• Non ci sono risultati.

CAPITOLO II: DAL DOPOGUERRA AL BOOM ECONOMICO

3. La sociologia e il mondo accademico

3.4. Sociologia politica e ricerca sociale

In Italia mancava una cultura sociale come cultura industriale così come mancava una cultura sociale come cultura politica. Tra il 1951 e il 1955 si accese un colloquio, molto spesso polemico, tra intellettuali, come Norberto Bobbio, sui nessi tra politica e cultura che attraversò diverse riviste come Comprendere,

Occidente, Nuovi Argomenti, Il Contemporaneo, Il Mulino ecc. Il ruolo di insider nella cultura militante

sembrava porre gli intellettuali come outsider nella politica partitica, questi se da un lato non riuscivano a rappresentare le basi sociali dall’altro non riuscivano a far arrivare il loro messaggio ai rappresentati politici, e, dunque, ad incidere sui disegni di governo (Barbano, 1985, p. 88-89).

Negli anni ’50 rinacque la sociologia politica in un mix di interessi, stimolati dalla nuova vita politica democratica, dalla e per la democrazia come processo, istituzione, azione e soggetti: “la classe politica, le élites e gli intellettuali, […] le elezioni, le campagne elettorali, il rilievo dei partiti sulla base dei risultati elettorali; la diffusione del comunismo in Italia; e poi verso i partiti, i gruppi di pressione, la partecipazione politica e il potere” (ivi, p. 103). Le scelte tematiche, influenzate da interessi più sostanziali che teorici, segneranno i rapporti tra la sociologia politica e la teoria e la scienza politica; così

208 Coletti propone a partire dal Capitale una critica del pensiero sociologico contemporaneo, egli considera il marxismo come

l’“«unica soluzione possibile del capitalismo», contro il carattere ideologico-metafisico della sociologia borghese” (Chiaretti, 1975, p. 113). Il suo livello di analisi è puramente concettuale non offrendo “né strumenti analitici né conoscenze specifiche per una conoscenza teorico-pratica del capitalismo contemporaneo” (ivi, p. 114).

209 La rivista Quaderni Rossi nasce nel 1961 ad opera di Raniero Panzieri, espulso dal PSI nel 1959 perché in disaccordo con

la formula dell’alternativa democratica proposta da Nenni, e Mario Tronti. La rivista segue un’impostazione di analisi e di studio del Capitale e dello sviluppo capitalistico, al fine di proporre al movimento operaio una nuova prospettiva rivoluzionaria che affonda le sue radici in una nuova concettualizzazione “dei rapporti di produzione come rapporti di potere” (Chiaretti, 1975, p. 114). Il metodo utilizzato è quello della conricerca, di un rapporto diretto con la classe operaia, volto ad individuare quelle contraddizioni storiche alla base delle lotte tra capitale e lavoro da cui partire per ripensare nuove forme di emancipazione della classe operaia (ivi, pp. 116-117).

162

come da esse deriverà la definizione dell’oggetto stesso della sociologia politica come «sociologia “della” politica [che] si occupa dell’associazionismo, dei “gruppi” politici che rappresentano la “società civile” oppure della forma o sistema che rappresenta lo “stato”» (ivi, p. 105).

Nella metà degli anni ’50 prese avvio un dibattito sul concetto e l’esperienza della partecipazione come trait d’union tra le istituzioni e i meccanismi della democrazia politica e i gruppi e i processi della democrazia sociale, tra stato e società civile. Alla fine degli anni ’50 e nei primi anni ’60 gli interessi di sociologia politica andranno intensificandosi con il diffondersi di nuovi temi relativi ai gruppi di pressione e ai gruppi di interesse che intensificavano in quegli anni la loro presenza. Dopo gli anni ’50 verranno quasi abbandonati i temi delle élites e delle classi dirigenti mentre si intensificheranno i dibattiti e i contributi sulla partecipazione che possono essere riletti, secondo Barbano, sotto almeno tre punti di vista: “a) come interpretazione sociologica della prassi della democrazia sociale; b) come interpretazione sociologica del ruolo dei partiti nella democrazia politica; c) come risposta sociologica alla esperienza della fenomenologia politica di massa: e cioè la trasformazione dei partiti italiani in partiti di massa, la loro progressiva occupazione, piuttosto che gestione, del potere, eccetera” (ivi, p. 108).

La ricerca sociale si connetteva strettamente con i disegni politici ed economici nazionali: questo aspetto fu rilevante sia per i rapporti della ricerca con la teoria sociale, sia per il lavoro professionale del sociologo e per la rilevanza che la sociologia, come cultura sociale, andava assumendo nella formazione politica ed economica del paese. Furono geograficamente eterogenei i centri che caratterizzarono la rinascita della sociologia negli anni ’50: “Notevole fu il ruolo di un gruppo di studiosi e di intellettuali torinesi che si raccolsero nel Centro di Studi metodologici di orientamento neopositivo e aperto alle scienze sociali; nonché il ruolo a Milano del Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa sociale, che prese numerose iniziative alle quali è legato il decollo della nuova sociologia. La Scuola di Portici di Manlio Rossi Doria fu un altro centro importante per la confluenza del meridionalismo con la ricerca sociale. Ma vi furono altri gruppi ancora che hanno caratterizzato per così dire la geografia della rinascita come quello per esempio de Il Mulino, animatore dell’omonima rivista e della casa editrice, le quali fin dal loro inizio si assunsero iniziative sociologiche come dibattere i problemi della scienza sociale e pubblicare opere italiane e straniere di sociologia” (Barbano, 1985, pp. 81-82). Vi era un urgente bisogno di informazione sulle correnti e i problemi della sociologia contemporanea dopo decenni di disinformazione che avevano raggiunto il loro culmine con gli anni della Seconda guerra mondiale. La rivista Il Politico diretta e fondata da Bruno Leoni, allievo di Solari, fin dai primi numeri del 1951, diede ampio spazio alle recensioni di libri stranieri, soprattutto in lingua inglese, al fine di ampliare il numero di informazioni sullo stato dell’arte della sociologia in vari paesi europei e negli Stati Uniti. L’interesse

163

per il nuovo, per le innovazioni diffusesi in ambito sociologico e delle scienze sociali nei vari contesti nazionali, fu un vivo interesse anche di Camillo Pellizzi il quale in quegli anni pubblicò una serie di articoli che contribuirono a introdurre le nuove tendenze nella cultura italiana210 (Barbano, 1985).

Come accennato la sociologia rinasceva negli anni ’50 come ricerca più che come teoria sociale. Le motivazioni che spingevano alla ricerca sociale tendevano a diversificarsi, in primo luogo, sulla base delle motivazioni dei programmi stessi, se queste nascevano da un’esigenza interna di sviluppo della sociologia come scienza o da motivazioni esterne, per rispondere ai bisogni di innovazione della vita economica, politica, religiosa, ecc. Il fare ricerca venne espresso con nuovi termini come discesa sul

campo, ricerca sul terreno, approccio di ricerca, espressioni che indicavano un’attività intellettuale

innovativa, e a volte contestativa, rispetto al presente, che non cercava di seguire il canone sperimentale della sociologia come scienza, il quale indica la ricerca empirica come verifica delle ipotesi di ricerca. Ma furono proprio i bisogni teorici legati alla pratica della ricerca a promuovere la rilevanza strategica dei rapporti tra teoria e ricerca sociale, legati in particolare “alle inchieste, ai progetti comunitari, alle esperienze provenienti dalla ricostruzione, dall’ammodernamento, dall’industrializzazione, dai nuovi processi di democratizzazione e di ricognizione in varie aree di vita e di esperienza associativa, religiosa, culturale eccetera” (Barbano, 1985, p. 92).