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APPRENDIMENTO E RIFLESSIONE NELL’INDIVIDUO E NELLE ORGANIZZAZION

2.6. RIPENSARE LA FORMAZIONE NEL NUOVO RAPPORTO TRA TEORIA E PRATICA

2.6.1. I concetti di pratica e riflessività

L’ excursus epistemologico e teorico dei paragrafi precedenti ci ha permesso di focalizzare con precisione i nostri oggetti di indagine, un soggetto individuale e un soggetto organizzativo che conoscono, apprendono attivamente operando in un mondo instabile ed incerto; gli approfondimenti compiuti consentono di attribuire a tali soggetti una propria legittimità epistemica in quanto costruttori di saperi che nascono dall’azione stessa (Pulvirenti, 2012). Nel presente paragrafo e nel successivo è ora necessario delineare come la pedagogia e, nello specifico, le scienze della formazione professionale nelle organizzazioni, la FC, si posizionano rispetto a tale nuovo oggetto di indagine e di intervento: affrontare, all’interno del quadro appena delineato, un soggetto che deve responsabilmente e consapevolmente agire nella costruzione del mondo esterno ed interno governando i propri processi di conoscenza, orientandosi tra saperi destrutturati e informali, acquisendo i contenuti dell’esperienza per elaborare ipotesi, condividerle e confrontarle con altri, porta la formazione a ripensarsi, ad appoggiarsi a paradigmi che affrontino il nodo della relazione tra conoscenza ed azione in funzione di un processo, prodotto, risultato in termini di apprendimento/cambiamento (Alberici, 2004 p. 178), rivedendo i modelli e le modalità formative finora attuate nelle logiche di trasmissione di conoscenze, entrando in una nuova logica di partecipazione, supporto e accompagnamento dell’ attivo processo conoscitivo del soggetto.

Nel glossario della pedagogia e della didattica entrano infatti alcuni nuovi concetti base per queste discipline (Bertagna, Triani, 2013), tra cui evidenziamo quelli di pratica e di riflessività. Perla (ibidem pag. 300) definisce la pratica come un sapere saggio guidato da una razionalità che porta a scelte consapevoli e intenzionali di “azioni buone”, che conoscono il bene collettivo e sono responsabili per esso. Il sapere pratico, un sapere-in azione, è una forma di conoscenza

particolare che si distingue da quella teorica in quanto contestualizzata, sociale, implicita e riflessa.

Tra i filoni che sviluppano il concetto di pratica di particolare interesse sono quelli post- deweyani basati sulla teoria delle pratiche di conoscenza, in cui la pratica è luogo di acquisizione e di sviluppo di competenze. Tra questi ritornano le ricerche di Schön sulle pratiche di fatto, le teorie in atto, che hanno posto in modo nuovo la questione del carattere situato, contingente, e singolare della conoscenza.

L’autrice evidenzia la distinzione, utile per la presente ricerca, tra le pratiche di lavoro, le pratiche didattiche e le pratiche riflessive (ibidem): le prime, riprendendo una definizione di Fabbri (2010) sono costituite dal “saper fare in situazione legato alla realizzazione di un progetto che intreccia relazioni tra persone, oggetti, linguaggi, tecnologie, istituzioni e norme”; le seconde, secondo una definizione di Laneve (1998) sono il risultato di una ricerca tra le molteplici possibilità (procedure, strategie, itinerari) che possono essere scelte per ottimizzare l’azione di insegnamento (apprendimento); per quanto concerne la terza categoria di pratiche, riprendendo Schön (2006) si tratta di un movimento dialettico della reflected practice, ovvero di una riflessione sul “fare professionale” generatrice di nuova conoscenza, la cui validità è governata e limitata dalle situazioni nelle quali è generata e trova utilità.

Un’ultima pratica va menzionata infine, quella linguistica, approfondita da Wittgenstein (2000): si fonda sulla capacità dei soggetti individuali e collettivi di saper produrre e interpretare con padronanza significati; Austin (1962), riprendendo il concetto, introduce la nozione di atto linguistico performativo (speech act) che collega il linguaggio all’azione e alla prestazione, situando la loro efficacia nel contesto in cui sono realizzati.

Rispetto al concetto di CdP, Perla (ibidem pag. 109) cita Fabbri (2007) per sottolineare come tale concetto segni il passaggio da un’epistemologia del possesso, in cui l’apprendimento è per lo più individuale ad una epistemologia della condivisione della conoscenza.

L’ impatto della CdP si nota anche sul piano della ricerca didattica sull’apprendimento, nel suo orientamento all’analisi dell’apprendimento implicito che emerge al di fuori dei processi formali. A livello didattico, quindi, lo scenario formativo che la CdP configura deve prevedere l’informalità dell’apprendimento, non necessariamente sistematico e intenzionale, lo scambio dei saperi tra attori partner del processo conoscitivo, compreso il formatore, il riconoscimento contestuale delle competenze, con la costituzione di metodologie che variano in funzione dei contesti, dell’età dei membri, degli obiettivi. Approfondiremo l’aspetto della ricerca pedagogica nel paragrafo successivo.

Comprendere la crucialità della pratica significa pertanto riconoscere l’importanza della riflessività, ovvero del padroneggiamento della pratica per via riflessiva.

La riflessività contribuisce infatti a rendere la pratica auto-consapevole e permette di capitalizzare le acquisizioni esperienziali in termini di conoscenza utile per il miglioramento sia dell’azione sia, se necessario, dei “pattern” dell’azione stessa (Giddens, 1991). È in termini riflessivi che si realizza la continua interrogazione dei soggetti al lavoro sul “senso” delle proprie pratiche, sulla loro destinazione, sulla possibilità che da esse sorgano effetti inattesi. Nella riflessività si esprimono le capacità dei soggetti di far funzionare dinamicamente i patrimoni di informazioni e conoscenze di cui i soggetti stessi dispongono in funzione delle esigenze emergenti. La riflessività rappresenta in tal modo una funzione cruciale rivolta all’accumulo selettivo delle informazioni e conoscenze utili e al loro uso consapevole. Essa è, in fin dei conti, una funzione posta allo snodo tra il manifestarsi (spesso tacito e irriflesso) delle pratiche, da un lato, e i momenti dell’apprendimento e della sedimentazione delle competenze, dall’altro lato. È per via riflessiva che da processi elementari di apprendimento (di tipo single- loop, fondati sulla reiterazione di soluzioni già sperimentate anche rispetto a nuovi problemi) si può passare a processi più complessi (di tipo double-loop, in cui avviene la ridefinizione di regole, assunti e valori dell’agire collettivo).

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