APPRENDIMENTO E RIFLESSIONE NELL’INDIVIDUO E NELLE ORGANIZZAZION
2.7. UN NUOVO RAPPORTO TRA RICERCATORE, PRATICO E ORGANIZZAZIONE
2.7.2. La ricerca-intervento nelle organizzazion
Il termine ricerca-azione (RA) non è esclusivo della ricerca organizzativa né, del resto, nasce in questo ambito. Lo ritroviamo in molti altri campi della ricerca empirica: sociale, psicologica e psico-pedagogica. Il principio di fondo, costituto dall’idea che si può conoscere veramente una realtà solo modificandola, è stato esposto sistematicamente per la prima volta negli anni Quaranta da Kurt Lewin e dai suoi collaboratori del Centre for Group Dynamics del MIT e vede la sua formalizzazione con la pubblicazione della sua proposta metodologica nel testo del 1946. Secondo Lewin l’intervento consente l’interpretazione dei fenomeni, ma l’interpretazione è resa possibile dalla “collaborazione“ tra ricercatore e attori reali, superando in questo modo il paradigma razionalista che articolava l’agire subordinato al pensiero, e conseguentemente, ad una distanza tra ricercatore e soggetti d’indagine. Capecchi precisa bene il fondamento epistemologico del pensiero di Lewin descrivendo la RA composta da “una spirale di passaggi, ciascuno dei quali è formato da un processo ciclico di programmazione, azione e indagine sui risultati dell'azione. Questo tipo di ricerca funziona solo se si realizza una collaborazione stretta tra i diversi attori coinvolti nel processo di ricerca e azione” (Capecchi, 2008, pag. 20).
Si può notare l’influenza delle teorie filosofiche e psicologiche che hanno accompagnato il percorso di ricerca di Lewin, dalla psicologia dell’atto di Brentano alla Gestalt, dal funzionalismo pragmatista americano alla Scuola di Chicago, oltre alla psicologia russa storico-
culturale, con i cui esponenti Lewin aveva avuto contatto negli anni berlinesi, che iscrive il suo lavoro in un paradigma non più razionalista ma più orientato al costruttivismo e interazionismo (Liu, 1997).
La ricerca-intervento (RI), adottando una definizione in senso ampio, affonda le proprie radici nella pluriennale esperienza della ricerca-azione e nel moto di rinnovamento epistemologico e metodologico che con essa ha coinvolto le posture del ricercatore e dei soggetti della sua ricerca, intervenendo nel modificare i confini tra teoria e pratica.
Un excursus storico educativo-formativo
Guardato in senso ampio, il lemma RI tende a sovrapporsi ad altri che designano approcci più o meno contigui, come “la ‘ricerca cooperativa’ aziendale di Lippit e Lippit (1978), la ‘ricerca partecipativa’ di Whyte (1991) che segue il modello socio-tecnico dell’umanizzazione delle organizzazioni, l’action science di Argyris, Putnam e Smith (1985) che si situa nella consulenza di processo, l’empowerment di Rappaport, Swift e Hess (1984) che si occupa del potenziamento delle capacità individuali degli attori, l‘intervention sociologique di Touraine (1984), il socio- dramma etc…
La riflessione sui rapporti tra teoria organizzativa, ricerca e intervento nelle organizzazioni di lavoro è assai ampia e tocca la grande maggioranza delle scuole, discipline e prospettive che a vario titolo si occupano di organizzazione. In questo ambito, più che in altri, è da sempre prevalsa una particolare inclinazione alla ricerca applicata, che ha quindi come obiettivo principale l’utile, accanto a quella pura che guarda primariamente al vero. Lo testimonia il fatto che proprio in ambito organizzativo troviamo una ricca messe di proposte metodologiche che tentano di tenere insieme teoria, ricerca e prassi: analisi organizzativa da un lato, progettazione, cambiamento e valutazione dall’altro.
In questa direzione, tra le esperienze fertili alla nascita della prospettiva della ricerca azione, oltre all’esperienza lewiniana si pone quella condotta da Mayo nel 1929 alla Western Electric Compan: essa ha affrontato una forma di collaborazione tra ricercatori e operai che ha riformulato la questione oggetto dell’indagine, l’assenteismo, grazie alla presa in conto della parola di questi ultimi (Albaladejo &Casabianca, 1997).
In ambito organizzativo, nell’evoluzione della RA, un altro lavoro significativo è quello condotto da Jaques in Gran Bretagna presso la Glacier Metal Company. Il ricercatore in questo lavoro guarda l’impresa nel suo insieme non rivolgendosi esclusivamente alla Direzione committente, ma imponendo per tutta la durata della ricerca una trasparenza nei passaggi tra le varie componenti dell’organizzazione, che, se da un lato riduce la distanza tra ricercatore e oggetto d’indagine, dall’altro orienterà l’attività di Jacques verso la dimensione psico- sociologica (Jacques, 1951 citato in Kaneklin, 2006). In effetti la psicologia clinica e
l’approccio psicanalitico influenzeranno negli anni sessanta molti dei progetti di ricerca-azione condotti presso le organizzazioni, in particolare le esperienze statunitensi, canadesi, francesi e, successivamente, italiane.
In Italia numerose RI, di orientamento anche diverso da quello del Tavistock, sono state svolte nell’industria negli anni Settanta, in buona parte come tentativo di riposta alla forte conflittualità che connotava in quegli anni le relazioni tra sindacati dei lavoratori e imprese; all’incirca nello stesso periodo, in alcuni casi già alla fine degli anni Sessanta, sorgevano istituti e centri per la RI (Studio Staff, Rso ecc.), alcuni dei quali ancora oggi operanti per lo più come centri di consulenza e formazione. Nel panorama attuale sono presenti anche enti e fondazioni nati successivamente, ma che in qualche misura attingono al patrimonio delle esperienze realizzate negli anni Settanta.
Non possono non essere citate le ricerche a mobilitazione interna promosse dagli anni Settanta da alcuni settori del sindacato, più sopra illustrati. Si avvicinano per alcuni significativi aspetti le esperienze avviate da Oddone, Marri e alcuni gruppi sindacalizzati di operai alla Farmitalia e alla Fiat negli anni Sessanta (Oddone, Re, Briante, 1977).
Kaneklin (2006) rintraccia alcune esperienze di sviluppo della RA, ponendo attenzione al percorso avviato negli anni Sessanta da Enzo Spaltro conducendo a due proficue piste di indagine, quella sul gruppo e quella sulla formazione degli adulti. La ricerca-azione ha infatti costituito un’opportunità preziosa di aggregazione per i primi gruppi sperimentali di formazione che hanno potuto beneficiare dell’incontro con altri partecipanti provenienti da organizzazioni differenti, per ragionare insieme su temi a loro prossimi riguardanti le relazioni lavorative o la vita delle organizzazioni di appartenenza. Gli attori dell’indagine vengono riconosciuti quali veri esperti delle problematiche in cui sono coinvolti e considerati a tutti gli effetti protagonisti e attori del cambiamento, dunque dell’azione.
Sempre in Italia, sono rilevabili gli apporti più recenti di Gilardi e Bruno (2006) che ricostruiscono lo stato dell’arte dell’action-research negli studi organizzativi: analizzando i contributi internazionali sul tema pubblicati dalla fine degli anni ‘90 sottolineano come il processo di conoscenza avvenga nella centralità dell’azione, che prende avvio da una problematica presente nel contesto lavorativo o sociale ed è orientata all’elaborazione condivisa di opportunità per un suo miglioramento o per il superamento degli stili consolidati.
Sono rilevanti anche le esperienze di ricerca e le riflessioni metodologiche condotte, da tre decenni, nell’ambito del Programma interdisciplinare di ricerca “Organization and Well- Being”, fondato e coordinato da Bruno Maggi, con sede attualmente presso l’Università di Bologna. Sullo sfondo di questo Programma c’è una concezione di organizzazione come processo di decisioni e azioni a razionalità limitata, rintracciabile in alcuni contributi classici
della sociologia e della teoria organizzativa (tra cui Max Weber, Herbert Simon, James D. Thompson), sulla cui base si fonda un ricco e sistematico apparato concettuale definito dal suo proponente “Teoria dell’Agire Organizzativo” (Maggi, 1984-1990; 2003; Maggi, Albano, 1996).
Per quanto riguarda le esperienze francesi, quelle pionieristiche a partire dagli anni ‘60 aprono ad esperienze di intervention psychosociologique (Monceau, G.,1996), che per Dubost (1987) e Levy assume la forma di analyse sociale, per Lourau quella dell’intervention socioanalytique e per Menderl i tratti della sociopsychoanalyse institutionelle all’interno delle organizzazioni. Ardoino (Ardoino, J., Dubost, J., Lévy, A., Guattari, F., Lapassade, G., Lourau, R. & Mendel, G. 1980), in quegli anni, coordina un testo, “L’intervention institutionelle”, che celebra la diffusione di questo approccio all’analisi organizzativa fondato sull’apporto della psicoanalisi e su dinamiche eminentemente terapeutiche, finalizzate all’emersione, nei soggetti dell’organizzazione, di elementi latenti a livello sia interpersonale che di strutture stesse dell’organizzazione; definisce inoltre “la notion d’intervention (…) comme une démarche ou moins systématique effectuée, à titre onéreux, au moins professionnel, par un ou plusieurs praticiens, à la demande d’un client, géneralement collectif (groupe, organisation ou institution) pour contribuire à libérer ou susciter des forces, jusque là inexistentes ou potentielles, parfois bloquées, en vue d’un changement souhaité15“.
Gli anni ‘80 costituiscono il momento di maggiore diffusione di tale approccio, ma anche il momento di graduale rivisitazione e attenuazione delle sue componenti politicamente militanti. Tra le esperienze francesi tre suscitano l’interesse del presente lavoro di ricognizione storica una è riferita al filone di RA dell’intervention sociopédagogique, guidato da Schwartz con Meignant e Le Boterf, ispirata ai lavori italiani di Oddone: da tale esperienza emerge la centralità della formation-action, che riconosce alla ricerca, alla formazione e all’azione, pur nella complessa articolazione dei tempi e delle modalità di ciascuna, il merito di rendere possibile, grazie al loro intreccio proficuo, la soluzione di problemi o l’avvio di progetti in seno alle organizzazioni. Nella sua demarche ergologique Schwartz individua un dispositivo dinamico a tre poli (Schwartz, 2000: 719): i saperi sistematizzati, i saperi detenuti dai protagonisti delle attività organizzate, la volontà di favorire un incontro intellettuale e sociale. Altre due importanti esperienze francesi si avvicinano, seguendo un percorso del tutto diverso, al tipo ideale della ricomposizione analitica. Una è l’esperienza dell’équipe Ergape della Unité Mixte de Recherche Apprentissage, Didactique, Evaluation, Formation, con sede presso l’Università di Aix-Marseille, che studia le attività di insegnamento e apprendimento nelle
15 La nozione di intervento come un percorso sistematico professionale, a titolo oneroso, da uno o più pratici, in funzione della domanda di un
classi ‘”difficili” analizzando le situazioni di lavoro con la “Méthode d’Auto-Confrontation”, metodo proposto dal linguista Daniel Faïta (1989) alla fine degli anni ‘80. Questo metodo, che si ispira fortemente alle nozioni di “dialogo” e “rapporto dialogico” del Circolo di Bachtin, consiste in un esame (auto-confronto) che un operatore fa della sua stessa attività, opportunamente video-registrata.
La seconda esperienza, relativa al metodo, che vogliamo citare è connessa a quella precedente: si tratta della “Clinica dell’attività”, condotta da un’équipe di ricerca legata alla cattedra di Psicologia del lavoro del CNAM di Parigi, di cui è titolare Yves Clot. Essa parte dalla netta distinzione tra attività realizzata e attività reale: “ciò che un soggetto realizza nel corso della sua attività costituisce una parte assolutamente ridotta di quella attività [...] L’azione, il gesto, la scelta che uno avrebbe voluto fare ma che non ha potuto o non è riuscito a fare [...], sono momenti dell’attività [...] Tali “sospensioni” permangono nell’agire soggettivo e collettivo come dei possibili in attesa di realizzazione” (Scheller, 2006, pag. 11).
I riferimenti a Schwartz e Clot ci avvicinano a considerare la vicinanza di intenti con la presente ricerca.
I contributi applicativi e di riflessione più recenti sugli attuali lineamenti assunti dalla ricerca- intervento nelle organizzazioni evidenziano la molteplicità di assunti filosofici e di presupposti epistemologici da cui derivano approcci alla RI polimorfi che poggiano su lineamenti estremamente vari e apportano a questa metodologia numerose definizioni: da partecipativa a sperimentale, da induttiva a decostruttiva (Cassel&Johnson, 2006).
Questa molteplicità di prospettive ha portato alcuni autori a rintracciare i tratti distintivi delle attuali modalità di concettualizzare tale metodologia e di metterla in atto. Infatti, nonostante questo quadro di variabilità costi alla RI il rischio di un incombente relativismo e la critica da parte della comunità scientifica di un debole rigore metodologico (Cappelletti, 2010), i risultati che permette di portare evidenziano come indubbie la vitalità e la generatività di tale metodologia e delle sue pratiche. (Carrier&Fortin, 2003).