1.4. UNA NUOVA FORMAZIONE
1.4.1. Linee guida per una nuova formazione
Il quadro complessivo delineato giustifica la presa di posizione delle istituzioni europee che esprimono indicazioni molteplici tese a considerare maggiormente gli apprendimenti non formali e informali e a investire in nuovi spazi/ambienti di formazione “nel” e “tramite” il lavoro.
Da oltre 15 anni infatti tutte le iniziative dell’Unione Europea, dal quadro strategico di Lisbona al Comunicato di Bruges e, infine, alla Strategia Europa 2020, mettono l’accento sul miglioramento della qualità dell’educazione-formazione nella prospettiva di rendere gli individui attori dello sviluppo delle proprie competenze.
Ciò mette in evidenza l’importanza della formazione associata allo sviluppo delle competenze: la formazione in quanto spazio autonomo deve affrontare la sfida di migliorare l’efficacia della sua relazione con il lavoro rendendo più porose le frontiere tra formazione e lavoro.
Malgrado l’importanza di queste sfide e l’interesse di cui è oggetto, l’apprendimento “nel”- “tramite” il lavoro fatica ad essere considerato in modo diverso da quello subordinato all’insegnamento formale: il luogo di lavoro deve permettere l’applicazione di ciò che è stato appreso da qualche altra parte; ciò deriva dal discredito dell’apprendimento sul luogo del lavoro caratterizzato dalla mancanza di programmi prescritti, da docenti non qualificati e dalla centralità del singolo individuo piuttosto che del collettivo di discenti (Billet et al., 2008).
La formazione richiede un ripensamento per una sua nuova impostazione a partire dal riconoscimento della complessità delle condizioni che caratterizzano i contesti più significativi della formazione professionale.
Queste condizioni portano ad un continuo aggiornamento delle conoscenze tecniche su cui si basano le attività formative e allo stesso tempo una comprensione non superficiale delle esigenze da soddisfare e quindi la continua rielaborazione delle strategie di rapporto sia con i clienti, sia con la molteplicità degli stakeholders presenti nel campo. Rispetto ai primi diventa sempre più pressante il senso di responsabilità a fronte di situazioni in cui non sono solo in gioco conoscenze formalizzate ma anche necessità di sviluppo personale e organizzativo. Rispetto ai secondi cresce l’esigenza di intrattenere rapporti che siano allo stesso tempo cooperativi e propositivi. Gli sviluppi di competenza più rilevanti appaiono in questa prospettiva non solo quelli legati all’efficienza astratta e all’applicazione di procedure standardizzate ma piuttosto quelli che consentono di trattare situazioni reali e di istaurare a più livelli relazioni efficaci.
La formazione deve, quindi, ripensarsi epistemologicamente per affrontare 5 tipi di evoluzione (Solveig Oudet, 2004).
Scendere sul campo
La formazione deve spostarsi sempre più sui luoghi della produzione, diventare su misura, taylor made, dentro le imprese; questo fenomeno si spiega con il fatto che le imprese cercano una formazione operativa che risponda alle esigenze immediate del lavoro. Ciò dà luogo a formazioni in cui gli apprendimenti sono fortemente contestualizzati, portando la formazione ad interagire strettamente con il lavoro e la pratica diventa la via principale per formare e formarsi. La logica della pratica parte dal flusso dell’azione e la formazione deve essere in grado di dotare l’individuo di capacità definite nella complessità delle situazioni reali (Fabre, 1994).
Considerare il valore formativo del contesto e dell’organizzazione di lavoro
L’ambiente di lavoro ha un valore formativo strategico per l’apprendimento: le organizzazioni che apprendono dimostrano che, agendo sull’organizzazione del lavoro, si possono generare apprendimenti influenzando le modalità di funzionamento del lavoro collettivo, come le isole di produzione, l’organizzazione per progetti, che portano a ripensare agli aspetti di autonomia, iniziativa e presa di responsabilità collegati al lavoro, e possono favorirne lo sviluppo.
Gli studi sulle nuove organizzazioni del lavoro mostrano che il problema delle competenze non è un tema di responsabilità della sola formazione, e che, quindi, una formazione per lo sviluppo delle competenze in situazione di lavoro deve considerare non solamente gli aspetti tecnici e materiali del lavoro, ma anche le condizioni sociali (stile di management degli uomini, politiche di riconoscimento e validazione delle competenze, sistemi di gestione delle competenze…) economiche (caratteristiche dell’ambiente, mercati, attività dell’impresa) e organizzative (sistemi di gestione della produzione, sistema gerarchico, divisione e coordinamento del lavoro…).
Considerare il valore formativo delle situazioni di lavoro
Le nuove situazioni di lavoro, a certe condizioni, posseggono un potenziale di apprendimento: per poterle affrontare e sfruttare l’individuo deve mettere in opera processi di sperimentazione che gli permettano di accedere ad un patrimonio di risorse tacite, incorporate, in grado di condurlo ad adattare e trasformare la propria azione interagendo attivamente con la situazione per modificarla. Al “luogo del lavoro”, interpretato come spazio-tempo di apprendimento, possono infatti essere assegnati due obiettivi principali:
-l’acquisizione di esperienza contribuisce ad una preparazione all’ingresso al mondo del lavoro; -l’esperienza acquisita incoraggia, successivamente, lo sviluppo delle capacità intellettuali e procedurali, garantendo il miglioramento progressivo delle performance nell’attività lavorativa.
Il percorso biografico dell’individuo (le sue esperienze professionali, personali e sociali) influenza la capacità di generare apprendimenti in situazione di lavoro: il vissuto di un evento può diventare esperienza e l’esperienza può diventare un ricco bacino di apprendimenti, di acquis, cui fare riferimento per la loro mobilizzazione consapevole in nuove situazioni da affrontare.
Guidare lo sviluppo di un soggetto epistemico e capace di agire
Le imprese vorrebbero poter contare su individui capaci di andare oltre al fare o a un saper fare, per tendere verso un saper agire, un saper scegliere, ricreare consapevolmente responsabilmente e in autonomia, le buone strategie e prendere le buone decisioni. L’obbedienza richiesta in un’organizzazione taylorista che obbliga gli individui a dare risposte stereotipate e standardizzate deve lasciare il passo alla capacità di sapersi prendere carico delle situazioni di lavoro nella loro complessità e globalità; l’approccio ai problemi deve essere sistemico, piuttosto che sequenziale con una maggior ingerenza delle operazioni astratte (coordinamento dell’azione e del pensiero). Oggi è possibile superare la prospettiva, che considera i saperi dell'esperienza come saperi di categoria inferiore, per accedere invece ad una visione ricca del "conoscere in azione" (knowing), che fa apparire le conoscenze esplicite archiviabili come una parte certamente non trascurabile, ma appunto "parte" della conoscenza; esse devono proprio alla vitalità del "conoscere in azione" la possibilità di essere mobilizzate e interiorizzate da parte dei soggetti.
Se i percorsi formali di insegnamento-apprendimento prevedono prima un avvicinamento ai saperi e dopo l'esperienza, come campo di applicazione di tali saperi, i percorsi di formazione professionale dovrebbero privilegiare la via induttiva, che parte dall'esperienza ma non si ferma all'esperienza, perché guida, attraverso la creazione di adeguati spazi di riflessione e di pensiero, a rendere consapevoli e a padroneggiare i saperi che nell'esperienza sono implicati o dall'esperienza generati. Paradossalmente, al maturare di queste nuove prospettive di trasformazione, che comportano una rivalutazione "culturale" del lavoro, corrisponde attualmente, almeno nel contesto europeo, un processo di profonda trasformazione del lavoro; rendendolo sempre più incerto, flessibile, precario e imprevedibile, tale trasformazione rischia di svuotarne proprio la potenziale valenza umanizzante e formativa. L'auspicio di chi scrive è che la rinnovata scoperta del lavoro come attività densa, da cui si può molto imparare, possa ispirare politiche sociali, economiche e formative tese a costruire le condizioni perché il lavoro venga vissuto come spazio in cui svilupparsi personalmente, infittire di relazioni il tessuto sociale e garantire cittadinanza per tutti.
In sintesi risulta necessario concepire nuove pratiche di formazione per rendere il lavoro formatore; ciò significa puntare sia su di un avvicinamento che su di un allontanamento tra formazione e lavoro: avvicinamento, tramite formazione sul luogo di lavoro, forme varie di tutorato e di
consulenza, mentoring, coaching; allontanamento, tramite analisi di pratiche, scambio di pratiche, trasferimenti di esperienza, didattica professionale.
Una nuova visione della formazione, una nuova lettura epistemologica del sapere, un soggetto attivo nel trasformare l’ambiente trasformandosi a sua volta, sono tutti elementi che favoriscono l’emersione di uno spazio intermedio di collaborazione tra formatori, ricercatori e lavoratori sfumando la dicotomia classica: il lavoratore non è più un soggetto che solo conosce, ma diviene un soggetto capace di agire; il ricercatore abbandona la sua posizione avanzata/esposta per adottare una postura più modesta che mira a comprendere e conoscere le pratiche; il formatore traspone le situazioni di lavoro portatrici di un potenziale di apprendimento in situazioni di apprendimento.