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APPRENDIMENTO E RIFLESSIONE NELL’INDIVIDUO E NELLE ORGANIZZAZION

2.3. TEORIE DELL’APPRENDIMENTO E DELLA CONOSCENZA INDIVIDUALE

2.3.2. La teoria psicogenetica della conoscenza

Secondo la teoria psicogenetica della conoscenza di Jean Piaget (1896 – 1980), considerato uno dei primi costruttivisti, o comunque un antesignano del paradigma, la conoscenza non è il risultato di un processo passivo, bensì l’effetto di una costruzione attiva che il soggetto compie della realtà. Nella sua concezione lo sviluppo è il frutto di un’interazione tra fattori genetici e fattori ambientali: la maturazione psicofisica dell’individuo è fondamentale nel procedere della conoscenza, ma altrettanto basilare è l’azione del soggetto in risposta a sollecitazioni dell’ambiente. Egli dimostra che il concetto di capacità cognitiva, e quindi di intelligenza, è strettamente legato alla capacità di adattamento all'ambiente sociale e fisico.

I suoi contributi sono quasi tutti orientati dalla necessità di una teoria dell’azione e della conoscenza del risultato dell'azione. Il contributo migliore è dato probabilmente dalla sua ricerca sui neonati e i bambini piccoli e dalle sue osservazioni sulla progressiva organizzazione della loro attività gestuale: egli mostra come i bambini collegano in modo sempre più efficace le proprietà dei loro gesti con quelle degli oggetti.

È in questa occasione che Piaget fa del concetto di schema un elemento centrale della sua teoria di adattamento: secondo il suo pensiero, infatti, l'adattamento del soggetto nel contesto è caratterizzato da due processi, l'assimilazione e l'accomodamento, che si avvicendano durante l'intero sviluppo. L'assimilazione consiste nell'incorporazione di un evento o di un oggetto in

uno schema comportamentale o cognitivo già acquisito. In pratica il bambino utilizza un oggetto per effettuare un'attività che fa già parte del suo repertorio motorio o decodifica un evento in base a elementi che gli sono già noti (l'esempio è il caso di un bambino di pochi mesi che afferra un oggetto nuovo e lo porta alla bocca: l'afferrare e il portare alla bocca sono movimenti già acquisiti che vengono però applicati ad un nuovo oggetto). L'accomodamento consiste nella modifica della struttura cognitiva o dello schema comportamentale per accogliere nuovi oggetti o eventi che fino a quel momento erano ignoti (riprendendo il caso precedente, se l'oggetto è difficile da afferrare il bambino dovrà per esempio modificare la modalità di presa). I due processi si alternano alla costante ricerca di un equilibrio. Quando una nuova informazione non risulta immediatamente interpretabile in base agli schemi esistenti, il soggetto entra in uno stato di disequilibrio e cerca di trovare un nuovo equilibrio modificando i suoi schemi cognitivi incorporandovi le nuove conoscenze acquisite. Lo schema, quindi, svolge nello stesso tempo la doppia funzione di azione sulla realtà e di esplorazione delle proprietà del reale.

Lo sviluppo dell’apprendimento non è altro che la prosecuzione delle prime forme di equilibri verso le più complesse, che rendono l’essere umano capace di slegarsi sempre di più dai condizionamenti ambientali per giungere all’adattamento attraverso il pensiero astratto.

In questa luce, Piaget elabora la teoria di sviluppo per stadi, fasi dello sviluppo intellettivo, ognuno dei quali non è solo una tappa intermedia, ma caratterizza specifiche forme di intelligenza. Il primo è definito stadio senso motorio e va dalla nascita fino ai due anni circa: in questo stadio il bambino recepisce con i sensi ed interagisce con l’ambiente attraverso la sua motricità, ovvero perfeziona i suoi schemi senso-motori al fine di meglio padroneggiare l’ambiente che lo circonda. Le attività di questo stadio sono il gioco, l’imitazione differita e il linguaggio. Dai due ai sette anni si ha lo stadio dell’intelligenza preoperatoria in cui la capacità rappresentativa consente l’interiorizzazione dell’azione nel pensiero. In questa fase viene elaborata gradualmente la capacità di raggruppare in classi gli oggetti e gli stimoli che si erano differenziati nella fase precedente. Secondo Piaget questo stadio è connotato da una rappresentazione del mondo in cui l’egocentrismo ancora fortissimo si fonde con un pensiero intuitivo, magico embrione di una futura capacità di un pensiero oggettivo.

Tra i sette e gli undici anni il bambino sviluppa il pensiero propriamente operatorio, capace di utilizzare le proprie immagini mentali; riesce quindi a compiere le prime e vere operazioni logiche: la classificazione, le relazioni, la numerazione. La reversibilità del pensiero gli consente di sviluppare le nozioni di invarianza e conservazione, su cui poi posano i concetti di volume, peso, massa, di sviluppare una corretta concezione dello spazio geometrico, di velocità, di tempo cronometrico, di raggiungere nell’insieme una visione oggettiva, di applicare leggi… Verso gli undici-dodici anni si raggiunge il pensiero operatorio astratto. È la fase che si

estende fino all’età adulta, occupando la preadolescenza e l’adolescenza. Il bambino raggiunge la capacità di ragionare deduttivamente, facendo ipotesi sulle possibili soluzioni di un problema e tenendo conto contemporaneamente di molte variabili.

Nella teoria di Piaget il linguaggio occupa una posizione decisiva, in quanto strumento ideale delle strutture mentali e in quanto accompagna lo sviluppo del pensiero operatorio. Tuttavia non è l’acquisizione del linguaggio che determina il passaggio al pensiero operatorio perché esso può venire recepito ed utilizzato pienamente solo quando lo sviluppo delle strutture mentali ha raggiunto un certo stadio.

La teoria Piagetiana offre diversi punti di interesse per comprendere come si sviluppa un soggetto epistemico, che conosce e interroga il mondo con modalità diverse a seconda del grado di evoluzione della sua concettualizzazione. Negli esperimenti che conduce, come quello per la verifica del concetto di quantità, Piaget individua come lo sviluppo del bambino sia segnato dall’acquisizione di un certo numero di invarianti operatorie, nuovi strumenti concettuali che gli permettono di comprendere e agire sul reale in momenti determinati dello sviluppo, di riconoscere ad esempio la stessa quantità di liquido in due bicchieri con sezioni diverse.

I concetti assumono le caratteristiche di strutture cognitive stabilizzate e connesse tra loro in un sistema di insieme senza tempo, senz’altro scopo che quello di comprendere la natura del mondo e della cognizione stessa (Piaget 1979).

Inoltre la teoria afferma il primato dell’azione, distinguendo due momenti di sviluppo, riuscire e comprendere: il bambino riesce a eseguire un compito prima di comprendere ed esprimere descrivendo il modo in cui è riuscito a farlo: c’è un décalage tra il tempo della riuscita (senza comprensione) e la comprensione dell’azione. Questo tipo di esperienza porta Piaget a concludere che l’azione sia già una forma di conoscenza, che sia autonoma, e che in essa il soggetto riesce anche senza la comprensione di come sia riuscito. Ciò comporta che vi sia un’organizzazione efficace sia dell’azione che della sua concettualizzazione a cui dà il nome di schema. Piaget chiama schema qualsiasi atto che sia ripetibile, generalizzabile e che dia luogo a forme di ricognizione e differenziazione. Uno schema mentale, inoltre, si riferisce sempre a sequenze di azioni simili che costituiscono, nel loro insieme, una totalità.

Quando la comprensione raggiunge la riuscita, la presa di coscienza dà origine a una concettualizzazione; nel momento in cui il soggetto riesce a crearsi una rappresentazione dell’azione, può rappresentarsi le trasformazioni che opera nel reale sotto forma di operazioni mentali, ossia di trasformazioni di oggetto del pensiero: a quel punto la coordinazione agita si collega a una coordinazione concettuale; è tale collegamento che favorisce il processo di equilibrazione dell’azione: l’identificazione dello scopo e del risultato, il riconoscimento degli errori, la comprensione della riuscita, permettono di aggiustare, regolare, ricercare la correzione

delle azioni svolte, per rendere l’azione rinnovabile durevole e ripetibile.

La concettualizzazione piagetiana fornisce infine all’azione un rinforzo delle sue capacità di previsione e la possibilità, in presenza di una situazione data, di darsi un piano di utilizzo immediato. (Piaget, 1974).

Nell’ambito della capacità di concettualizzazione, una tappa importante è l’arrivo al pensiero metacognitivo, la conoscenza cioè dei propri pensieri e dei processi di pensiero, che permette al bambino di trasformare il suo egocentrismo epistemico e sociale in un pensiero adulto, capace di relativizzare la propria prospettiva considerandola come una delle possibili prospettive di ragionamento o di corso d’azione, comunicabile attraverso il linguaggio, spiegabile nelle sue basi logiche, direzionabile autonomamente e coscientemente, adattabile alla realtà, verificabile o falsificabile dalla realtà empirica (Piaget 1959, p. 43).

L’Autoregolazione cognitiva ed emotiva si sviluppa pari passo con la metacognizione: a livello cognitivo le regole logiche guidano una deliberata intenzione a direzionare pensieri e azioni di problem solving; a livello affettivo, le regole morali orientano un controllo volontario sui propri desideri ed emozioni.

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