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APPRENDIMENTO E RIFLESSIONE NELL’INDIVIDUO E NELLE ORGANIZZAZION

2.7. UN NUOVO RAPPORTO TRA RICERCATORE, PRATICO E ORGANIZZAZIONE

2.7.3. Il legame tra teoria prassi, ricercatore-pratico nella R

Entrando nel merito delle caratteristiche peculiari che una RI deve possedere ci riferiamo a Grandori (1996, citato in Albano, 2012) che, nel costruire una definizione di RI applicabile al campo delle scienze umane e organizzative, individua almeno le seguenti tre caratteristiche: uno stretto legame tra teoria e prassi, tale da configurare un’epistemologia del conoscere trasformando e viceversa; un approccio partecipativo, nel senso che per produrre conoscenze capaci di incidere effettivamente nella pratica organizzativa è necessario perseguire una collaborazione attiva, in tutte le fasi della ricerca, dei soggetti che sono oggetto di indagine, piuttosto che tentare di minimizzare la loro influenza sul disegno della ricerca; una

partecipazione estesa a tutti i livelli organizzativi, bassi e alti; l’intervento deve toccare anche il disegno complessivo e le modalità di governo e regolazione dei processi organizzativi.

Albano (2012) sostiene la necessità di integrare questa definizione, prendendo in considerazione le diverse prospettive epistemologiche e le relative prospettive conoscitive sottostanti, che affrontano il legame tra teoria e prassi e declinano in molti modi lo stesso concetto di “partecipazione”: ricercatore e oggetto di ricerca sono entrambi entità fatte di capacità cognitive, emozioni, che guidano le azioni scelte in base ai propri valori. Questo aspetto può essere visto come fonte di disturbo, da controllare o, viceversa, come elemento essenziale da valorizzare.

Il rapporto tra ricercatore e oggetto di ricerca viene trattato tradizionalmente nei più diffusi testi di metodologia, riallacciandosi al dibattito che da più di un secolo vede gli oggettivisti (o positivisti, compresi neo- e post-) contrapposti ai soggettivisti (o interpretativisti). Albano individua due soluzioni tradizionali accomunate dal dualismo “ricercatore-oggetto” e le etichetta come soluzione naturalista, di matrice oggettivista e soluzione della doppia ermeneutica, di matrice soggettivista (ibidem).

Accanto a queste ne identifica altre due importanti per superare, nel discorso sulla RI, la posizione dualistica, anche se riconosce siano meno diffuse nella letteratura metodologica e meno applicate perché ancora in fase di stabilizzazione e presentino dei nodi metodologici ancora da sciogliere: le due posizioni si pongono con un atteggiamento di ricomposizione del rapporto di ricerca-oggetto, affermando l’esistenza di reali spazi di autonomia dell’oggetto nella ricerca.

Chiama la prima soluzione della ricomposizione sintetica, collocandola come polarità estrema all’interno della soluzione soggettivista; la seconda soluzione della ricomposizione analitica, pensabile solo in opposizione alla dicotomia oggettivismo / soggettivismo e quindi nel solco della terza via epistemologica (ibidem).

La ricomposizione sintetica si colloca ancora all’interno della reazione antipositivista: la realtà è una costruzione sociale, il cui senso va decodificato a partire dalla soggettività degli attori basandosi sull’autoanalisi dei vissuti soggettivi dei partecipanti di un’organizzazione.

Nella ricerca intervento sull’agire organizzativo, quindi, si tratta di una ricerca non sugli attori organizzativi, ma con gli attori il registro ermeneutico è quello dei nativi depositari del sapere che sono considerati soggetti autonomi e autosufficienti nel fare ricerca su se stessi.

Per il ricercatore si tratta di un processo che lo porta ad immedesimarsi con l’oggetto di ricerca, stare dalla parte dell’oggetto e adottare il suo punto di vista, valoriale e cognitivo, assumendo il ruolo di facilitatore del dialogo tra i nativi affinché emerga dal loro confronto interno un’interpretazione autentica e adeguata della situazione.

Il ricercatore facilita uno spazio dialogico nuovo, che permette agli attori organizzativi di fare autoanalisi dei vissuti soggettivi e di riflettere collettivamente sull’esperienza del gruppo e della comunità. Riferimenti di questo tipo si possono trovare in tutte le esperienze in cui il ricercatore è un ricercatore militante quando la posta in gioco concerne i rapporti di dominazione e il tentativo di ridefinirli.

Finché è considerato un attore esterno, il ricercatore ha una funzione di catalizzatore, è occasione di riflessione delle comunità di pratica, con l’obiettivo di far prendere coscienza agli attori interni, i quali diventano da oggetti di ricerca soggetti che acquisiscono autonomia, evitando la delega ai tecnici della ricerca, l’analisi della propria condizione attuale e dei possibili cambiamenti.

In questa fase, il ricercatore non ricorre agli schemi accademici e tradizionali; è attraverso l’analisi del vissuto quotidiano che il sistema organizzativo prende forma evitando di cadere in letture stereotipate e riconoscendo la propria natura di movimento sociale; nella fase finale, i ricercatori esterni giungono a condividere con i ricercatori interni, gli attori, le loro interpretazioni.

La ricomposizione tra ricercatore e oggetto coincide con l’affermazione di un punto di vista più autentico, non artificioso e con una messa in discussione dei rapporti di potere e di dominio esistenti, di solito a favore di un soggetto collettivo subordinato.

Mentre Melucci (1984) individua in questo un limite e un rischio per il ricercatore di adottare una prospettiva troppo pedagogico-missionaria in mancanza di adeguati strumenti di controllo del rapporto ricercatore-attore, per Albano invece si tratta di una scelta metodologica innovativa, risorsa per il mutamento sociale.

In quest’ottica, la RI non assume in alcun modo la forma di una consulenza da parte di un esperto, in alcune situazioni si può parlare di formazione: il ricercatore traduce, evitando i tecnicismi, e mette a disposizione dell’oggetto alcune conoscenze sul funzionamento dei processi organizzativi e sulle loro conseguenze elaborate nell’ambito delle proprie discipline; l’innesto di elementi tecnico-scientifici sulla soggettività degli attori, che è e resta comunque il nucleo centrale per l’interpretazione delle attività svolte, produce secondo questa postura una consapevolezza maggiore da parte degli operatori del processo in cui sono immersi.

La seconda posizione, di ricomposizione analitica, rifiuta la separazione concreta tra ricercatore di professione e oggetto di ricerca, tra consulente e cliente, e riconosce l’importanza delle varie forme di sapere: la ricomposizione è tra saperi diversi, trasferibili e non trasferibili, tra conoscenze tacite e conoscenze esplicite, tra schemi di analisi della strutturazione organizzativa e conoscenze sulle conseguenze derivanti da determinate scelte organizzative, tra corpus sistematico di saperi e i saperi enucleati dai processi d’azione concreti, in termini economici,

giuridici, biomedici, psicologici, formativi…. prodotti nel corso dei processi, oggetti di analisi. L’oggetto è il processo analitico, ricercatori sono tutti i soggetti concreti a vario titolo coinvolti nella RI: la ricerca e il processo primario su cui la ricerca vuole fare luce. Entrambi sono processi organizzati secondo una razionalità limitata, che a un certo punto si incontrano. La realtà sociale non è costituita da “entità” discrete di vario genere: istituzioni, attori individuali, collettivi, azioni…; è concepita in termini di agire, divenire, continuità, processo, mutamento, non viene conosciuta né attraverso pratiche di ricerca esteriori oggettive, standardizzabili in protocolli di ricerca, né attraverso l’analisi dei vissuti soggettivi degli individui che sono oggetti di ricerca. La ricerca intervento sull’agire organizzativo è una riflessione sinergica tra forme di sapere diverse che produce conoscenza scientifica sul processo, sulle scelte attualmente fatte, sulla loro congruenza, sulle conseguenze per i soggetti e sui corsi d’azione alternativi: i saperi organizzati sistematicamente in discipline, trasferibili e le competenze prodotte e detenute dai soggetti agenti nel processo in esame, in gran parte non trasferibili, si ricompongono in conoscenze e competenze tecniche che permettono all’attività di essere svolta.

Dal momento che una parte importante delle competenze necessarie per interpretare il processo è detenuta dai soggetti che partecipano e non è in alcun modo codificabile, enucleabile e trasferibile ad altri soggetti esterni, il ricercatore non deve forzatamente pre-determinare i modi di conduzione della ricerca, ma dovrà di volta in volta individuare le soluzioni empiriche per coordinare e mettere in dialogo tra loro i vari tipi di sapere.

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