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La relazione tra attività e apprendimento sul, tramite il lavoro e per il lavoro

LA DIDATTICA PROFESSIONALE: METODI, STRUMENTI E TECNICHE PER MIGLIORARE IL RAPPORTO FORMAZIONE-LAVORO

3.2. LA DP: I RIFERIMENTI TEORICI E LE SCELTE METODOLOGICHE

3.1.7. La relazione tra attività e apprendimento sul, tramite il lavoro e per il lavoro

La relazione tra attività e apprendimento costituisce la domanda più fondatrice per la DP: essa corrisponde alla volontà di non dissociare l’attività e l’apprendimento, l’analisi dell’attività e l’analisi dell’apprendimento. Il termine di apprendimento ha due significati a seconda che si tratti di apprendimento incidente, non voluto, oppure di apprendimento intenzionale.

Pastré (2011, pag 258) definisce l’apprendimento incidente come la forma antropologica dell’apprendimento umano, che mostra come l’attività e l’apprendimento siano strettamente legati: non si inscrivono in un‘istituzione dedicata all’apprendimento, ma si svolgono al lavoro, in famiglia o nella vita sociale senza che ci siano “formatori o insegnanti” per progettare o mettere in atto tali apprendimenti; essi si svolgono senza una progressione organizzata, perché gli attori sono immersi nella complessità delle situazioni; non c’è una decomposizione- ricomposizione dell’attività di cui bisogna acquisire padronanza: l’attività costruttiva si fonde con l’attività produttiva, che coincide con lo scopo esplicito dell’azione; la pratica porta in sé una concettualizzazione implicita: il pratico apprende incidentalmente e spesso a sua insaputa, ma può essere anche un pratico riflessivo, senza per questo costruire una teoria sulla sua propria pratica.

L’apprendimento sul campo, sur le tas, comporta dei limiti (ibidem pag 258); non si può imparare tutto e la sua dimensione opportunista lo porta ad essere fortemente dipendente dalle circostanze, dal carattere fortuito degli avvenimenti, ad essere sempre legato alle condizioni di apprendimento che potrebbero anche non presentarsi mai; il suo legame all’aspetto produttivo dell’attività fa sì che questa lasci troppo poco spazio all’errore e quindi ad opportunità di apprendere da esso; per ultimo, il lavoratore si ritrova immerso in una tale complessità che gli impedisce una progressiva appropriazione della situazione.

Si può apprendere dall’azione, ma si può apprendere egualmente tramite l’analisi dell’azione; Marx a questo proposito parla di attività produttiva e attività costruttiva; questa distinzione viene ripresa da Rabardel &Samurcay (2004): agendo, un soggetto trasforma il reale (materiale, sociale o simbolico); ma, trasformando il reale, egli trasforma se stesso; bisogna comunque notare due aspetti: nel lavoro l’obiettivo dell’azione è l’attività produttiva, mentre l’attività costruttiva non è che un effetto, generalmente non, voluto né cosciente, e si arresta con la fine dell’azione; possiamo parlare allora di apprendimento incidente. Non è lo stesso per l’attività costruttiva: essa può proseguire oltre il termine dell’azione nella misura in cui un attore può

riflettere in un momento successivo sull’azione passata, analizzandola retrospettivamente tramite sessioni di debriefing, con la mediazione di un ricercatore-formatore.

In questa prospettiva per l’attore l’attività è generalmente opaca e lacunosa e l’ingresso in una attività di analisi della propria attività costituisce un vero lavoro. Inoltre, non ci può essere analisi senza un quadro di analisi. Ora questo quadro di analisi dell’attività deve essere in grado di cogliere la progressione e le interruzioni dell’apprendimento.

E’ per questo che Pastré riprende il concetto di intrigo che ha trovato nell’opera di Ricoeur (1986) “Temps et récit”; quest’ultima è interessante e feconda per la sua intelligibilità: i soggetti che avevano vissuto gli episodi lavorativi come un insieme di eventi disarticolati possono ora in quanto storici del loro passato, ricostruire gli episodi in un concatenamento intelligibile facendone un intrigo. L’utilizzo dell’intrigo consiste nel configurare gli episodi per trasformarli in una narrazione nella quale ciascun episodio prende il suo senso e il suo posto in rapporto al risultato finale; si passa da una semplice relazione di successione ad una relazione di concatenamento. Ciò avviene in un momento distinto e distante dall’episodio vissuto e gli attori sono liberi dalla preoccupazione dell’agire: l’azione realizzata fa parte del passato, non si può più modificare e la sola cosa che rimane da fare al soggetto è quella di comprenderla facendo un bilancio del suo ruolo rispetto alle sue intenzioni, ai concatenamenti, di casualità e di rischio affrontato.

Un ultimo aspetto da considerare è costituito dalla possibile presenza di tracce oggettive dell’episodio vissuto; ci si richiama ad interviste con il supporto di documenti di riferimento, oppure a video-registrazioni.

Pastré si richiama anche al concetto di ermeneutica di Ricoeur, il cui obiettivo è quello di recuperare e ripristinare un significato che non consiste nel cercare la coincidenza della narrazione con il vissuto del soggetto. La comprensione del comportamento umano si svolge “nella” e “tramite” la distanza: è per questo, afferma Ricoeur, che bisogna “spiegare di più per comprendere meglio”.

Il soggetto, staccandosi dal suo vissuto e dai suoi ricordi grazie anche alle tracce del suo lavoro, può accedere a conoscenze verificate e verificabili.

In questo caso possiamo parlare di apprendimento intenzionale, nel corso del quale si riflette sul lavoro, in un momento distinto e distante dall’azione, si identificano gli eventi fortuiti, le relazioni di causalità, si analizza retrospettivamente ciò che si è fatto tramite sessioni di debriefing, con la presenza di un mediatore, per proporre interpretazioni ipotetiche di ciò che è passato. Identificando gli eventi fortuiti, le relazioni di causalità, si passa dal vissuto alla narrazione, dalla narrazione all’intrigo, dall’intrigo alla concettualizzazione e quindi ad una

generalizzazione, trasferendo le nuove conoscenze in una nuova situazione appartenente ad una determinata classe di situazioni.

L’apprendimento può avvenire infine anche con l’utilizzo dell’analisi del lavoro orientata a costruire dei dispositivi di formazione, come nel caso di apprendimento tramite la figura del tutor aziendale e di apprendimento tramite la programmazione di curricula.

Le diverse situazioni di apprendimento in azienda comportano la presenza di un tutor, incaricato di accompagnare il proprio apprendista, e di un dispositivo centrato sull’apprendimento per imitazione di un esperto. Questa formazione è caratterizzata da alcuni limiti che non consentono di valorizzare in modo efficace la dimensione costruttiva dell’attività. Il tutor in questo caso non è un formatore: non possiede i mezzi per ricostruire l’attività svolta e consentire un’entrata progressiva nella complessità lavorativa. Risponde alle domande dell’apprendista, ma non è chiamato a costruire una teoria della sua pratica. L’apprendimento è strutturato in funzione del compito da eseguire, con il rischio che la difficoltà del compito superi talvolta la capacità effettive dell’apprendista di trovare soluzioni soddisfacenti. Il tutor stesso può spesso trovarsi in situazioni in cui non possiede pienamente la padronanza della teoria e incontrare difficoltà nella trasmissione della dimensione cognitiva del compito: può mostrare allora come comportarsi quando ci si trova in una posizione di ricerca euristica. Il dispositivo ci permette di superare i limiti dell’apprendimento incidente, ma il processo di apprendimento rimane funzionale all’azione in una situazione data; non siamo in presenza delle condizioni per trasformare l’errore in una attività costruttiva dell’apprendimento fondata su una ricostruzione dell’attività in vista dell’apprendimento.

L’apprendimento tramite la programmazione curriculare può essere progettato sia come dispositivo per l’acquisizione di un sapere specifico che come dispositivo per l’acquisizione dell’attività in situazione. Nel primo caso l’apprendimento di un sapere coincide con la teoria di una pratica (Pastré, 2011 pag 263) e prende la forma quindi di un apprendimento dai testi (apprentissage des textes); nel secondo caso viene concepito come una programmazione che permette una gestione dell’ingresso del soggetto in apprendimento nella complessità della situazione e in cui si cerca di articolare l’attività in situazione in saperi da mobilizzare.

Dal punto di vista della DP, Pastré parla di dispositivi curriculari basati sulle situazioni, secondo un paradigma esplicitato da Brusseau (Pastre, 2011, pag 264) per cui un insegnante non ha la funzione di trasmettere un sapere ma di farlo costruire dagli allievi. La sua attenzione sarà incentrata sugli ostacoli epistemologici presenti nella rappresentazione dell’allievo e lo spingerà a scegliere tra tutte le strategie a disposizione quella ottimale, che lo obbliga a mobilizzare i saperi che vuole fargli acquisire. Quando una situazione è stata scelta appositamente, l’allievo sarà chiamato ad apprendere da quella situazione.

L’obiettivo di Brusseau era la costruzione di un dispositivo per l’acquisizione di un sapere, mentre in DP l’obiettivo del dispositivo di FC è l’acquisizione di un’attività all’interno di una situazione che presenta tutta la sua complessità.

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