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APPRENDIMENTO E RIFLESSIONE NELL’INDIVIDUO E NELLE ORGANIZZAZION

2.3. TEORIE DELL’APPRENDIMENTO E DELLA CONOSCENZA INDIVIDUALE

2.3.4. La prospettiva enattivista

L’Enattivismo è strettamente collegato all’embodied cognition e alla cognizione situata e si presenta come un’alternativa al cognitivismo computazionalista e al dualismo cartesiano e adotta un’epistemologia costruttivista, centrata sulla partecipazione attiva del soggetto nella costruzione della realtà (Chiari e Nuzzo, 1996).

Il termine Enattivismo” viene collegato a quello di enazione (dall’inglese to enact che significa “produrre”), termine introdotto da Varela, Thompson e Rosch (1991) per enfatizzare la convinzione che la cognizione non sia solo la rappresentazione di una mente pre-esistente di un mondo pre-esistente, ma piuttosto l’enazione di un mondo e di una mente sulla base di una storia di azioni che un soggetto mette in atto nel mondo”. Nell’elaborazione del concetto, che

attinge a diverse discipline, come la biologia, la teoria dei sistemi dinamici e la tradizione fenomenologica, l’intenzione è quella di indicare il rapporto di interdipendenza che lega tra di loro i processi sensoriali, i processi motori e la cognizione. La posizione di Varela è innovativa poiché, fino a quel momento, la mente era considerata un processore di informazioni astratte e la percezione era vista come “dissociata” dall’azione e precedente ad essa: il termine enazione diviene poi centrale nei discorsi teorici della embodied cognition, fondati sull’assunto che tra conoscenza e azione non sussiste un rapporto lineare di input-output, ma piuttosto un rapporto di mutuo scambio.

Prima di coniare il termine “enazione” Varela, però, fu ideatore, insieme a Maturana, del concetto di “autopoiesi” (Maturana e Varela, 1985) che venne impiegato in biologia per descrivere l’organizzazione di un essere vivente che conosce non solo attraverso la percezione, ma principalmente con l’azione, dal momento che ogni percezione e ogni conoscenza sono accompagnate da schemi di azioni effettive che permettono ad un essere vivente di continuare la sua esistenza in un determinato ambiente, “toccando con mano” il suo mondo (Maturana e Varela, 1998); ne consegue che un individuo percepisce qualcosa nella misura in cui può conferirgli il significato di un fine d’azione possibile: i processi sensoriali e motori (la percezione e l’azione), sono fondamentalmente inseparabili tra loro e inseparabili dal vissuto della cognizione..

Nell’Enattivismo l’oggetto di studio è l’attività del soggetto, considerata come una totalità autonoma consistente in un accoppiamento strutturale tra un attore e il suo ambiente: questi due elementi sono concepiti come non preesistenti alla relazione che li lega (Maturana, Varela, 1987). L’accoppiamento strutturale fa emergere un polo “attore” e un polo “ambiente” secondo un principio di “chiusura operativa” facente sì che gli organismi viventi definiscano e gestiscano la loro organizzazione interna nelle interazioni con il loro ambiente, senza perdervisi. Queste interazioni sono ricorrenti e ricorsive, in modo che in ciascun istante l’organizzazione dell’attore da un lato venga modificata dal flusso incessante del suo accoppiamento, dall’altro contemporaneamente, modifichi l’accoppiamento stesso. (ibidem). L’attività umana è una totalità incarnata e incorporata, è un flusso dinamico, dove la cognizione è concettualizzata come attività concreta di tutto l’organismo, i cui aspetti sensoriali, motori e cognitivi formano un insieme indissociabile (Chemero, 2009). L’attività, quindi, presa come una totalità, non può essere analizzata decomponendola in processi isolati e separati (decisione, risoluzione dei problemi, coordinamenti senso-motori, percezione, controllo emozionale, regolazione della motivazione…), (Poizat, Durand, Salini, 2012), in quanto radicalmente e dinamicamente situata in un ambiente spaziale, temporale, materiale, culturale e sociale

(Hutchins, 2008; Lave, 1988, Norman, 1993): l’attore, nel suo sforzo di adattarsi a un contesto, rileva quegli elementi significativi che diventano risorse utilizzabili per il suo agire.

L’attività è un processo permanente di creazione di attribuzione di significati; agire è proprio costruire significati in un contesto culturale in relazione con altri (Varela et al, 1993). L’accoppiamento tra attore e ambiente è asimmetrico nel senso che è l’attore che definisce cosa nell’ambiente è significativo pertinente per lui, in funzione del suo stato fisiologico, della sua personalità, della sua competenza, della sua storia e delle interazioni passate e presenti costruite.

Tra le teorie enattiviste, citiamo, per le sue ricadute sul piano metodologico dell’analisi dell’attività lavorativa (illustrata nel Cap. 3), la teoria semiologica del corso d’azione di Theureau (Theureau, 1992/2004, 2006) che, fondandosi su due tradizioni principali, la fenomenologia, la semiotica di Peirce e la prospettiva enattiva iniziata da Maturana e Varela. Si iscrive in una prospettiva di antropologia cognitiva e propone una fenomenologia empirica dell’attività. La lettura dell’autore, tutt’altro che facile viene riassunta e sviluppata nei capisaldi fondamentali da Durand (Durand, 2003, 2007, 2016; Poizat, Durand, Salini, 2012).

Secondo l’autore, l’attività, tutto ciò che un attore fa all’interno di una pratica sociale, è considerata come una continuità che si trasforma in permanenza sotto l’effetto della sua propria dinamica. Tale dinamica produce dei cambiamenti che affettano sia l’ambiente che l’attore stesso, che a sua volta ne attiva attraverso le sue proprie azioni, di diversa forma: azioni pratiche che realizzano una modifica dello stato dell’ambiente, azioni di comunicazione che portano delle modificazioni dello stato di un altro attore, azioni simboliche, delle emozioni o delle interpretazioni che portano ad una modifica del proprio stato cognitivo.

Queste tre forme di azione si realizzano spesso simultaneamente, collegandosi tra loro in concatenamenti continui o discontinui che costituiscono delle unità di azioni in relazione sequenziale o seriale, concettualizzate di volta in volta come delle emergenze: in quanto tali non sono riducibili né a piani o rappresentazioni cognitive o culturali preesistenti.

Le unità di azione sono l’esito di un processo di azione e percezione dell’attore, in accoppiamento strutturale con l’ambiente; da tale dinamica interazione, chiamata situazione, l’attore seleziona solo quelle informazioni offerte dall’ambiente che sono significative per lui e per l’attività che sta compiendo.

Ciascuna unità di azione emerge come un’unità di significato, specificata dall’attore in ogni istante del corso della sua attività; questa attribuzione di significato si caratterizza come semiosi, ossia una produzione di segni che assumono la valenza di strumenti per interpretare, decidere, emozionarsi, comunicare, convincere….

Una parte dell’ attività realizzata è però inaccessibile all’attore stesso: per esempio alcuni ragionamenti, certe modalità di relazione con altri attori restano al di fuori dal campo della sua coscienza. In ogni caso, comunque, l’attività non è mai totalmente incosciente: l’attore ha una coscienza diretta di ciò che fa, chiamata coscienza preriflessiva (Theureau, 2006), oggetto di un vissuto particolare da parte dell’attore; essa costituisce l’esperienza “qui ed ora” dell’attore che può rendere accessibile attraverso una descrizione, parziale, commentandola in particolari situazioni. L’attività va di pari passo con la coscienza pre-riflessiva in prima persona e segue il flusso dell’attività: l’attore è presente a se stesso mentre agisce.

Nella teoria del corso d’azione, l’apprendimento è definito come inglobato nell’attività, inscrivendosi in principi di ricorsività e trasformazione nel tempo e non è quindi un processo psicologico separato e isolabile dall’azione. L’attore in situazione, trasformando reiterativamente la sua attività attua contemporaneamente un processo di individuazione di sé (Simondon, 1989), trasformando se stesso: distinguendo nell’ambiente oggetti, concreti o astratti, segni significativi per lui, (Peirce, 1931-1958, 1420), se ne appropria, interiorizzandoli, e individuandosi a sua volta. La trasformazione permanente dell’attività comporta un continuativo processo di individuazione da parte del soggetto, in cui si possono distinguere tre stadi, o registri di esperienza: l’attuale, il potenziale (o possibile), il virtuale. Lo stadio attuale è quello in cui l’attore coglie degli indici del reale, che corrispondono a ciò che lui percepisce come significativo per sé in una situazione specifica (degli indici); il possibile è ciò che pensa potrebbe attualizzarsi o meno in una situazione data (le icone, tra cui la metafora); il virtuale è il processo di generalizzazione che permette di prefigurare il futuro e si costituisce come mediazione emergente tra le altre due categorie (Peirce, 1931-1958; Theureau, 2006). L’attore, quindi, durante il processo di appropriazione e individuazione, struttura e comprende l’esperienza percettiva, spaziale, affettiva e socioculturale vissuta, e, grazie alla sua razionalità immaginatrice che gli permette anticipare il futuro e prefigurare le azioni da effettuare (Salini, Durand, 2012) può proiettarsi verso nuove esperienze, ancora vaghe e imprevedibili.

Durante tutto questo processo l’attore agisce in modo simplesso (Berthoz, 2009), grazie ad una capacità neurofisiologica che, nel corso dell’azione, lo mette in grado di appropriarsi degli oggetti esterni prelevando e usando solo le informazioni significative per sé, e consentendogli, in ultima analisi di prendere in carico la complessità di una situazione in modo “elegante”.

2.3.5. Una breve sintesi

Nelle quattro teorie sull’apprendimento illustrate ciascuno degli autori citati fornisce un prezioso contributo nel delineare come l’azione sia fondamentale nell’attivazione di un processo di apprendimento e nella creazione di conoscenza. Dewey introduce il concetto di pensiero riflessivo collocandolo all’interno di un processo esperienziale circolare di

investigazione –ricerca (inquiry). Piaget, dando piena legittimità costruttiva all’azione come fonte di conoscenza, prima ancora della nascita del pensiero, sofferma la sua attenzione sullo sviluppo della concettualizzazione a partire dalla pratica sensomotoria, individuando in particolare la formazione evolutiva di strutture invarianti del pensiero tra cui lo schema, che orientano il soggetto nel rendere più stabile e prevedibile la sua interazione con l’ambiente. Vigotzkji, interessato alla dimensione sociale dell’apprendimento, apre, con i tre concetti cardine di mediazione sociale, mediazione simbolica e zona prossimale di sviluppo, ad una dimensione del soggetto che non solo costruisce il suo sapere, ma lo fa attraverso la mediazione della socialità dell’ambiente, attraverso la costruzione del linguaggio e di un correlato sistema sociale di significati che lo situano all’interno di una comunità di apprendimento.

Theureau e Durand focalizzano il processo cognitivo e di concettualizzazione tra soggetto e ambiente, nell’incontro, nell’accoppiamento strutturale, tra mondo interno e mondo esterno, tra percezione ed azione, tra opportunità dell’ambiente e scopi del soggetto: l’apprendimento è totalmente inglobato nell’attività e contemporaneo ad essa, attraverso processi interattivi di appropriazione e individuazione di sé.

Dopo aver affrontato il tema dello sviluppo della conoscenza dell’individuo, l’obiettivo dei prossimi due paragrafi è quello di individuare come le persone apprendano in contesti specifici, in particolare nelle organizzazioni lavorative e produttive; per poterlo fare, crediamo sia opportuno aprire il tema con una breve riflessione sulla definizione di organizzazione e sull’illustrazione delle principali teorie organizzative.

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