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Il monopolio del mercato: gli anni Settanta

1. Dalla professione alla professionalità

1.2 Il processo di professionalizzazione in Italia nella prospettiva storico-evolutiva

1.2.4 Il monopolio del mercato: gli anni Settanta

“la contestazione ha spostato l’interesse del dibattito dalle tecniche alle funzioni e alla collocazione del servizio sociale (1984: 219-220) .

La mobilitazione nella professione unita all’attenzione al territorio può essere letta come controllo del mercato professionale, e come tale facente parte delle strategie di professionalizzazione tipiche delle libere professioni. Pertanto, secondo la teoria di Larson (1977) tale mobilitazione non vede implicate le professioni collocate nelle grandi organizzazioni pubbliche o private, come gli assistenti sociali40. Quanto avvenuto in Italia sembra smentire questa teoria: come si vedrà nel successivo paragrafo la mobilitazione degli assistenti sociali ha condotto all’inserimento del servizio sociale non solo negli Enti assistenziali, ma anche negli Enti territoriali, quindi a una maggior controllo del mercato professionale inteso come luogo in cui si incontra l’offerta professionale con la domanda espressa dai cittadini.

1.2.4 Il monopolio del mercato: gli anni Settanta

Negli anni Settanta del Secolo scorso la forte componente ideologica, presente nella professione, che favorisce la vicinanza alla popolazione per far partecipare i cittadini alla ricerca delle soluzioni ai problemi, spinge verso la creazione di un mercato in cui si enfatizza la gestione pubblica dell’assistente sociale come tecnico dell’assistenza. La professione si focalizza sulla dimensione politico-istituzionale ed

39 L’Abate (1979) individua la presenza di tre tipologie di comportamento: ultra politicizzato, super tecnicizzato e infine la compresenza dei due aspetti senza una ricomposizione in un ruolo unico.

40 Secondo l’autrice, infatti, questa professione, non collocandosi nelle libere professioni, può solo puntare a un processo di professionalizzazione dal basso come mobilità sociale collettiva e al controllo

organizzativa delle risposte, che letta alla luce della realizzazione di un progetto professionale, porta al controllo del mercato della domanda, senza però coltivare la crescita dell’offerta professionale sullo stesso mercato. Scrive Neve:

“Il centro dell’interesse della professione si sposta decisamente dall’uso e dall’affinamento delle tecniche alla dimensione politico-istituzionale ed organizzativa delle risposte, avendo preso coscienza che il cambiamento reale può prodursi solo unendo le più diverse forze sociali a livello territoriale, al fine di indurre l’apparato istituzionale a funzionare in termini di prevenzione e programmazione dei servizi per tutti” (Neve, 2000:177).

Sul fronte della formazione, le scuole di servizio sociale escono dalla contestazione con modalità e strategie differenti. L’enfasi posta sulla necessità di formare un assistente sociale capace di promuovere e collaborare per una politica dei servizi sociali territoriali, ha condotto alcune scuole, soprattutto al Nord, da una gestione privata a una gestione sorretta dagli Enti locali, altre scuole, soprattutto al Centro, all’inserimento nell’Università come Scuole dirette a fini speciali mentre nel Sud si mantiene la gestione privata41(Diomede Canevini, 1984). Anche Bisleri e Giraldo sottolineano il ruolo assunto dalle scuole in questo periodo:

“La fine degli anni Settanta sembra dunque caratterizzata da una reciprocità tra Enti responsabili dei servizi e Scuole di Servizio Sociale, che oltre a concretizzarsi in un impegno diretto nella gestione, ha caratterizzato e per un certo periodo anche stabilizzato le istanze di legittimazione delle scuole e della professione…In molti casi ciò si è realizzato in rapporto con le università aprendo la strada a una proficua collaborazione tra mondo accademico e realtà dei servizi territoriali” (1990: 39-40).

In questi anni si matura sempre più la convinzione che:

“la formazione al servizio sociale deve essere regolata su tutto il territorio nazionale e che consentire la presenza di scuole incontrollate42, che non

41 Come Dal Pra Ponticelli (1984) nota, il riconoscimento delle sedi di formazione collocate nel sistema scolastico universitario statale e configurate come strutture formative abilitate a rilasciare titoli universitari riconosciuti implicitamente dallo Stato, fu una strada intrapresa con la speranza di poter giungere al riconoscimento del titolo giuridico. Questo percorso in Italia riguardò dapprima la scuola dell’Università di Siena, il cui riconoscimento in ambito accademico come scuola diretta a fini speciali avvenne nel 1956 a cui seguirono Roma nel 1966, Firenze e Parma nel 1969, Pisa e Perugia nel 1972. Vedasi il contributo di Dal Pra Ponticelli “La posizione istituzionale delle scuole e la questione del

riconoscimento giuridico in AAVV Le scuole di servizio sociale in Italia. Aspetti e momenti della loro

storia”, Fondazione E. Zancan, Padova, 1984, pp 291-309.

42 Vedasi il contributo di Dal Pra Ponticelli “La posizione istituzionale delle scuole e la questione del

garantiscono per nulla gli standard minimi della formazione, ormai da anni acquisiti sul piano internazionale, vuol dire continuare ad immettere nei circuiti dei servizi personale dequalificato…incapace di dialogare e operare con competenza e professionalità” (Diomede Canevini, 1984:135).

Lo Stato non assume ancora il suo ruolo di protezione per quanto concerne la formazione dei professionisti, anche a fronte delle numerose proposte di legge presentate per il riconoscimento giuridico sia delle scuole di servizio sociale sia del titolo di assistente sociale43(Dal Pra Ponticelli,1984).

Alla fine degli anni Settanta del Secolo scorso, i cambiamenti del quadro istituzionale individuano il Comune dapprima come Ente privilegiato nella gestione delle competenze in materia di assistenza e beneficenza44(1977), poi con la riforma sanitaria avvenuta nel 1978 anche delle competenze sanitarie sancendo così, almeno formalmente, l’integrazione socio-sanitaria45.

del Ministero dell’Interno alle soglie degli anni Ottanta si contavano in Italia almeno 109 scuole per assistenti sociali.

43 Vedasi il contributo di Dal Pra Ponticelli “La posizione istituzionale delle scuole e la questione del

riconoscimento giuridico in AAVV Le scuole di servizio sociale in Italia. Aspetti e momenti della loro

storia”, Fondazione E. Zancan, Padova, 1984 da pag 263-290 l’elenco e l’analisi delle proposte di legge per il riconoscimento giuridico delle scuole di servizio sociale e del titolo di assistente sociale che sono state presentate rispettivamente nel 1953, 1958, 1961, 1963, 1964, 1975, 1977,1979, 1981 e 1982.

44 E’ con l’emanazione del Dpr 24 luglio 1977 n.616 in attuazione della Legge 22 luglio 1975 n.382 che le competenze socio-assistenziali sono in capo al Comune. Vedasi in particolare art 22, 23 e 25 del Capo III “Beneficenza pubblica” che citano: Art. 22 Beneficenza pubblica. Le funzioni amministrative relative

alla materia «beneficenza pubblica» concernono tutte le attività che attengono, nel quadro della sicurezza sociale, alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti o a pagamento, o di prestazioni economiche, sia in denaro che in natura, a favore dei singoli, o di gruppi, qualunque sia il titolo in base al quale sono individuati i destinatari, anche quando si tratti di forme di assistenza, a categorie determinate, escluse soltanto le funzioni relative alle prestazioni economiche di natura previdenziale. Art. 23 Specificazione. Sono comprese nelle funzioni amministrative di cui all'articolo precedente le

attività relative: a) all'assistenza economica in favore delle famiglie bisognose dei defunti e delle vittime del delitto; b) all'assistenza post-penitenziaria; c) agli interventi in favore di minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell'ambito della competenza amministrativa e civile; d) agli interventi di protezione speciale di cui agli articoli 8 e seguenti della legge 20 febbraio 1958, n. 75.

Art. 25 Attribuzioni ai comuni. Tutte le funzioni amministrative relative all'organizzazione ed alla

erogazione dei servizi di assistenza e di beneficenza, di cui ai precedenti articoli 22 e 23, sono attribuite ai comuni ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione. La Regione determina con legge, sentiti i comuni interessati, gli ambiti territoriali adeguati alla gestione dei servizi sociali e sanitari, promuovendo forme di cooperazione fra gli enti locali territoriali, e, se necessario, promuovendo ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 117 della Costituzione forme anche obbligatorie di associazione fra gli stessi. Gli ambiti territoriali di cui sopra devono concernere contestualmente la gestione dei servizi sociali e sanitari. Allorché gli ambiti territoriali coincidono con quelli delle comunità montane le funzioni di cui al presente articolo sono assunte dalle comunità montane stesse. Le funzioni, il personale ed i beni delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza operanti nell'ambito regionale sono trasferite ai comuni singoli o associati, sulla base e con le modalità delle disposizioni contenute nella legge sulla riforma dell'assistenza pubblica e, comunque, a far tempo dal 1° gennaio 1979.

In seguito ai mutamenti del quadro legislativo, l’assistente sociale, come unico tecnico dell’assistenza, trova collocazione privilegiata nel Comune, Ente di governo locale con un’autonomia territoriale che permette non solo di superare la settorialità degli interventi, ma anche di essere più vicini all’ambiente di vita delle persone e alle loro necessità.

1.2.5 L’accrescimento del corpus di conoscenze: gli anni