• Non ci sono risultati.

6.3 La prima macrofase: dall’analisi alla valutazione

6.4.1 Il lavoro di coordinamento

Per continuare l’analisi si ritiene a questo punto opportuno distinguere la pratica lavorativa dell’assistente sociale con l’utente, da quella che si sviluppa con altri professionisti (De Robertis, 1981). Quest’ultima, si concentra prevalentemente sulla gestione del lavoro con il caso quando prevede l’intervento di professionisti di altri servizi, mentre consiste prevalentemente nel coordinamento e nel monitoraggio delle risorse umane e economiche del servizio quando i professionisti coinvolti nel caso sono all’interno dello stesso ufficio. La necessità del lavoro di coordinamento e monitoraggio delle risorse, unita al notevole numero di casi che si rivolgono al servizio, porta l’assistente sociale a mettere in atto alcune strategie per rendere snello il lavoro. Si sono individuate due strategie: la prima viene attuata con professionisti di altri servizi, la seconda riguarda il personale interno al servizio, in particolare con gli ausiliari socio-assistenziali, operatori con cui l’assistente sociale collabora prevalentemente.

La prima strategia consiste nel sostituire le riunioni in ufficio, o presso altri servizi, per la verifica della situazione dell’anziano, con comunicazioni telefoniche o scritte, queste ultime trovano nella posta elettronica il loro canale privilegiato. Con questa modalità l’assistente sociale non solo snellisce notevolmente il passaggio di informazioni aggiornate sulla situazione, ma in alcuni casi, concorda anche le decisioni da prendere in merito all’evoluzione del piano di intervento. Infatti, nel rapporto diretto con altri professionisti coinvolti nel progetto di aiuto, l’assistente sociale acquisisce

informazioni sull’evoluzione della situazione dell’utente relative sia al grado di autosufficienza dell’anziano e alla conseguente necessità di cura, sia al carico familiare; informazioni che vanno continuamente a modificare e integrare il quadro conoscitivo e valutativo come emerge dall’intervista:

“Se una persona che viene a chiedermi il centro diurno sta a casa da sola tutto il giorno e la figlia lavora a tempo pieno e può dare tutta l’assistenza alla madre dopo le sei, quando rientra a casa, faccio direttamente la domanda per il centro diurno.

Non si può star lì a perdere tempo su certe cose che sembrano chiare, se poi al centro diurno quando arriva al mattino gli operatori mi dicono che gli hanno trovato tre lividi, che la figlia non la accompagna dentro, che deve attraversare la strada da sola ...allora si rivede l’intervento.

C’è una risposta del servizio ma poi il lavoro non è finito lì c’è una storia che si evolve e che porti avanti” (I, 1:3).

L’acquisizione di nuovi elementi permette all’assistente sociale di prefigurare altri scenari di intervento rispetto a quelli valutati come opportuni dopo un primo colloquio. A questo proposito si evidenzia come il lavoro professionale non consiste solo nel reperimento di informazioni in base alle quali integrare il piano di aiuto predisposto, ma l’acquisizione di nuovi elementi permette anche di rileggere la situazione con interpretazioni che favoriscono una più chiara comprensione della situazione dell’utente e, conseguentemente, la ridefinizione del progetto di aiuto.

La seconda strategia viene attuata dall’assistente sociale nel rapporto con i professionisti dello stesso servizio coinvolti nella gestione del caso ed è finalizzata a recuperare, in tempi brevi, le informazioni sia tramite il contatto diretto sia con l’utilizzo di materiale documentativo. Nel contatto diretto l’assistente sociale riduce l’utilizzo di strumenti fortemente strutturati, come il lavoro di équipe e concentra l’interazione con gli ausiliari socio-assistenziali, per lo più singolarmente, durante momenti quotidiani di vita lavorativa191. Luoghi e tempi che potrebbero sembrare di poco valore a fini professionali, come il saluto quotidiano, acquistano un ruolo centrale non solo nel passaggio di informazioni sul caso, ma anche nella presa di decisioni sugli interventi. Tali contatti avvengono quotidianamente, tramite scambi verbali, in

191 La riunione d’équipe viene invece fissata, in seguito a convocazione dell’assistente sociale, qualora si valuti la necessità di disporre di maggior tempo per la discussione della situazione e l’opportunità di coinvolgere tutto il personale ASA contemporaneamente. Ciò avviene nei casi in cui emergono particolari problemi, che interessano più operatori, nella gestione del caso al domicilio, spesso relativi alla relazione che si istaura con l’anziano o la sua famiglia, per cui l’assistente sociale ritiene opportuno

particolare alla fine della mattinata dopo il rientro in ufficio del personale che lavora al domicilio degli utenti, come emerge dalla seguente nota osservativa:

“Il rientro dal servizio domiciliare da parte degli ausiliari socio-assistenziali avviene verso le 12 e trenta, dopo aver effettuato la consegna dei pasti. A quest’ora anche l’assistente sociale è in ufficio: il suo orario lavorativo si conclude alle 13. Normalmente gli ausiliari socio-assistenziali entrano in ufficio, salutano, riportano eventuali problemi emersi in mattinata: un utente ricoverato, l’altro che si è aggravato, un altro ancora appena dimesso dall’ospedale e a cui serve più tempo per realizzare l’igiene. L’assistente sociale tiene in considerazione queste informazioni per l’eventuale revisione dell’intervento settimanale. A sua volta l’assistente sociale chiede informazioni relative all’una o all’altra situazione” (N, 30:5).

Così facendo, l’assistente sociale dispone, in tempo reale, di informazioni aggiornate sulle situazioni degli utenti. Un altro strumento utilizzato per recuperare in tempo breve informazioni sui casi, consiste nella “scheda di monitoraggio”, predisposta dall’assistente sociale in modo funzionale per facilitare l’acquisizione di informazioni utili per la gestione del caso e, contemporaneamente, la raccolta di materiale documentativo. La compilazione quotidiana da parte del personale ausiliario socio-assistenziale la rende uno strumento di documentazione che permette all’assistente sociale di monitorare la situazione dell’anziano nel tempo, facilitando così l’acquisizione di informazioni aggiornate quotidiane e settimanali per ogni persona seguita dal servizio di assistenza domiciliare, pur senza un contatto diretto con l’anziano e con il suo nucleo familiare, come emerge dalla seguente nota osservativa 192:

“Tutti i giorni gli ausiliari socio-assistenziali, alla fine della mattinata lavorativa, hanno il compito compilare, per ogni persona anziana da cui hanno effettuato l’intervento, una scheda con il lavoro effettuato.

La compilazione è semplice e veloce e questo la rende uno strumento effettivamente utilizzato dal personale: gli interventi che gli ausiliari socio-assistenziali svolgono al domicilio sono elencati nella parte sinistra della scheda e suddivisi in relazione al livello di autonomia della persona anziana che è classificato in: autonomo, parzialmente autonomo, non autonomo. Per la compilazione basta mettere la data e una crocetta vicino all’intervento svolto. La scheda è stata predisposta dall’assistente sociale in modo utile e funzionale al lavoro: le permette di monitorare quotidianamente/settimanalmente e mensilmente il grado di autonomia dell’anziano” (N, 22:5).

In particolare, tale scheda permette di monitorare costantemente il grado di autonomia dell’anziano (Shah et al., 1989), indicatore considerato fondamentale per la definizione dell’intervento assistenziale. Oltre al lavoro con il caso, il lavoro effettuato con altri professionisti dello stesso servizio (in particolare con altri assistenti sociali e con il responsabile del servizio), permette di mantenere il controllo sulle risorse attivabili. In questo senso l’assistente sociale non solo monitora l’intervento a favore dell’utente tramite il coordinamento interno del personale ausiliario, ma anche l’utilizzo delle risorse disponibili interne al servizio, sia umane sia economiche. Ciò comporta per l’assistente sociale un impegno quotidiano, sia nei confronti del personale di diretta collaborazione per l’intervento con l’utente (che si manifesta in accoglienza, disponibilità e sostegno), sia nella cura dei budget a disposizione come emerge nella seguente nota osservativa:

“Prima di erogare un vouchers, il cui budget complessivo è assegnato al singolo comune dall’ufficio di piano, l’assistente sociale verifica il budget a disposizione.

Per fare ciò ricalcola i vouchers in atto, effettua la previsione di spesa relativa all’erogazione dei vouchers già assegnati e che verranno erogati, si accorda con gli altri colleghi con cui condivide lo stesso budget per verificare l’effettiva disponibilità, calcola se il rimanente può essere sufficiente a coprire il bisogno-assistenziale dell’anziano” (N,10:6).

In mancanza di questo accurato lavoro, di monitoraggio economico-finanziario, che avviene senza il diretto contatto con l’utente, non potrebbe esistere l’attivazione dei servizi a favore degli utenti stessi.

Inoltre, la pratica di presa in carico si sviluppa anche nel diretto contatto con l’utente che come si è già precedentemente evidenziato, spesso si riduce a qualche contatto telefonico. Solo nei casi di particolari problematiche, in cui serve rivedere e modificare la realizzazione dell’intervento, si utilizza il colloquio in ufficio, come emerge nell’intervista:

“Se si tratta di questioni complesse, se il problema diventa un altro, ad esempio se l’anziano è in carico come assistenza domiciliare e poi il problema diventa che non ce la si fa più a tenerlo a casa e lo si vuole ricoverare in casa di riposo allora è un cambio di situazione; cioè si è verificato qualcosa all’interno di quella situazione, che stava seguendo una certa direzione, di diverso che merita di fermarsi per un approfondimento” (I, 1:4).

Generalmente, si tratta dell’aggravamento della situazione di autosufficienza dell’anziano. In questi casi si cerca di favorire il contatto diretto tra l’utente e l’assistente sociale, come emerge nel seguente caso:

“L’assistente domiciliare avvisa l’assistente sociale che la sig.ra Giorgia è in crisi: l’ha chiamata la casa di riposo per ricoverare il marito.

La sig.ra Giorgia chiede un appuntamento con l’assistente sociale: il servizio sociale ha attivato un intervento di assistenza domiciliare a favore del marito, sig. Antonio e contemporaneamente inoltrato la domanda per l’inserimento in casa di riposo.

Il peggioramento della situazione sanitaria rende infatti difficoltosa la gestione a casa anche se organizzata con tutti i supporti possibili alla moglie: la badante, il servizio di assistenza domiciliare, l’infermiere domiciliare.

Nonostante ciò i ricoveri ospedalieri sono frequenti, infatti, spesso, la presenza di infezioni rende necessario il ricorso alla struttura ospedaliera.

La sig.ra Giorgia fatica ad accettare il ricovero del marito in casa di riposo che ormai sarà prossimo: la casa di riposo l’ha contattata per portare gli esami del sangue del marito. L’assistente sociale riconosce il lavoro fatto dalla sig.ra Giorgia nell’assistenza al marito e la mette di fronte al dato di realtà: il posto in casa di riposo è disponibile ora e se si perde l’occasione ci si potrebbe trovare in una situazione in cui serve necessariamente ricoverare il sig. Antonio, ma potrebbe non esservi la disponibilità del posto” (N, 19:5,10).

Si può notare che il lavoro dell’assistente sociale si svolge sostanzialmente di un accompagnamento nelle necessità di assistenza delle persone anziane. In altri termini si può sostenere che l’assistente sociale cerca: da un lato di accompagnare le persone ponendosi al loro fianco, e ciò avviene anche rispondendo a bisogni di socialità, di sostegno emotivo e di affermazione di sé; dall’altro di facilitare l’accesso ai servizi esistenti. Seguendo questo discorso la pratica lavorativa dell’assistente sociale assume la forma di un accompagnamento (Valentini, 2005; Meo, 2002) nella realizzazione di un progetto a cui l’utente, pur riconoscendone la necessità, può far fatica ad aderire. Ciò avviene mettendo in atto almeno due pratiche di intervento: la prima consiste nel valorizzare l’assistenza erogata dal caregiver; la seconda si attua presentando i dati di realtà e rapportandoli alla situazione. Entrambe emergono da uno stralcio del colloquio:

Sig.ra G.: Mi hanno telefonato dicendo che c’è un posto libero in casa di riposo per mio marito.

AS: Cosa ne pensa?

Sig.ra G.: Mi dispiace tanto, ma con questo caldo non so se riesco a occuparmene. AS: Lei è stata bravissima finora. Però adesso forse è meglio che qualcun altro se

ne occupi. Le sembra di curarlo bene? Sig.ra G.: Lui è lì, tranquillo, che dorme… AS: Ne è convinta?

AS: So quanto è difficile, ma se perde questa occasione, poi se ha bisogno può non esserci il posto. Poi può andare tutti i giorni a trovarlo e starci quanto vuole, ci sono i pullman.

Sig.ra G.: Lì in casa di riposo, c’è l’assistenza infermieristica…ma quando penso che va là per me va in prigione. Anch’io capisco che a casa è pesante, ma dato che c’è lui devo reagire.

AS: Se perde il posto poi non possiamo aiutarla se viene con l’urgenza. E’ meglio avere la possibilità di fare le cose con calma. Poi ci rivediamo dopo tre mesi che entra e vedrà che anche lei starà meglio.

Sig.ra G. : Io non posso sapere come si mette e come sarà. Lui scivola nel letto e bisogna tiralo sù, un aiuto devo averlo, e questo è un aiuto, è là tutto il giorno. Non so se lui si accorgerà che è in altro ambiente, non so se lo percepirà. Non sentirà più la mia voce. Va bene, allora andiamo, andiamo con tristezza.

Nel lavoro dell’assistente sociale si esprime, quindi, il mandato istituzionale di incontro, di assistenza, nella sua valenza originaria di ad sistere, porsi accanto all’altro, come già emerso in altre ricerche (Gui, 2008) che evidenziano il ruolo assunto dall’assistente sociale nella co-costruzione delle esperienze di disagio delle persone, ma anche nelle ricerche di situazioni di agio per quanto sempre non facili da intraprendere da parte dei soggetti interessati (Gui, 2007).