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La documentazione del progetto di aiuto

5.4. La seconda macrofase: attuazione e conclusione

5.4.3 La documentazione del progetto di aiuto

La documentazione del lavoro professionale si compone essenzialmente in due parti: un prima parte, attiene ai documenti richiesti dall’Ente come necessari per l’attivazione degli interventi, una seconda parte, ma non per questo meno rilevante, consiste nella documentazione che gli studiosi di servizio sociale considerano come più propriamente professionale (Bini, 2005, Zilianti, Rovai, 2007), intendendo quella che riguarda il processo di aiuto e i suoi esiti. Nell’ufficio di servizio sociale osservato, quest’ultimo materiale documentativo consta fondamentalmente nella stesura della relazione sociale e nel diario giornaliero.

La relazione sociale, normalmente, viene allegata alla richiesta di erogazione del servizio considerato di aiuto all’anziano166. Tale strumento documentativo viene redatto in base a criteri condivisi all’interno del gruppo professionale e riassumibili: nella condizione di autonomia dell’anziano, negli aiuti in atto, nelle relazioni con le persone considerate significative dall’anziano e nella loro presenza nel lavoro di cura e, infine, in dati sulla situazione economica eabitativa167.

Un secondo strumento documentativo che contraddistingue la fase attuativa è il diario sociale, che per le tipicità che lo caratterizzano come strumento propriamente professionale, favorisce la gestione del lavoro nella quotidianità; in quanto tale il suo

166 La corretta e completa compilazione della modulistica amministrativa a cui viene allegata la documentazione sociale (relazione sociale) è fondamentale per l’attivazione dell’intervento: se non è compilata correttamente in tutte le sue parti, l’intervento non può essere attivato. Per questo gli assistenti sociali sono molto attenti nell’ utilizzare i moduli corretti per ogni intervento e nella stesura in modo chiaro e completo della relazione sociale considerata anch’essa fondamentale per l’attivazione dell’intervento.

167 Ciò significa che tutti gli assistenti sociali, nella stesura della relazione, espongono questi dati, costruiti dal gruppo professionale e considerati come essenziali per individuare l’intervento valutato

utilizzo permette la memorizzazione immediata degli eventi (Bartolomei, Passera, 2005:211). D’altro canto, è strettamente personale in quanto riporta in forma telegrafica le annotazioni, le osservazioni, i commenti sulla situazione e la sua evoluzione, e come tale, è difficilmente consultabile da altri colleghi. Inoltre, spesso, per le condizioni legate al carico di lavoro, viene utilizzato solo in minima parte come un’assistente sociale rileva:

“Facciamo tanto, ma non lo rendiamo visibile. Se qualcuno guardasse le

cartelle sociali non vede tutto quello che si fa. Ci sentiamo molto operativi, come se questo fosse staccato dalla riflessione su quello che si fa” (N, 15:3,7).

Tale dato è facilmente comprensibile in questo contesto lavorativo dove l’urgenza e l’emergenza caratterizzano la quotidianità di lavoro degli assistenti sociali, ma non gioca a favore della crescita di professionalità. Infatti, come emerge in modo pressoché unanime dalla letteratura, la documentazione professionale (Dal Pra Ponticelli, 1987, Ducci, 1989, Neve, 1993) costituisce la base di un processo elaborativo che permette di mettere in relazione ciò che accade nella comunicazione verbale tra l’assistente sociale e l’utente, con gli scopi e gli obiettivi del processo di aiuto (Bini, 2003). In questo senso, per i teorici, l’attività riflessiva dell’assistente sociale stimolata dallo scrivere (Bertotti, Merlini, 2009), favorisce il monitoraggio del processo di aiuto in atto. Ciò presuppone una pre-definizione degli obiettivi e degli scopi da raggiungere nel lavoro con gli utenti che vengono tenuti sotto controllo durante i colloqui e riportati nella documentazione professionale. Nella realtà operativa, invece, la cartella sociale è composta prevalentemente dalla documentazione necessaria per l’attivazione degli interventi e dal diario sociale. Si denota così una carenza interpretativa agli eventi che sopraggiungono durante il processo di aiuto all’anziano. Si può, infatti, notare che tutto il lavoro di costruzione della relazione svolto nei colloqui è osservabile nel momento in cui viene effettuato e ricostruibile solo in minima parte leggendo i diari sociali: rimane prevalentemente nei ricordi degli assistenti sociali, nelle loro menti. Durante la permanenza al servizio ne sono venuta a conoscenza o tramite l’osservazione diretta o ascoltando le narrazioni orali ai tirocinanti o ai colleghi. Queste ultime sono particolarmente interessanti soprattutto quando vengono effettuate per coinvolgere nuovi colleghi nella gestione del caso: in queste situazioni l’assistente sociale che conosce l’anziano da più tempo diviene la “memoria storica”. Mi è capitato, quasi

cui ho partecipato, mi veniva raccontata la storia a partire dal primo contatto con il servizio, gli interventi attuati, anche con molta precisione nei particolari. Successivamente al colloquio, quando accedevo alla cartella sociale ritrovavo nel diario solo poche tracce di tutto il lavoro che era stato svolto e a cui ho potuto assistere durante l’osservazione 168. La storia del caso, la sua evoluzione, gli interventi attuati, le persone coinvolte, rimangono prevalentemente nella mente dell’assistente sociale, come emerge dal racconto:

“Io ho avuto l’ abitudine a ricordarmi tutti utenti, quando capita che ci sia affluenza elevatissima e non mi ricordo né che faccia hanno, né dove abitano, mi disturba, mi sembra quasi di non far bene il mio lavoro.

Se non ce l’ho neanche nella testa come posso averlo in carico? In questo senso il numero di casi aggrava l’operatore.

Nella mia professione di assistente sociale visto che entri così in profondità nella vita delle persone, vedi le loro case, il ricordarti i loro visi e le loro abitazioni fa sì che te li senti maggiormente in carico” (I, 2:5).

Il diario diviene, quindi, uno strumento professionale che rende la pratica lavorativa solo ricostruibile in minima parte. Spesso, se è passato del tempo, è difficile anche per l’assistente sociale referente del caso ricostruire a posteriori, utilizzando solo il diario sociale, la situazione dell’anziano e le sue evoluzioni nel tempo.

Se gli strumenti propriamente professionali come il diario sociale possono essere gestiti in completa autonomia dagli assistenti sociali, lo stesso non vale per la documentazione richiesta dall’Ente per attivare e rinnovare l’erogazione dei servizi. La documentazione richiesta dagli uffici amministrativi, in questo senso diviene occasione per gli assistenti sociali di rivedere gli utenti che usufruiscono dei servizi. Vengono così effettuati con regolarità annuale o semestrale, monitoraggi sulla situazione dell’utente. Non si tratta tanto di verifiche finalizzate al raggiungimento di obiettivi del progetto di intervento concordato (Ferrario, 2004; Campanini, 2008a), ma soprattutto di momenti in cui si valuta l’esistenza delle condizioni per mantenere l’erogazione del servizio. In questo caso, quindi, la prescrizione agli adempimenti formali dell’Ente può essere considerata come stimolo per effettuare successivi momenti di incontro con l’anziano e il caregiver sull’andamento dell’intervento.

168 Vedi la nota osservativa: “L’assistente sociale durante il percorso in auto per effettuare la visita

domiciliare o prima del colloquio in ufficio,mi racconta la storia del caso a partire dal primo contatto con il servizio. Rimango stupita della precisione e della lucidità del racconto sui casi in carico da anni, come era la situazione quando è giunta al servizio, quello che si è fatto, chi è stato coinvolto, come è cambiato il progetto sul caso entrando anche in aspetti molto specifici” (N,30:3).