto analitico inviato ad enti, associazioni, istituzioni e uomini di cultura. Vitelli, Galletti, Salvemini a causa del modo diverso di intendere il problema della scuola media unica, in particolare per ciò che riguardava l’insegnamento del latino e l’organizzazione generale della scuola, lasciarono la Commissione. L’impostazione di una netta separazione di sorti all’interno della scuola elementare tra chi sarebbe stato destinato a proseguire gli studi e chi invece avrebbe dovuto dedicarsi al lavoro non veniva messa in dubbio, anzi, la Commissione prendeva atto dei «felici risultati» della legge Orlando (Dal Passo, 2017, p. 10).

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della scuola borghese e ritardando la proposta di una riforma della scuola media: “più puntuale e articolato fu, invece, l’intervento sugli asili, le scuole materne, elementari, popolari, professionali ed in generale sull’assistenza scolastica, medica, integrativa, sui regolamenti scolastici, sulla gestione della scuola e sulla cultura laica” (ibidem).