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CAPITOLO 2: IL RECRUITING NELL’ERA DIGITALE

2.2 Il recruiting tradizionale

2.2.3 Come le fonti di reclutamento influiscono sugli esiti

Dal momento che il tema del reclutamento include numerose sfumature, la semplice classificazione tra fonti di reclutamento interne ed esterne non sembra fornire un quadro esauriente a comprenderlo. Per approfondire la sua conoscenza a questo punto sembra importante specificare una distinzione tra due concetti che altrimenti potrebbero essere confusi: le fonti e le tecniche del reclutamento. Con il primo termine si intende il luogo dove ricercare le persone che si desiderano, mentre il secondo fa riferimento al metodo usato per attirare i possibili candidati. Come è già stato discusso, il principale obiettivo di un programma di reclutamento è quello di determinare quali sono le fonti migliori e gli strumenti più idonei per raggiungere i candidati e suscitare in loro un interesse (Zerilli, 2007). A questo proposito, la maggior parte della ricerca condotta circa i fattori che influenzano il processo di recruiting, ha affrontato tre questioni principali: le fonti di reclutamento, i reclutatori e le previsioni realistiche di lavoro (Barber, 1998). Indipendentemente dalla tipologia di lavoro, le fonti comunemente usate in passato per cercare lavoro dai potenziali candidati sono state gli annunci sui giornali, le agenzie per l’impiego, le application on-line, ovvero le richieste di lavoro in assenza di un annuncio ufficiale e il reclutamento nelle scuole. I potenziali candidati sono stati definiti da Ryan, Horvath e Kriska (2005) come quegli individui che hanno un certo interesse per il lavoro e una ragionevole possibilità di proporsi. Il processo di ricerca e/o valutazione delle opportunità di lavoro all’interno delle organizzazioni è intrapreso da milioni di persone in tutto il mondo ogni giorno dell’anno. In relazione alle fonti impiegate in tale attività, due sono state le spiegazioni teoriche circa il motivo per cui queste possono essere differentemente associate ad esiti di reclutamento: l’ipotesi di informazione realistica e l’ipotesi di differenza individuale (Barber, 1998).

L’ipotesi di informazione realistica è stata sostenuta per la prima volta da Quaglieri nel 1982, il quale riteneva che le persone assunte tramite determinate fonti ricevevano informazioni più accurate su ciò che concerne il lavoro e questo consentiva loro di prendere una decisione più informata in merito all’opportunità offerta dall’azienda. Per quanto riguarda ad esempio la tecnica delle richieste dirette, Breaugh e Stark (2000) hanno riportato il pensiero di altri autori quali Mann e Williams, i quali sostengono che, mentre attraverso questa modalità si possano detenere informazioni più realistiche relative alle offerte di lavoro, come risultato di ulteriori ricerche condotte sul potenziale datore di lavoro, gli individui reclutati da uffici di collocamento della scuola o annunci sui giornali, possono non avere informazioni effettive sul lavoro. Secondo Williams, in mancanza di tali informazioni, questi individui hanno meno probabilità di potersi auto-selezionare sulla base del “fit” con le competenze richieste; inoltre, se assunti, questi individui hanno maggiori probabilità di essere infelici e di conseguenza dare le dimissioni.

La seconda spiegazione comunemente offerta è nota invece come ipotesi sulle diversità individuali. Questa teoria parte dal presupposto che le fonti differiscano in relazione agli individui che le utilizzano e che tali divergenze producano risultati diversi. Per esempio, Ullman ha ipotizzato che le persone assunte tramite referenze di altri dipendenti, possano avere più capacità di quelle reclutate attraverso gli

84 annunci nei giornali (Breaugh e Stark, 2000). Questa affermazione si basa sull’assunto per cui i dipendenti attuali sono in grado di schermare i possibili candidati prima di crearne una referenza, in quanto questa azione potrebbe ledere la loro reputazione. Altri ricercatori (Barber, 1998) hanno ipotizzato che le diverse fonti di reclutamento raggiungono gruppi di candidati che differiscono su caratteristiche quali la motivazione o la mobilità professionale, anche se nello specifico le fonti collegate alle variabili non sono ancora state descritte in letteratura.

In sintesi, quindi, in termini di rapporti tra fonti di reclutamento e principali variabili intervenienti è possibile affermare che molti altri studi devono essere condotti in futuro, andando oltre la semplice considerazione degli effetti delle fonti associati alle aspettative realistiche di lavoro e alle differenze individuali (Breaugh e Stark, 2000).

Le attuali ricerche tuttavia hanno offerto una serie di spiegazioni sul perché i reclutatori possono avere un effetto su coloro che si candidano per un lavoro. Il primo di questi ha a che fare con “l’informativa”. Dagli studi risulta che alcuni reclutatori forniscono maggiori e più specifiche informazioni ai candidati rispetto ad altri. Dato che le nozioni fornite sono rilevanti per formare la scelta del candidato, interagire di più con i reclutatori dovrebbe avere numerosi effetti benefici.

Ricercatori come Maurer, Howe e Lee (Breaugh e Stark, 2000) hanno ipotizzato che la credibilità del recruiter aiuti a spiegare gli effetti differenziali sui candidati; è stato anche suggerito che i reclutatori possono influenzare i candidati, perché questi li vedono come dei “segnali” delle caratteristiche organizzative, ovvero, in base alla personalità e all’atteggiamento del reclutatore immaginano come potrebbero essere trattati una volta assunti. Analogamente, più si interagisce con un reclutatore, più informazioni sui valori aziendali un candidato riesce ad ottenere e più forte è l’influenza e l’attrazione. Sebbene i ricercatori abbiano fornito alcune basi teoriche del motivo per il quale i reclutatori possono avere effetti positivi, le teorie hanno ancora bisogno di essere indagate (Breaugh e Stark, 2000).

Secondo Phillips (1998), nessun problema di reclutamento ha generato più attenzione come le previsioni realistiche di lavoro (RJPs), ovvero la presentazione da parte dell’azienda di informazioni sia favorevoli che sfavorevoli relative alla posizione di lavoro vacante. Il concetto dietro le RJPs è che i candidati hanno maggiori probabilità di rimanere con l’organizzazione ed essere soddisfatti del lavoro se le loro impressioni circa la corrispondenza tra lavoro e azienda sono in linea con le aspettative generate prima di essere assunti. La maggior parte dei modelli RJPs ipotizza infatti che fornire informazioni veritiere sul lavoro porti alla soddisfazione delle aspettative dei candidati e alla loro percezione di onestà da parte dell’organizzazione. Dal momento che i candidati valutano numerose alternative prima di accettare un lavoro indesiderato, fornire un RJPs può comportare un’autoselezione, che risulta in un maggiore livello di soddisfazione sul lavoro, un livello inferiore di turnover volontario e un livello superiore di prestazioni. Le previsioni solitamente vengono fornite tramite un opuscolo o un video, ma rispetto ai RJPs in forma scritta, i RJPs ricevuti tramite un colloquio faccia a faccia sembrerebbero attirare maggiore attenzione, essere più comprensibili e anche più credibili. Secondo

85 Collarelli (Breaugh e Stark, 2000), infatti, la conversazione aiuta la comprensione, in quanto dà la possibilità al candidato di porre domande per chiarire eventuali informazioni ambigue. Egli ha sostenuto anche che operatori storici hanno una notevole credibilità, dato che essi sono generalmente ritenuti più informati rispetto ad altre fonti di informazione e considerati più affidabili. Buda e Charnov (2003) hanno sottolineato poi la necessità che le aziende valutino il contenuto del RJP, per garantire un equilibrio nella sua definizione, in quanto con un RJP negativo si corre il rischio di abbassare il livello di attrazione, che porta alla decisione del candidato di ritirarsi dal processo di reclutamento.

Nel tentativo di spiegare perché la mancanza di informazioni può tradursi in una reazione negativa da parte dei candidati, si ritiene che questi potrebbero vedere l’incapacità di un’azienda di fornire informazioni sufficienti come un indicatore di disinteressamento nell’attività di reclutamento. In altre parole, l’insuccesso di un datore di fornire informazioni può essere percepito come una segnale della sua mancanza di professionalità o della sua mancanza di interesse verso il candidato. Per quanto riguarda la specificità dell’informazione, quando un datore di lavoro cerca di presentare le informazioni realistiche di lavoro, spesso ne impiega di generali e ciò non consente di creare un processo decisionale informato. Dal momento in cui attirare l’attenzione dei candidati è una variabile fondamentale nel processo di assunzione, sembra che, fornendo informazioni più specifiche, il datore di lavoro sia in grado di generare maggiore interesse (Breaugh e Stark, 2000).

Il rapporto tra le previsioni di lavoro realistiche ed i risultati di assunzione, ha formato la base di gran parte della letteratura sulle RJPs. Questo rapporto si basa su due concetti: i tentativi di adeguamento e quelli di auto-selezione.

Il primo concetto incorpora diverse teorie: il raggiungimento delle ipotesi di aspettativa, delle ipotesi di affronto e di impegno. La prima suggerisce che le persone saranno più soddisfatte e quindi rimarranno nella posizione di lavoro se le esperienze di lavoro iniziali corrispondono alle aspettative create prima dell’impiego. La seconda ipotesi invece presuppone che i nuovi assunti utilizzeranno le informazioni realistiche di lavoro per elaborare delle strategie per affrontare e risolvere i problemi sul lavoro, cosa che permetterà di rimanere in azienda più a lungo. L’ipotesi finale alla base del concetto di regolazione prima del lavoro, suggerisce che le persone dimostrano elevati livelli di impegno nei confronti delle organizzazioni che forniscono informazioni chiave necessarie per un processo consapevole di scelta (Rynes, 1990).

L’auto-selezione è definita invece come l’incontro dei bisogni individuali dei richiedenti con la cultura e il clima aziendale, che porta in definitiva ad una migliore corrispondenza tra le due parti. Questa ipotesi è stata inizialmente legata alle misure di turnover, che indicavano livelli di turnover volontario più bassi per i soggetti esposti ad ipotesi realistiche sul lavoro, mentre ricerche successive hanno riconosciuto che il concetto sembra influenzare le decisioni di accettare il lavoro (Breaugh e Starke, 2000).

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