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L’insoddisfazione dei talenti interni e la glorificazione degli outsider

CAPITOLO 1: SCOPRIRE E GESTIRE LE RISORSE DI VALORE

1.3 Problematiche e criticità del Talent Management

1.3.4 L’insoddisfazione dei talenti interni e la glorificazione degli outsider

Come emerge dalla lettura “Do high-flyer programmes facilitate organizational learning?” (Larsen, 1997), chi partecipa ai programmi dedicati ai talenti, è spesso sottoposto a forti stress e può sperimentare numerose frustrazioni se non vengono soddisfatte le sue aspettative. Un programma rivolto ai talenti può infatti alzare considerevolmente le attese di carriera del talento, ma se le circostanze competitive non permettono di realizzarle, egli può rimanere deluso e meditare l’abbandono dell’organizzazione.

54 Le frustrazioni di cui si parla possono essere ricondotte al non vedere realizzate le previsioni di carriera, alla mancanza di un incarico sfidante, all’assenza di responsabilità e/o all’incertezza sul ruolo che andrà a ricoprire una volta terminato il programma a lui dedicato. Una delle problematiche maggiori sembra comunque derivare dall’impossibilità, a causa di una frequente mobilità, di acquisire competenze specialistiche, componente indispensabile per conseguire stima professionale e migliorare la reputazione all’interno del gruppo. A tutti questi elementi va poi aggiunto lo stress di essere sempre sotto osservazione, di dover sopportare incarichi pesanti, spesso senza il supporto del team di lavoro e la preoccupazione di essere sostituiti con individui più qualificati che non fanno ancora parte dell’organizzazione (Larsen et al., 1998).

Nel processo di individuazione delle persone migliori, si è infatti manifestata la tendenza a ricercare i talenti nel contesto esterno all’azienda; sebbene le teorie dei favoritismi interni, suggeriscano che le persone tendano ad identificarsi di più con quelli con cui condividono una identità sociale, gli “outsider” sembrano attrarre di più perché hanno il vantaggio di essere riconosciuti come rari.

Le ragioni che giustificano questo atteggiamento possono essere ricondotte a tre questioni. In primo luogo bisogna considerare l’impegno: poiché i dipendenti dell’azienda sono sempre a disposizione mentre ricercare e selezionare dei potenziali che non ne fanno parte richiede un impegno maggiore, è necessario trovarne una giustificazione. Una ragione che potrebbe dare senso ad uno sforzo superiore anche in termini economici, è la convinzione che le persone scoperte attraverso questa attività siano realmente migliori di quelli immediatamente disponibili. In secondo luogo bisogna riflettere sull’effetto “scarsità”: le persone desiderano spesso quello che non hanno o quello che non possono avere. Dal momento in cui gli esterni sono più scarsi rispetto quelli interni e meno propensi a lavorare per l’azienda se hanno già un buon incarico altrove, attirarli e trattenerli è sicuramente un processo complesso, il cui esito è incerto. Valorizzarli maggiormente sembra dunque una valida ragione per riuscire a conquistarli. Infine non va dimenticato l’alone di mistero e fascino che li circonda. Quando non si conosce bene un individuo, ma questo ha la reputazione di essere un performer eccezionale, diventa ancora più “attraente” per l’azienda, tanto che la stessa potrebbe non rendersi conto se la prestazione del soggetto sia simile a quella di altri dipendenti. Solamente una volta inserito nell’organizzazione, l’individuo manifesta chiaramente le sue manie e i suoi difetti (Pfeffer, 2001).

Un importante contributo relativamente a questa critica, proviene da “The risky business of hiring stars”, in cui vengono esposti i risultati di una ricerca condotta sulle prestazioni di oltre mille analisti finanziari, operanti in ottanta banche statunitensi. Lo studio ha verificato che quando una banca assume una “star”, la performance del gruppo di lavoro subisce un calo, così come il valore di mercato dell’impresa.

Nello specifico gli autori (Groysber, Nanda e Nohria, 2004) hanno evidenziato tre precisi effetti che motivano le ragioni di questo insuccesso:

55 1. Nel 46% dei casi la prestazione del soggetto assunto si riduce notevolmente rispetto al livello

raggiunto nella mansione precedente. Sebbene non sia possibile che un talento divenga meno intelligente dopo aver cambiato azienda, è probabile che il suo rendimento sia influenzato negativamente dalle caratteristiche della nuova azienda. Quando un soggetto viene introdotto in una nuova realtà organizzativa, non ha più a disposizione le risorse che hanno contribuito al suo precedente successo e di conseguenza non è in grado di riprodurre lo stesso risultato, finché non apprende il funzionamento dei nuovi processi. Se questa fase di scarsi risultati dura molto la reputazione del talento presso il gruppo di lavoro cala e così anche la sua motivazione e il suo impegno.

2. L’assunzione di un talento comporta una ricaduta negativa sul morale della squadra con cui lavora. Se questa situazione viene sottovalutata è facile che nascano conflitti interpersonali e rotture nella comunicazione, che spesso si risolvono solo con l’allontanamento delle “star”. Tra le cause che possono generare questo fenomeno vanno incluse le differenze salariali, ma soprattutto la demotivazione nei non talenti che nasce dal non poter aspirare a posizioni di leadership fintanto che gli “star” rimangono in azienda. Il loro malumore può essere inoltre ampliato dal fatto che i manager forniscono maggiore attenzione e risorse ai nuovi assunti, anche se tutti hanno svolto bene i loro incarichi. La mancanza di un’adeguata considerazione è ciò che limita la performance degli altri dipendenti.

3. Sebbene l’assunzione di un talento aiuti a migliorare la reputazione dell’azienda, gli azionisti la ritengono una forma di distruzione di valore. A quanto pare molti investitori credono in primo luogo che, mentre la remunerazione di un talento sia commisurata alla sua prestazione, i competitors alla visione dello status di “star”, siano disposti a pagare più del dovuto per ingaggiarli e in secondo luogo, che la maggior parte delle stelle lascino l’azienda quando sono prossimi al loro picco e che le loro prestazione calerà in seguito all’assunzione in una nuova impresa.

Secondo Pfeffer (2001), la risorsa più scarsa nella maggior parte delle organizzazioni non è il denaro, ma il tempo e l’attenzione; ci sono troppi problemi e questioni in competizione per il tempo dei manager e troppe cose da pensare. Combattere la guerra per i talenti concentra l’azienda sulla selezione e ritenzione delle persone migliori. In altre parole, sottovaluta l’importanza della costruzione di una cultura e un sistema in grado di far emergere il talento di ognuno, piuttosto che cercarlo altrove.

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