1.3. IL DISTRETTO INDUSTRIALE “RIVIERA DEL BRENTA”
1.3.5. La sfida dell’internazionalizzazione
Benché i meccanismi di apprendimento collettivo consentano al sistema locale di svolgere la funzione di moltiplicatore cognitivo, rimane comunque poco plausibile ipotizzare che i distretti industriali possano reggere la competizione attraverso l'auto-sufficienza cognitiva, utilizzando solo il patrimonio di conoscenze contestuali generate internamente, senza accedere anche alla modalità di internazionalizzazione di conoscenze prodotte dall'esterno.
Nel quadro delle diverse forme distrettuali presenti sul nostro paese un interrogativo teorico importante concerne le conseguenze che l´entrata di imprese internazionalizzate esterne può determinare sul futuro dei distretti italiani. Da un lato, le multinazionali portano nuova conoscenza, danno accesso a reti globali di scambio e spingono altre aziende ad investire nel distretto rafforzandone la visibilità esterna. Dall´altro lato, questo stesso effetto di propulsione al cambiamento, se non opportunamente gestito, rischia di condurre a un´eccessiva polarizzazione fra le imprese distrettuali agganciate ai circuiti di sviluppo transnazionali e la restante compagine produttiva locale, minando l´identità e la natura sistemica del distretti.
Dotate di una grande capacità di lettura delle esigenze stilistiche, dei gusti e delle tendenze di cambiamento nel settore, le griffe internazionali hanno progressivamente aumentato la richiesta alle aziende produttrici di prodotti innovativi nei materiali, nella lavorazione, nella messa a punto di sistemi produttivi: piccoli ordini raramente ripetibili, un maggior numero di collezioni per anno (4 all’anno per griffe rispetto alle storiche due annuali), altissima variabilità di modelli all’interno di una collezione, complessità e difficoltà crescente (+ di 200 componenti per fare una scarpa di lusso), scarsa coerenza interna dei modelli all’interno della collezione, maggiore discontinuità dei modelli di stagione in stagione.
L’esigenza di mantenere i trend di mercato di un settore in continua evoluzione e una inadeguata consapevolezza e competenza delle implicazioni tecniche e funzionali legate ad una realistica realizzabilità produttiva delle idee stilistiche, hanno determinato per le aziende del settore un difficile e necessario cambiamento nel ripensare il processo di progettazione e di produzione al fine di garantire una qualità di prodotto competitivo e sostenibile economicamente.
La nuova situazione del mercato comporta diversi problemi e sfide che interessano tutti gli attori coinvolti nella filiera produttiva e i servizi ad essa collegata: l’azienda stessa, i lavoratori e gli interessati a lavorare nel settore, gli attori che offrono formazione e servizi al lavoro.
I cambiamenti organizzativi conseguenti nelle imprese del distretto
La soluzione del sistema industriale di produzione nel settore di mercato dell’alta moda, adottata per garantire negli anni le grandi produzioni che l’artigianato non era in grado di sostenere, richiede
ancora una volta alle PMI del settore calzaturiero un cambiamento nell’innovazione dei processi, a livello sia di progettazione-sviluppo che di produzione:
- i tempi che intercorrono dalla progettazione alla consegna della produzione (progettazione, sperimentazione e messa a punto del modello) sono sempre più brevi, al massimo 2 mesi, compresi i tempi di ordinazione dei componenti;
- gli ordini non seguono più il ciclo completo dalla progettazione alla produzione: possono arrivare ordini di prototipi, campioni e di modelli completamente diversi; in produzione possono arrivare ordini che sono stati oggetto di costruzione di prototipi e campioni non da parte dell’ dell’azienda, ma di altri terzisti;
i quantitativi richiesti sono di piccoli lotti di modelli e spesso non permettono di coprire l’investimento di tempo e ricerca in fase di progettazione;
la gestione del processo produttivo non è sempre uguale per i vari modelli (di ciascun modello può essere richiesto il prototipo, il campione o la produzione).
Per poter garantire contemporaneamente la differenziazione dei prodotti e un elevato livello di qualità, le PMI devono: introdurre innovazioni nelle soluzioni organizzative e realizzative contemporaneamente in tutti i processi aziendali: Progettazione, Sviluppo e Industrializzazione, Pianificazione, Supply-chain, Produzione; passare da una visione funzionale, basata su una prospettiva taylorista, prescrittiva, ad una nuova organizzazione del lavoro basata sui processi, per famiglie di prodotto; valutare l’efficacia della performance del singolo operatore non sulla base della realizzazione di un semilavorato, con un gesto preciso, ripetuto, specifico, bensì sulla capacità di autoregolazione dell’azione all’interno di un nuovo processo organizzativo (organizzazione a isole di produzione in cui la divisione del lavoro avverrà per famiglie di prodotto).
Il nuovo fabbisogno di competenze
Nelle condizioni sopra descritte la nuova organizzazione del lavoro determina un cambiamento delle condizioni lavorative che coinvolge, in una necessaria trasformazione, i diversi livelli gestionali ed operativi aziendali.
Le situazioni lavorative sono caratterizzate da una elevata variabilità che richiede all’operatore soluzioni di problemi inediti, non prevedibili, mai affrontati prima, da risolvere sul posto di lavoro sulla base della revisione, selezione e innovazione del repertorio di soluzioni individuate e utilizzate precedentemente, per raggiungere il risultato atteso.
Il sempre più frequente debordare dai compiti prescritti lavorativi sollecita un ripensamento del lavoro privilegiando l’analisi e l’individuazione delle informazioni pertinenti in grado di orientare la presa di decisione e determinare la conseguente azione.
D’altro canto, la sempre più stretta interdipendenza tra singoli posti di lavoro e il collettivo coinvolto nel medesimo processo lavorativo, comporta per il singolo operatore una maggiore responsabilità: comprendere le informazioni necessarie per svolgere il proprio e l’altrui compito lavorativo.
Questi cambiamenti richiedono alla gestione delle risorse umane di ripensare congiuntamente il contenuto delle mansioni lavorative e la valorizzazione, attraverso un’opportuna formazione, delle dimensioni soggettiva e collettiva dell’attività, che celano un potenziale di apprendimento da riconoscere e valorizzare; i nuovi compiti lavorativi degli operatori presuppongono:
- a livello tecnico di realizzazione della pratica, polivalenza ed elevata specializzazione contemporaneamente;
- a livello sociale, autonomia e responsabilità nei confronti dei pari nella gestione del proprio compito e nell’autoregolazione della propria azione; capacità di condurre dei problem setting condivisi per realizzare un problem solving collettivo;
- a livello organizzativo, l’introduzione di figure con competenze multiple capaci di giocare ruoli di coordinamento e innovazione tra i diversi processi.
Diversamente da quanto i cambiamenti sopra descritti richiederebbero, si rileva ancor oggi nel complesso nelle aziende del distretto una carente consapevolezza del valore dei saperi sviluppati all’interno dell’impresa, del valore del capitale umano nel problem solving e della necessità di capitalizzare i saperi aziendali: la scarsa cultura delle imprese nei processi riguardanti lo sviluppo organizzativo non supporta sufficientemente né la valorizzazione della naturale e connaturata capacità di innovazione interna, né la sua trasmissibilità e trasferibilità ad altre situazioni problematiche in azienda.
Un altro problema è costituito dal ricambio generazionale che rischia di diventare il reale ostacolo alla continuazione di una produzione artigianale-industriale di eccellenza. Per i lavoratori ancora all’interno dell’organizzazione del lavoro, ed ivi cresciuti, l’expertise maturata rischia di perdersi in conseguenza delle numerose e imponenti operazioni di innovazione tecnologica e delle nuove logiche produttive: se non adeguatamente supportate nella esplicitazione, formalizzazione, capitalizzazione e trasformazione, le competenze tacite degli attuali lavoratori, esperti e non, rischiano di diventare presto obsolete e di non riuscire ad attraversare il cambiamento e l’adattamento richiesto.
Inoltre, l’inserimento di nuovo personale richiede dei tempi di accesso sul posto di lavoro troppo lunghi a causa di pratiche di trasmissione delle conoscenze senior –novizio tradizionali poco efficaci (es. per imitazione); alcuni mestieri cruciali trovano difficoltà di reperimento sul mercato
del lavoro di operatori (es. quello dell’orlatrice) a causa di una scarsa pianificazione strategica del fabbisogno lavorativo.