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La conoscenza come sapere pratico

3. Lo studio del lavoro come pratica

3.5 La conoscenza come sapere pratico

Dare centralità alla pratica lavorativa come unità di analisi che connota il lavoro situato significa rivitalizzare gli studi micro sociali, che vedono il lavoro come attività conoscitiva pratica, con aspetti che erano rimasti in ombra nell’epoca taylorista in cui si studiava il lavoro come esecuzione. Generalmente, utilizzare l’aggettivo “pratico” riferendosi alla conoscenza per indicare quella conoscenza che si acquisisce “nella pratica” ha assunto, nel senso comune, un accento svalutativo sminuente, anche perché il “sapere pratico” è spesso visto spesso in contrapposizione al “sapere formale”. Questa visione, ampiamente diffusa, viene oggi radicalmente contestata dalla qualificazione della società contemporanea come “società della conoscenza” dove il lavoro si dematerializza e la conoscenza diviene uno dei principali prodotti. Assumono un particolare valore economico le risorse “intangibili” come la conoscenza, il capitale sociale e intellettuale, la fiducia. Infatti, come la ricerca di produttività del lavoro manuale ha caratterizzato il Secolo scorso (Taylor, 1999), questo Secolo si contraddistingue per la ricerca di produttività del lavoro della conoscenza sia sul versante tecnologico sia su quello sociale. Ci si pone la domanda di cosa sia la conoscenza e di come sia cambiato il suo statuto nella società. Infatti, se entro una visione economica per società della conoscenza si intendeva un tipo di società dove la conoscenza scientifica e tecnica penetrava in tutte le sfere del sociale, ora questo modo di vedere viene messo in discussione (Lyotard, 1979, Cetina, 1999).

Lyotard (1979), nel testo in cui affronta il tema del sapere nelle società più sviluppate, sostiene che anche il sapere cambia statuto nel momento in cui le società entrano nell’epoca post-industriale. Nell’età postmoderna la principale forza produttiva è il sapere che non si riduce alla scienza e nemmeno alla conoscenza, ma:

coincide con una formazione estesa di competenze, è la forma unitaria incarnata in un soggetto composto dalle diverse specie di competenze che lo costituiscono” (Lyotard, 1979:38).

Anche per Cetina (1999:8) la società della conoscenza è una società permeata da culture della conoscenza cioè da strutture e meccanismi che servono alla conoscenza stessa e che si sviluppano attraverso la sua articolazione. Si è infatti passati, per l’autrice, dallo studio del conoscere (knowledge), dove la conoscenza era concepita

come un prodotto specifico, a una conoscenza che è diventata costitutiva delle relazioni sociali e, quindi, costitutiva della società. La rilevanza di questo tema, nello studio del “sapere pratico” è di primaria importanza tanto che, chi se ne è maggiormente occupato (Gherardi, 2008b), individua l’esistenza di almeno quattro discorsi che legano la conoscenza all’apprendimento103. In base alla classificazione di Gherardi (2008b:32-36) la conoscenza, infatti, può essere identificata in un primo discorso come oggetto, in un secondo discorso come interpretazione, in un terzo discorso come processo e, infine, come attività.

Se si prova ad applicare nel servizio sociale il primo discorso, si può osservare come ci si trovi distante da una “conoscenza come oggetto” che presuppone un’idea di conoscenza stabile, oggettiva e trasferibile, alla quale soggiace un’immagine unica e veritiera del mondo e la possibilità di apprendimento tramite una distribuzione codificata.

Il secondo discorso della conoscenza, che la concepisce come interpretazione, parte dalla constatazione che non tutta la conoscenza può essere oggettivata e trattata in modo meccanicistico, ma che ne esiste un tipo che rimane tacita, difficile da trasferire, in un certo senso personale, che richiede dunque un’interpretazione del mondo e un’assunzione di un punto di vista soggettivo (Polanyi, 1958). Il modello comunicativo per l’apprendimento di questa conoscenza vede la centralità dell’interpretazione intersoggettiva come attribuzione di significati e dell’interazione tramite la comunicazione.

Un terzo discorso vede la conoscenza come processo, che non solo si sviluppa tra soggetti interpretanti, ma che richiede la partecipazione, intesa come processo attivo di appropriazione di fatti, di regole, di discorsi di differenti attori. La conoscenza viene vista come apprendimento tramite la partecipazione competente nelle pratiche lavorative di un gruppo sociale, in altre parole come partecipazione a una comunità di pratiche (Wenger, 1998). E’ nella comunità di pratiche che la conoscenza viene costruita all’interno dei differenti gruppi sociali e professionali tramite la partecipazione alle pratiche lavorative: il contesto è quindi luogo dell’apprendimento. Nel quarto e ultimo discorso, la conoscenza può essere studiata come connessione in azione, come capacità di stabilire relazioni, di connettere persone ma anche oggetti materiali o meglio persone e oggetti. La conoscenza è in relazione reciproca tra

103 La suddivisione in quattro discorsi sulla conoscenza tende a semplificare un panorama molto ampio e complesso sottolineando in modo un po’ estremo l’una e l’altra posizione, ma qui utile al fine di cogliere

soggetti e oggetti in un contesto sociale, ma anche conoscenza che emerge dalle relazioni tra soggetti e tra soggetti e oggetti. E’ quindi un’attività pratica che consiste nello stabilire connessioni in azione entro una rete creata e formata da relazioni contestuali. Sono proprio queste interazioni, la capacità di creare e stabilire relazioni durevoli, collocate in un contesto di rilevanza pratica, che creano conoscenza e l’apprendimento diventa conoscenza in pratica. Si può quindi sostenere che, in questo quarto discorso, la conoscenza pratica viene creata attraverso la negoziazione dei significati di parole, azioni, situazioni, costruita discorsivamente, frammentata e distribuita in un ambiente materialmente situato ed è mediata dalle relazioni sociali, dalle esperienze precedenti, dalla corporeità, dalla materialità.

Negli studi basati sulla pratica (Gherardi 2000, 2006) lavorare non è conoscere una serie di pratiche, ma sapere in pratica come esercitare un lavoro o una professione; è dunque un “saper fare” in una specifica situazione, un saper lavorare insieme ad altri che intesse relazioni tra persone, oggetti, linguaggi, tecnologie, istituzioni e norme perché è nell’utilizzo dell’insieme di conoscenze come risorse per l’azione, che si generano altre conoscenze. I lavori dell’infermiere, dell’assistente sociale, del manager, consistono in un insieme di pratiche lavorative che vengono quotidianamente ripetute e adattate alle circostanze mutevoli in cui si svolgono: è l’insieme delle pratiche lavorative che compone una professione, il come vengono eseguite dipende dalla specifica situazione. Si tratta di una conoscenza contestuale, dove il professionista è colui che conosce nella pratica, nel senso che sa utilizzare la conoscenza a fini pratici con altre persone; ciò avviene quando è in grado di riprodurre la pratica lavorativa ed è autorizzato a farlo in autonomia avendo acquisito un sapere specifico. L’utilizzo nella pratica lavorativa del sapere acquisito porta così ad altre conoscenze che sono conoscenze pratiche basate su un sapere che non si pone in contrapposizione al sapere tecnico, ma che lo incorpora in sé. Infatti, le conoscenze specifiche acquisite nella pratica, portano proprio per la natura contestualizzata dell’attività lavorativa, ad altre conoscenze, ossia a quello che viene chiamato “sapere pratico” inteso come un saper fare in modo competente e orientato per un fine collettivo. Nello svolgimento del lavoro quotidiano le conoscenze tacite e implicite, quelle che Polanyi (1958) definiva

personal knowledge, sono di importanza vitale perché spesso si è capaci di fare qualcosa che non si è in grado di descrivere analiticamente. Non solo i membri di un’organizzazione sono portatori di una conoscenza tacita, cioè sanno più di quanto siano in grado di verbalizzare, ma spesso, come hanno rilevato Argyris e Schön (1996)

nei loro studi sull’apprendimento organizzativo, vi è incongruenza tra la “teoria dichiarata” e la “teoria in uso”. Quest’ultima è costituita da regole pratiche, dalla percezione della cosa giusta da fare in una situazione, dal comportamento considerato adeguato nelle situazioni in base a norme condivise e incorporate nell’attività quotidiana e viene agita nei contesti lavorativi. In altre parole, consiste nel conoscere in pratica un lavoro in un contesto lavorativo, ma spesso si discosta dalla “teoria dichiarata”.

A questo proposito Gherardi (2008:60-61) individua l’esistenza di tre tipi di relazioni che si istaurano tra le pratiche e il sapere pratico: la prima, di contenimento nel senso che il sapere pratico è contenuto nelle pratiche; la seconda, di reciproco modellamento tra apprendimento e praticare, dove conoscere e praticare sono fenomeni distinti ma in interazione reciproca; e infine, la terza, di equivalenza dove praticare è conoscere in pratica, anche se questo non sempre avviene in modo consapevole. In altri termini, quando si agisce come praticante competente ci si rapporta con successo al campo delle pratiche e non tanto solo applicando una conoscenza pregressa, ma una conoscenza che prende forma nell’attività stessa e per mezzo di essa. Il quadro raffigurato nella terza posizione viene arricchito da Gherardi e Bruni (2007) anche con l’introduzione del paradigma dell’ “azione situata” come prospettiva di analisi del lavoro ancorata allo spazio104. Si estende così l’idea del lavoro come interazione tra persone anche all’interazione con le tecnologie che possono facilitare o ostacolare i fini lavorativi. Si pensi al ruolo giocato dai computer, ma anche più semplicemente dal telefono che, in uno studio condotto da Abbott (1995) negli ospedali appare come lo strumento più utilizzato nel lavoro quotidiano dall’assistente sociale.

L’accento è posto sulle azioni situate, ripetute nel tempo, che fanno emergere un contesto dove le relazioni sociali non solo tra persone, ma anche tra queste e il mondo materiale, si stabilizzano e si riproducono normativamente. Si introduce così il concetto di “pratica di comunità” dove l’attenzione si pone sulle pratiche ripetute, durabili nel tempo, ancorate materialmente, strettamente connesse tra loro e la comunità è un dispositivo di riproduzione del campo di pratiche (Gherardi, 2008a:61) 105. Parlare di

104 Gli autori fanno riferimento a un numero speciale monografico di “Sociologie du travail” curato da Anni Borzeix e dedicato al tema “Lavoro e Conoscenza” del 1994 dove l’espressione “azione situata” diventa una prospettiva di analisi del lavoro. L’idea di base è che esista una differenza sostanziale tra la conoscenza astratta, come per esempio quella appresa dai testi, che si configura come decontestualizzata perché non trasferibile al mondo reale e il conoscere nelle situazioni quotidiane che è un conoscere contestualizzato.

azione situata significa quindi porre l’enfasi sul contesto in cui la pratica lavorativa si svolge e sul come viene mediata, non solo dalle persone, ma anche dagli oggetti presenti e utilizzati nella pratica. Con questa estensione la professionalità non è solo un utilizzo pratico di conoscenze emergenti dall’interazione, ma anche la consapevolezza che, proprio per queste caratteristiche, il sistema di conoscenze del professionista è frammentato. Ciò sottende che anche altre persone, con cui il professionista collabora, possiedono diversi “pezzi” di conoscenza e per giungere al fine lavorativo occorre allineare le diverse conoscenze, collegate alle differenti competenze. Un esempio che Gherardi e Bruni (2007) portano in ambito medico, chiarifica il pensiero: la pratica lavorativa del medico non è solo limitata alle conoscenze cliniche che il medico possiede e all’utilizzo di strumenti propri della medicina. In altri termini, il medico utilizza le sue competenze specifiche nella pratica lavorativa, ma perché possano essere “messe in pratica” in modo efficace sono completate anche da altre conoscenze che si compongono nella pratica lavorativa a contatto con il paziente, le regole organizzative, l’infrastruttura tecnologica (computer, telefoni…), gli artefatti (la scheda-paziente vista non solo come sequenza di domande ma anche come strumento di accontability organizzativa), la comunità di appartenenza (ad esempio, il confronto tra medici contribuisce al mantenimento del senso di appartenenza alla comunità medica).

E’ la composizione di tutti questi “pezzi” che permette di acquisire intelligibilità alla conoscenza come razionalità contestuale, ossia improntata sulla logica della situazione e di parlare di professionalità contestualizzata. L’unità di analisi che gli autori assumono è, quindi, la pratica lavorativa e la sua riproduzione nella quotidianità, ossia la sua ripetizione abituale dove l’attenzione si pone sull’analisi del lavoro come momento riproduttivo della società e dei rapporti sociali.