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2. La professionalità nel servizio sociale

2.3 Le teorie: dalle origini all’attualità

2.3.2 La ripresa teorica italiana

E’ negli anni Ottanta del Secolo scorso che si sviluppa la terza fase: la professionalità dell’assistente sociale si connota per la specificità di conoscenze più facilmente applicabili al contesto italiano perché maturate teoricamente in loco. In questa fase, il servizio sociale italiano, recupera l’ancoraggio alle teorie di riferimento che erano rimaste sullo sfondo per la priorità data all’acquisizione dei metodi di lavoro. L’accrescimento del corpus teorico si articola in differenti livelli che utilizzando le parole di Elisa Bianchi (1985), si possono definire come livello operativo e come livello interpretativo67.

Il livello operativo, in Italia, dopo la revisione critica dei metodi che ha portato al superamento della loro suddivisione e della logica medica sottostante, si esplica nell’orientamento verso un metodo unitario processuale, che si è andato consolidando negli anni Ottanta del Novecento68. Afferma Ferrario a questo proposito:

“mentre nel passato si sono diffuse le metodologie di servizio sociale l’una dopo l’altra come sistemi unitari e complessi finalizzati all’aiuto e sviluppo della persona e collettività, oggi si considera “la metodologia dell’intervento sociale”, e le tecniche vengono a collocarsi all’interno di scelte di fondo di carattere strategico, funzionalmente al loro raggiungimento, rovesciando la scala di priorità definita in precedenza” (Ferrario, 1984:232).

Il procedimento metodologico, che caratterizza l’agire professionale dell’assistente sociale, viene descritto da Dal Pra Ponticelli come:

“uno schema di riferimento concettuale che serve a guidare l’azione del conoscere e dell’operare: un modo coerente e logico di procedere basandosi su un metodo” (2005:159).

Si tratta di uno schema concettuale che il professionista acquisisce come forma mentis e che utilizza sempre, declinandolo a seconda della realtà di riferimento e a partire dalla

67 Il livello operativo o metodologico è il discorso sul metodo e “riguarda la descrizione e l’analisi del

procedimento metodologico del servizio sociale, degli obiettivi, delle strategie, delle tecniche usate…”.

Il livello interpretativo riguarda gli schemi di riferimento empirici di riferimento, l’elaborazione di modelli interpretativi … è il livello che potrebbe essere chiamato “metateorico”, il livello nel quale si

discutono e si confrontano i modelli e le teorie del servizio sociale” E. Bianchi “Contributo alla

riflessione teorica sul metodo nel servizio sociale” pagg 67-68 in Dal Pra Ponticelli (a cura di)

Metodologia del servizio sociale. Il processo di aiuto alla persona, Franco Angeli, Milano, 1985.

68 Tuttavia attraverso l’osservazione della pratica Lerma nota:“come l’approdo al metodo unitario sia

pratica per attingere alla teoria e ritornare alla pratica (Dal Pra Ponticelli, 1985). Il procedimento metodologico del servizio sociale professionale, è un’insieme di fasi, collegate logicamente tra di loro, che permettono di raggiungere uno scopo conoscitivo e operativo. Dal Pra Ponticelli, in più contributi e testi (1985, 1987, 2005), sottolinea l’unitarietà del procedimento metodologico del servizio sociale: qualunque sia la dimensione del proprio intervento, le tappe che lo caratterizzano sono sintetizzabili con: l’accoglimento della domanda, la valutazione della situazione, la definizione del piano di intervento, l’attuazione dell’intervento, le verifiche e la chiusura del caso. Diversi autori (De Robertis, 1981, Dal Pra Ponticelli, 1987, Lerma, 1992, Ferrario, 2004, Campanini, 2008a), in vari testi, analizzano con cura le diverse fasi che lo compongono che possono essere riassunte nelle fasi: conoscitivo/descrittiva, valutativo/decisionale, attuativa, di verifica e conclusione. Tali fasi contraddistinguono il processo di aiuto, come procedimento codificato e trasmesso in modo sostanzialmente univoco. Infatti, a prescindere dalle teorie di riferimento utilizzate: ecologiche, sistemiche e/o psicodinamiche, vi è condivisione nella comunità scientifica sul riconoscimento delle tappe essenziali per la realizzazione del processo di aiuto come elemento unificante e che contraddistingue la professionalità dell’assistente sociale. Dall’analisi della letteratura italiana (Bianchi, 1985, Dal Pra Ponticelli 1987, Lerma 1992, Ferrario, 2004, Campanini 2008a) infatti, emerge in modo uniforme e chiaro che il metodo è considerato uno degli elementi che sostanzia la professionalità dell’assistente sociale. Il livello interpretativo in cui si è sviluppata l’acquisizione di conoscenze per conferire professionalità all’operato dell’assistente sociale è relativo principalmente ai modelli di riferimento. E’ sempre Dal Pra Ponticelli, a metà degli anni Ottanta del Secolo scorso, con il testo “I modelli teorici del servizio sociale” che favorisce in Italia la conoscenza di diversi studi afferenti lo sviluppo teorico del servizio sociale americano, e introduce nel servizio sociale italiano una definizione di modello come: “struttura con cui

osserviamo la realtà per costruire la teoria” (Dal Pra Ponticelli, 1985:13), ossia come schema di riferimento teorico per interpretare la realtà finalizzato all’operatività. Come nota la stessa autrice:

“la formazione del modello teorico per la pratica del servizio sociale è un’operazione complessa che deve tener conto di diverse variabili: i principi e i valori del servizio sociale, le teorie delle scienze sociali e le teorizzazioni della prassi” (Dal Pra Ponticelli, 1985:15) 69.

L’elaborazione italiana e la successiva diffusione dei modelli teorici applicati al servizio sociale, ha visto impegnati autori che lavoravano sul campo: tra gli altri Lerma (1992), Campanini (2008a) per il modello sistemico, Ferrario (2004) per il modello centrato sul compito; modelli che hanno avuto un forte impatto nello sviluppo della teoria nel servizio sociale italiano. Gli autori citati, infatti, hanno integrato l’azione professionale con le teorie delle scienze sociali e con il processo di rielaborazione della pratica attingendo alle teorie e cercando una coerenza con i principi e i valori propri del servizio sociale. L’approccio teorico finalizzato alla pratica porta a ragionare sulle concezioni di teoria presenti nel servizio sociale italiano, caratterizzate da tre temi specifici: la teoria come modello, il tema dell’eclettismo e le teorie di medio raggio70. Per alcuni autori che ribadiscono la necessità di una teoria che guida la pratica come garanzia dell’efficacia e della qualità dell’intervento (Dal Pra Ponticelli, 2005; Campanini, 2008a; Allegri, 2000), la professionalità è data dall’utilizzo di un unico modello in tutta la sua unità e completezza teorico-metodologica. Così si esprime Campanini:

“la professionalità dell’intervento si completa soltanto se all’interno del

processo metodologico viene definito e seguito un modello teorico per la prassi” (2008: 23).

Si sottolinea l’importanza dell’utilizzo del modello teorico da esercitare nella pratica perché si possa parlare di professionalità e si sostiene la rilevanza di una formazione teorica e metodologica, non solo in preparazione allo svolgimento della professione, ma anche durante l’attività lavorativa come teoria che guida la pratica (Dal Pra Ponticelli, 1985, 1987, 1991; Campanini, 2008a; Allegri, 2000). A questo proposito Allegri scrive:

“Quanto più risulti profonda e acquisita la dimensione teorica nell’operatore tanto più incisiva sarà l’azione professionale. La teoria va quindi intesa come guida per la pratica ed è da questa condizionata” (2000: 62).

70 In Italia il rapporto tra teoria e modello di intervento ha dato origine a diversi fraintendimenti. Già Bianchi (1985: 67-68) aveva chiarito che il modello non coincide con la teoria, ma solo con il livello interpretativo della teoria, successivamente anche Campanini (2008) ribadisce che teoria e modello sono

Altri autori, invece, prendono atto dell’eclettismo agito dai professionisti sul campo come realtà fattuale dalla quale partire per riconoscere un’agire professionale maturato a partire dall’esperienza (Ferrario, 2004; Fargion, 2002):

“Rivedere la realtà e farla parlare, piuttosto che affondarvi quotidianamente o sovrapporvi suggestioni innovative, rappresenta un buon modo per stare dentro i fatti e costituisce la premessa per vagliare le positività ed i limiti che emergono dagli approcci pragmatici; solo successivamente si può riavviare una ridefinizione finalizzata dei percorsi metodologici, illuminata da una visione di sé che la professione già maturato, da apporti teorici e dal confronto con nuove prospettive di sviluppo” (Ferrario, 2004:39).

Questi autori non negano l’importanza teorica, ma accanto a questa valorizzano una professionalità che viene continuamente arricchita dalla pratica e danno rilevanza al sapere prodotto dai professionisti nella loro realtà lavorativa. A questo proposito, la presenza individuata da Ferrario (1996) dei “modelli di fatto” potrebbe essere un punto di partenza per facilitare connessioni tra pratica e teoria a partire dal riconoscimento e dalla valorizzazione che, secondo l’autrice, può permettere di incidere maggiormente a livello di formazione teorica 71 . La presa d’atto della situazione italiana, in tendenza con quanto avviene anche a livello internazionale (Payne, 1997)72, rileva la presenza di un diffuso eclettismo agito anche in modo inconsapevole e porta a delineare una terza via che ammette l’eclettismo, alla condizione di essere esercitato con rigore logico e metodologico, come possibilità da agire qualora l’operatore conosca bene più modelli, eserciti la scelta con chiarezza, espliciti il modello adottato in relazione all’ambito di intervento, utilizzi in modo coerente e adeguato al modello teorico strumenti e tecniche (Campanini, 2002).

Un altro filone di pensiero che ha caratterizzato gli studi sulla teoria del servizio sociale italiano, sviluppa l’impegno a produrre teoria con elaborazioni teoriche di “medio raggio” (De Sandre, 1988). L’utilità di queste teorie consiste, da un lato, nel renderle

71 Ferrario definisce il modello di fatto come: “costituito da un insieme di modalità e procedure che

sono consolidate nel tempo, è derivato da un mix di possibilità, opportunità, motivazioni, utilizzo di proposte formative e ricordo della filosofia umanistica, che ispira il servizio sociale. E’ influenzato da condizioni di realtà, legato alla tipologia di servizio, alle caratteristiche dell’organizzazione e del territorio, ai processi storici a volte negati, che vi si sono realizzati, ma anche a fattori di apparente minor rilevanza quali la presenza adeguata e autorevole di operatori, la loro stabilità e la loro completezza dell’èquipe”(Ferrario, 1996: 47).

72 La diffusione dell’eclettismo a livello internazionale è evidenziata da più autori tra gli altri da Payne in “Modern social work” (1997) che classifica in: selettività, eclettismo e analisi critica per rilevare i modelli di eclettismo presenti nelle teorizzazioni e nelle pratiche del servizio sociale tra gli assistenti sociali.

più vicine alla pratica, e dall’altro lato, nel contribuire alla crescita di un sapere autonomo (De Sandre, 1988, Bianchi, 1993). Questo filone trova il suo fondamento nella teoria di medio raggio di Merton che ben si adatta alla teoria per il servizio sociale per le sue caratteristiche riassumibili in: compatibilità con orientamenti teorici diversi, trattazione di aspetti circoscritti dei fenomeni sociali, astrazione vicino ai dati, inclusione di proposizioni empiricamente verificabili (Merton, 1949, trad.it. 1974:68). Per quanto le caratteristiche delle teorie di medio raggio possano facilmente conciliarsi con il servizio sociale, d’accordo con Allegri (2000) occorre rilevare come l’idea di una teoria che ha caratterizzato il servizio sociale è stata concepita più come schema concettuale per descrivere e interpretare che come un sistema di ipotesi da verificare empiricamente. Infatti per quanto le teorie di medio raggio, a livello teorico, ben si adattano al servizio sociale non vi sono, allo stato attuale, studi e ricerche che hanno sviluppato questo filone.

Allargando lo sguardo al contesto internazionale Payne (1997) sottolinea che il modello utilizzato, non solo è ancorato alle teorie delle scienze umane e ai valori propri del servizio sociale, ma anche alla visione del mondo del professionista che può portare a enfatizzare una delle finalità del servizio sociale. Individua così tre approcci che suddivide in “riflessivo-terapeutico” come promozione di crescita e autorealizzazione dell’altro favorendo l’acquisizione di un potere personale, “socialista-collettivista” come cooperazione e supporto reciproco nella società e infine “individualista-riformista” che vede l’assistente sociale impegnato nell’incrementare i servizi per operare in modo più efficace. In Italia è Gui (2004, 2005a) che riprende il pensiero di Payne (1997) e lo ripropone in una lettura della professionalità dell’assistente sociale che combina i livelli diversi di approccio, teoria, modello nella differenziazione dei contesti e ponendo attenzione alle tre dimensioni che caratterizzano il servizio sociale individuate già dal Dal Pra Ponticelli (1987) nel soggetto, nella comunità e nell’ istituzione73. Ciò, per l’autore, può essere studiato a partire dall’operatività: è dal

modus operandi degli operatori che si può risalire alla loro “mappa cognitiva” ossia alla loro rappresentazione della realtà in cui confluisce la loro visione del mondo (approccio), le catene di proposizioni utilizzate con conseguenze predittive (teorie), i parametri di riferimento (modelli) per l’attivazione di azioni concrete (Gui, 2005a).