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La prima macrofase negli aspetti documentativi

6.3 La prima macrofase: dall’analisi alla valutazione

6.3.2 La prima macrofase negli aspetti documentativi

Un altro strumento, oltre al primo colloquio, attraverso il quale si può analizzare la prima macrofase negli aspetti conoscitivi/descrittivi e valutativi/decisionali è la produzione di documentazione. Ciò avviene tramite la compilazione della “scheda di accesso”, strumento predisposto a livello distrettuale dall’ufficio di piano e utilizzato per il monitoraggio degli accessi dell’utenza al servizio. Tale scheda incarna contestualmente sia lo strumento di documentazione professionale sia lo strumento di misurazione della domanda che si rivolge ai servizi sociali. In tal senso viene utilizzata soprattutto per conoscere il numero e il contenuto delle richieste effettuate dall’utenza ossia per la lettura della domanda sociale, sia quantitativa sia qualitativa, a livello distrettuale. L’utilizzo di tale scheda come strumento di documentazione propriamente professionale (Bini, 2003, 2005) viene, invece, delegata all’autonomia di ogni assistente sociale. Come tale è compilata dal singolo professionista le modalità considerate più utili e, normalmente, si concretizza nella compilazione del diario sociale. Si rileva così che l’utilizzo della scheda, se da un lato, permette all’assistente sociale di vedere riconosciuta e valorizzata la documentazione relativa al primo accesso dell’utenza, dall’altro lato, rischia di appiattirsi alle esigenze dell’Ente di riferimento per l’organizzazione territoriale dei servizi. Si pone, quindi, come poco stimolante per l’utilizzo di specifici strumenti di documentazione professionale (tra gli altri vedasi Bartolomei, Passera, 2005). Infatti, se si confronta questo dato con la letteratura esistente (Campanini, 2008a; Ferrario, 2004), si evidenzia come l’autonomia professionale che l’assistente sociale esercita nella stesura della documentazione si traduce solo nella compilazione del diario e non nell’utilizzo di strumenti come il genogramma, l’ ecomappa, la mappatura delle reti personali e familiari183 .

Inoltre, nell’area anziani l’aspetto documentativo si concretizza nella cura del diario sociale. Tale strumento, contenuto nella cartella sociale informatizzata e cartacea, ha prevalentemente la finalità di risalire con facilità alla storia dell’utente nel suo rapporto con il servizio nel caso in cui, anche passato del tempo, la cartella venga riaperta in seguito a un’evoluzione della situazione che porta la persona a rivolgersi nuovamente al servizio. Durante il periodo in cui ho svolto l’osservazione devo dire che ciò è avvenuto frequentemente: più volte è capitato che l’assistente sociale vedesse persone

al primo colloquio che avevano già avuto negli anni precedenti contatto con il servizio come emerge nel caso qui riportato :

“Quando è giunta al servizio la colf per segnalare il caso del sig. Tito, l’assistente sociale come di routine, ha verificato al computer l’eventuale esistenza di una cartella aperta in passato. Infatti trova che la situazione del sig Tito era già conosciuta al servizio dalla fine del 2004. Mentre era ricoverato all’ Ospedale, si era rivolto al servizio sociale comunale suo fratello per segnalare l’esistenza, nella casa in cui il Sig. Tito viveva, di una situazione igienico-sanitaria precaria.

Durante il ricovero anche l’assistente sociale dell’Ospedale aveva segnalato il caso alla collega del comune: aveva saputo che la casa era molto sporca e aveva notato le condizioni igieniche precarie del sig. Tito .

Successivamente al contatto con il servizio sociale comunale e ospedaliero, il fratello aveva fatto pulire la casa e assunto una colf per la gestione domestica e degli indumenti. Era stato inoltre attivato il pasto domiciliare quotidiano che successivamente è stato sospeso perché veniva preparato dalla colf. In seguito a tale sospensione la cartella è stata chiusa” (N, 12:5D dati estratti dal diario sociale ).

La cartella sociale e, in particolare, il diario sociale (Bini, 2003, 2005) sono, quindi, nell’assistenza agli anziani gli strumenti professionali utilizzati prevalentemente per la ricostruzione della situazione in quanto permettono di delineare la storia dell’utente con il servizio. In altri termini costituiscono la memoria e danno visibilità all’operato degli assistenti sociali (Ducci, 1989) 184. Tali strumenti si rilevano particolarmente utili in una realtà, come quella descritta, in cui i numerosi accessi dell’utenza al servizio fanno sì che il lavoro professionale spesso si concentri in un unico colloquio.

6.4 La seconda macrofase: attuazione e

conclusione

Nella fase attuativa si realizza quanto concordato tra l’assistente sociale e la persona che si rivolge al servizio alla fine del primo colloquio, come emerge nel seguente caso:

184In questo utilizzo la cartella sociale non è solo considerata uno strumento di lavoro dell’assistente sociale che gestisce la situazione, ma uno strumento del servizio e come tale per riprendere la definizione di La Mendola (in Bartolomei, Passera 2005: 213) “leggibile non solo da chi ha inserito i dati ma da

“Si rivolge al servizio la sig.ra Nina, nuora del Sig Carlo, per chiedere il pasto domiciliare a favore del suocero. L’assistente sociale cerca di capire cosa non funziona nella situazione attuale per portare a effettuare la richiesta. Emerge un notevole carico assistenziale per la sig.ra Nina e la sua famiglia che rende difficile continuare con la stessa organizzazione: ogni sera prepara oltre alla cena per la sua famiglia, sia la cena sia il pranzo per il giorno successivo al suocero. Al mattino, il marito ( figlio del sig. Carlo), aiuta il padre ad alzarsi dal letto e nell’igiene quotidiana, al momento del pranzo passa il consuocero, e nel fine settimana quando hanno meno impegni lavorativi, la Sig.ra Nina e il coniuge (che lavorano entrambi a Milano per cui sono lontani da casa tutto il giorno) lo aiutano per il bagno settimanale.

La nuora riporta di aver valutato anche la possibilità, per il suocero, di frequentare il Centro diurno, ma tale soluzione di cui ha già discusso con il medico, è impraticabile per le problematiche fisiche del suocero.

L’assistente sociale, dopo aver valutato che non vi sono al momento attuale altre necessità, spiega le modalità previste per l’attivazione del pasto domiciliare la cui erogazione è per il pranzo dal lunedì al venerdì.

La nuora fa presente le abitudini e le problematiche del suocero relative alla masticazione: è abituato a una minestra di una certa consistenza e ha problemi di deglutizione.

A fronte di ciò l’assistente sociale richiede la certificazione medica che successivamente inoltrerà alla dietista per predisporre il pasto in modo adeguato alle esigenze del sig. Carlo” (N, 12:5,8).

Si costruisce, così, con l’utente l’intervento, con l’obiettivo di aiutare la famiglia dell’anziano a usufruire delle risorse istituzionali per tamponare e/o risolvere il problema (Dal Pra Ponticelli, 1987)185, cercando anche di favorire la permanenza al domicilio (Scarsellati Galletti, 2005). L’aiuto domiciliare, infatti, viene visto in una prospettiva preventiva rispetto all’istituzionalizzazione come emerge nell’intervista:

“Gli obiettivi degli interventi consistono nel mantenimento della situazione il più possibile, ma soprattutto la finalità del progetto di aiuto è nella prevenzione dell’istituzionalizzazione. Se si riesce a dare un buon supporto domiciliare, moltissimi casi non vengono inseriti in casa di riposo” (I, 1:5). Il notevole numero di persone che si rivolgono al servizio, unito al mantenimento in carico dei casi, tramite l’erogazione dei servizi domiciliari anche per parecchi anni, porta l’assistente sociale a mettere in atto tre strategie per velocizzare e snellire il lavoro di presa in carico e ottimizzare i tempi dedicati a ogni singolo utente: la prima vede come attori l’assistente sociale e l’utente e consiste nel sostituire i colloqui in ufficio con altri strumenti, la seconda si attua nel coinvolgimento privilegiato del

caregiver nel progetto di aiuto e, infine, la terza prevede una fitta rete di contatti con altri professionisti coinvolti nella gestione del caso 186.

Nella prima strategia l’assistente sociale sostituisce quelli che dovrebbero essere colloqui in ufficio con l’utente, con contatti al telefono o allo sportello dedicato al

front-office, come spiega nell’intervista:

“Ci sono tante persone, tante nuove richieste. C’è stato negli anni aumento di lavoro ci sono nuovi servizi, nuove esigenze, quindi ho fatto una scelta su come organizzare il mio lavoro. Infatti, se dovessi rivedere i casi più volte, aumenterebbe considerevolmente il numero di appuntamenti e questo determinerebbe lunghe liste di attesa. In questa area di lavoro (sottointeso con gli anziani) ciò non può e non deve accadere. Chi necessita di un aiuto, se è una persona anziana non può aspettare settimane e mesi per avere una risposta” (I, 1:4).

Questa modalità permette di riservare il tempo dedicato ai colloqui in ufficio prevalentemente a persone che hanno accesso per la prima volta al servizio, come emerge in uno stralcio dell’intervista187:

“Casi ben noti possono essere qualitativamente ben gestiti anche in modo più immediato, via sportello, telefono o tramite corrispondenza elettronica. Ho sempre cercato di utilizzare come efficaci strumenti di lavoro telefono e sportello, soprattutto in riferimento a casi che ritengo di conoscere molto bene e spesso non si tratta di semplici comunicazioni ma anche di riesami e verifica delle situazioni.

Cerco di riservare gli appuntamenti solo per casi nuovi, o per utente già conosciuto che decide liberamente di prendere appuntamento con me o per quei casi conosciuti che personalmente ritengo opportuno rivedere secondo questa modalità” (I, 1:2).

Si rileva, così, come i colloqui sono motivati dalla necessità di rivedere l’intervento erogato e ciò avviene prevalentemente quando vi è un mutamento nel grado di autonomia dell’anziano o della possibilità di prestare assistenza da parte della rete di appartenenza (Sanicola, 2005).

La seconda strategia consiste nel coinvolgimento, spesso esclusivo, del caregiver nel progetto di aiuto all’anziano. In altri termini, l’assistente sociale nella fase

186 Nell’area anziani risultano aperte 335 cartelle di cui 250 sono in carico e di queste 95 nuovi (report dati anno 2009).

187 Il lavoro dell’assistente sociale nell’area anziani prevede due giorni alla settimana dedicati ai colloqui in ufficio (in ogni giorno vengono effettuati due al massimo tre colloqui) mentre i rimanente tempo

conoscitivo/valutativa, non solo si basa sul racconto della situazione effettuato dalla persona che si rivolge al servizio, ma quest’ultima, viene anche considerata come interlocutore privilegiato sia nell’individuazione dell’intervento sia nella sua realizzazione. Infatti, nella maggior parte delle situazioni, l’assistente sociale non conosce direttamente la persona anziana e mantiene i contatti prevalentemente con chi si occupa della sua assistenza. Ciò significa che in molte situazioni, interagisce con il

caregiver ed è quest’ultimo che gestisce direttamente l’intervento come emerge nel seguente caso:

“Si rivolge al servizio la sig.ra Maria per avere informazioni sui servizi sociali esistenti a favore del padre, sig Bruno, anziano, arteriopatico e con problemi di dipendenza da alcool, per ora autonomo nei bisogni primari, ma con necessità di supporti a medio-lungo periodo.

La Sig.ra Maria lo accompagna a fare la spesa, lo aiuta nella gestione quotidiana della casa e gli manda una donna per le pulizie settimanali ora che è ancora autonomo per l’igiene e la preparazione dei pasti. Maria racconta inoltre che ha una sorella che abita lontano e che non si occupa del padre. Parlando della situazione sostiene che l’unico svago che il padre ha è la possibilità di uscire di casa con un amico, due o tre volte alla settimana, con cui va bere al bar e in compagnia del quale si ubriaca. La figlia descrive questo momento come importante per il padre, perché gli permette di uscire con qualcuno e di non stare sempre in casa da solo. Per la sig.ra Maria si tratta già di un miglioramento: prima della presenza di questo amico il padre abusava di alcool tutte le sere. La figlia, inoltre, sostiene che, da tempo, cerca di convincere il padre a rivolgersi al servizio che si occupa di alcoldipendenza, ma il padre non ha nessuna motivazione ad affrontare il problema.

L’assistente sociale dopo aver ascoltato la sig.ra Maria le propone una differente lettura: le fa notare che un buon amico non fa del male e forse è meglio non facilitare la presenza di persone con cui ubriacarsi. Se il problema consiste nel permettere al padre di uscire di casa, consiglia che l’uscita del padre da casa potrebbe essere facilitata utilizzando un’altra persona e ipotizza la possibilità di chiedere l’accompagnamento fuori casa alla sig.ra che si occupa delle pulizie” (N, 19:5,4).

Nel racconto si nota come anche la semplice richiesta di informazioni, effettuata in un primo contatto finalizzato a dare informazioni sulle risorse disponibili, può essere lo strumento attraverso il quale si giunge a un rapporto diverso con l’utenza, come a una consulenza psico-sociale188. In questo caso, infatti, a fronte di una richiesta di informazioni, si è cercato di aiutare la persona a rileggere la situazione e ad acquisire nuovi modi di vedere il problema, oltre che a dare informazioni sui servizi attivabili.

188 Si utilizza qui consulenza psico-sociale in una delle accezioni descritte da Dal Pra Ponticelli, in particolare come aiuto della persona a cambiare atteggiamento nei confronti dei propri problemi (1987:57), ciò avviene nel rispetto dell’autodeterminazione delle persone, ossia riconoscendo loro libertà

La terza strategia si attua nel contatto diretto e frequente con altri professionisti coinvolti nella gestione del caso. Nella maggior parte dei casi, dato che tra le competenze dell’assistente sociale comunale vi è la gestione del servizio di assistenza domiciliare e ciò avviene tramite il coordinamento del personale preposto, il lavoro con altri professionisti viene svolto con il personale sociale ausiliario dell’assistenza (ASA). Quindi, l’ attivazione e di successivo monitoraggio degli interventi di assistenza domiciliare a favore dell’anziano e del suo nucleo familiare si svolge principalmente nell’interazione quotidiana tra l’ assistente sociale e gli ausiliari socio-assistenziali (ASA) come emerge nell’intervista:

“le ASA (ausiliarie socio- assistenziali) non sono solo quelle che vanno a lavare l’anziano, loro sono anche il mio occhio, sono quelle che mi portano, o meglio che mi riportano in ufficio il polso della situazione, sono quelle che mi permettono andando a casa della persona, di avere un ritorno e di capire come quella situazione sta andando avanti”(I, 1:3,5).

Il contatto regolare e quotidiano con altri professionisti permette di monitorare l’evoluzione della situazione, di cogliere la necessità di rivedere il progetto intervenendo nel momento in cui l’intervento non si rileva più adeguato, come emerge in questo caso189:

“La Sig.ra Valeria, figlia di una sig.ra anziana si rivolge all’assistente sociale: precedentemente aveva chiesto l’attivazione del pasto domiciliare e ora è arrabbiata perché la madre, che usufruisce del servizio pasti lamenta che ogni giorno le viene portato lo stesso cibo e vuole così sospendere il servizio. Dato che precedentemente il pasto veniva preparato dalla figlia, che stava dalla madre durante la consumazione, l’assistente sociale ipotizza che potrebbe mancare all’anziana un momento di relazione con la figlia. Quando restituisce questa lettura alla figlia, la sig.ra Valeria sostiene che non ha alcuna intenzione di ritornare a pranzo dalla madre e si ostina a sostenere che il problema è il menù ripetitivo e non vario.

L’assistente sociale si impegna così a verificare il menù giornaliero. Risultando ogni giorno diverso, telefona alla sig.ra Valeria e le propone di scrivere ogni giorno su un foglio quello che viene portato alla madre. Contemporaneamente chiede di fare lo stesso al personale che consegna il pasto (ASA).

Per passare questa consegna contatta singolarmente al telefono ogni ausiliario socio-assistenziale dedito alle consegne pasti, lascia un messaggio scritto sul “quaderno dei messaggi”degli ausiliari socio-assistenziali e lo pone in modo molto visibile sulla loro scrivania, lo ricorda loro verbalmente quando alla

fine del servizio domiciliare quotidiano rientrano in ufficio nel giorno stesso e qualche volta anche nei giorni successivi” (N,12:5,11).

Si può notare la cura e l’attenzione che l’assistente sociale dedica non solo all’utente, ma anche al passaggio di informazioni al personale che collabora nel progetto di assistenza all’anziano. Infatti, dalla descrizione di queste strategie, si rileva che il lavoro dell’assistente sociale si muove su due piani: oltre al lavoro caratterizzato da un rapporto diretto con la persona che si occupa dell’accudimento dell’anziano, acquista rilevanza anche il lavoro con altri professionisti (Marshall, 1994)190.