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5.4. La seconda macrofase: attuazione e conclusione

5.4.1 La regia del caso

Nella regia del caso l’assistente sociale tende prevalentemente a salvaguardare e tutelare il benessere dell’anziano mantenendo i rapporti, finalizzati alla realizzazione del piano di intervento, con i diversi attori coinvolti, come emerge dal racconto di un’assistente sociale:

“Arriva al servizio sociale la segnalazione dei vigili del fuoco per una fuga di gas in una casa in cui vive una sig.ra ottantenne, la sig.ra Gianna, non più autosufficiente e accudita completamente da una badante da oltre dieci anni. La Sig.ra Gianna abita con la badante, in una villa, in condizioni abitative e igieniche pessime, con vestiti e oggetti ammassati in ogni parte della casa e diversi animali che non vengono regolarmente accuditi. In seguito alla fuga di gas è stata accompagnata in Pronto Soccorso e ricoverata in Ospedale. Sono stata in ospedale a conoscere l’anziana, ho conosciuto la badante, persona di fiducia dell’anziana e cui era delegato il suo accudimento, ho preso i contatti con il medico che l’aveva visitata per capire le problematiche sanitarie. Tramite il contatto con la badante ho successivamente saputo dell’esistenza di una nipote, che vive lontano ma che tiene regolarmente i contatti con la badante per lo più telefonicamente, vista la distanza.

Il mio lavoro si è attuato nel tenere i rapporti in modo delicato, con l’anziana, la badante, la nipote. Bisogna rispettare il volere della persona anziana, che è

capace di intendere e di volere, e che vuole essere accudita dalla badante, ma cerco di portare un miglioramento nella situazione abitativa, igienica e nella cura della persona ” (I, 4:4).

Durante l’attuazione dell’intervento, infatti, possono emergere sia aspetti che per quanto già presenti nella storia di vita dell’utente non sono conosciuti dal servizio e possono portare a modificare il progetto stesso (durante l’osservazione è capitato più volte che, attivato l’aiuto, si scoprisse l’esistenza di alcuni parenti di cui non si sapeva l’esistenza); sia informazioni nuove che dipendono anche dagli eventi di vita, che generalmente, dato che ci si occupa di persone anziane, sono relativi all’aggravamento della situazione sanitaria, come emerge dal caso riportato:

“Si rivolge al servizio la sig.ra Mina già conosciuta dall’assistente sociale perché ha in carico la situazione del suocero anziano assistito tramite un’assistenza domiciliare.

La sig.ra racconta che il suocero è stato ricoverato al Policlinico per insufficienza renale e successivamente alle dimissioni, le precarie condizioni di salute hanno fatto sì che venisse ricoverato in un altro Ospedale. La nuora, vista la situazione complessa e la difficoltà di gestione al domicilio, comunica all’assistente sociale che sta pensando di ricoverarlo in una struttura. Dice che avrebbe preferito un trasferimento diretto dall’Ospedale alla casa di riposo, ma non è stato possibile e vuole capire il ventaglio degli aiuti del comune. Inoltre, anche la suocera è anziana e non più in grado né di accudire il coniuge né di vivere da sola.

L’assistente sociale prospetta la possibilità di avere una badante per 24 ore al giorno che curerebbe entrambi, ma per la sig.ra Mina questa soluzione non è applicabile alla situazione perché il suocero richiede una specifica attenzione a livello sanitario, inoltre in casa non vi è uno spazio adeguato per ospitare una terza persona.

La nuora esprime il suo progetto: pensa di ricoverare prima il suocero con cui ne ha già parlato ed è d’accordo, e successivamente la suocera. I due, infatti, sono una coppia abituata a stare molto insieme e la nuora è preoccupata anche della loro separazione.

L’assistente sociale spiega che vi sono case di riposo convenzionate con il Comune che dispongono di camere doppie per i coniugi, ma che di solito questo tipo di inserimenti avviene insieme per la coppia.

La nuora vede complicato l’inserimento contemporaneo di entrambi anche perché il suocero ne ha bisogno subito ed è già strato preparato, mentre per la suocera non vi è una necessità immediata e non gliene ha ancora parlato” (N, 7:4).

Nel mantenere il rapporto con l’anziano e gli altri attori, l’assistente sociale interviene sia nei momenti in cui il progetto attivato può non essere più considerato adeguato alla situazione sia per verificarne l’andamento:

“La sig.ra Irene ha 72 anni, usufruisce del servizio di assistenza domiciliare comunale erogato tramite personale di cooperativa ed è in carico al Centro psico sociale (CPS).

Nell’erogazione del servizio non si registrano problematiche particolari, ma l’assistente sociale valuta l’opportunità che tutti gli operatori coinvolti nel caso si incontrino per verificare l’andamento del piano di aiuto.

L’appuntamento viene fissato al Centro Psico Sociale e vede la presenza dell’assistente sociale e dell’ASA del comune, referente per il servizio di assistenza domiciliare; dello psichiatra, dell’infermiera, della responsabile del servizio di assistenza domiciliare gestito dalla cooperativa che lavora per il comune.

Si incomincia l’incontro con l’assistente sociale, l’ASA del comune e il medico. Quest’ultimo comunica la situazione sanitaria della paziente e successivamente l’assistente sociale lo informa sull’andamento dell’intervento domiciliare.

In un secondo momento arrivano l’infermiera e la responsabile della cooperativa che portano, l’una informazioni aggiornate sull’andamento del servizio di assistenza domiciliare erogato alla sig. Irene, l’altra notizie sulla terapia domiciliare effettuata e sui buoni rapporti che intercorrono tra la Sig. Irene e le figure sanitarie.

L’assistente sociale ascolta attentamente e a partire dai racconti effettuati pone domande di approfondimento della situazione relativa all’igiene personale e ambientale, alla rete parentale presente, alle condizioni di salute e economiche facilitando un passaggio di informazioni tra i presenti e la condivisione dell’opportunità di continuare l’intervento” (N, 31:3,5).

Nella regia del caso il professionista cerca di fronteggiare i momenti critici del progetto: in queste situazioni l’assistente sociale si pone a tutela del soggetto “debole” e a salvaguardia del suo benessere163. Ciò avviene mettendo in atto una strategia di “fronteggiamento” che si articola in due pratiche di intervento, l’una successiva all’altra: nel primo momento si individuano gli alleati; nel secondo momento, con gli alleati, si istaura un dialogo con i soggetti che potenzialmente potrebbero danneggiare l’utente. Entrando nei dettagli, nel primo momento gli assistenti sociali cercano altre persone, professionisti o non, coinvolti già precedentemente nel lavoro di tutela dell’anziano, il cui parere è considerato rilevante per coloro che cercano di opporsi al progetto di aiuto. L’alleato, per essere tale, infatti deve non solo porsi a sostegno dell’intervento di tutela dell’anziano, ma anche essere una persona il cui parere è tenuto in considerazione da parte di chi tenta di ostacolare l’intervento, come emerge nel caso qui riportato:

163 Utilizzo “fronteggiamento dei momenti critici del progetto” per definire la modalità caratterizzante il rapporto tra assistente sociale e altri attori mirata a tutelare l’utente da comportamenti suoi o di terzi che lo danneggiano o che potrebbero danneggiarlo.

“La Sig.ra Luigia soffre di problemi psichici, ha basso grado di autonomia personale ed è ricoverata in una struttura. I tre figli, ormai adulti e autonomi, anch’essi con problemi di differente natura tra cui psichici e di dipendenza da sostanze vorrebbero curarla a casa.

Già in passato si è tentato l’accudimento da parte di uno dei figli, ma le notevoli cure di cui la madre ha bisogno hanno reso tanto difficoltosa la gestione domestica da riportare la madre in struttura. Successivamente, un altro tentativo di riportare la madre a casa non si era realizzato dopo il colloquio con il figlio che aveva visto coinvolto anche lo psichiatra della madre.

Ora l’assistente sociale riceve la telefonata del figlio che manifesta l’intenzione di andare a prendere la madre in struttura per curarla a casa, come per altro già avvenuto in passato.

In seguito alla telefonata l’assistente sociale racconta alla tirocinante che anni fa, per evitare ciò, che avrebbe messo gravemente a repentaglio l’equilibrio ormai raggiunto dalla Sig.ra Luigia, si era fatto un incontro con i figli e l’assistente sociale del comune dove erano coinvolti anche gli operatori del Centro psico-sociale (CPS) che si occupa della madre e in particolare lo psichiatra che è riconosciuto come figura autorevole dal figlio.

Intanto che lo spiega alla tirocinante, l’assistente sociale telefona alla collega del CPS, che è nuova, le racconta la situazione e quanto già avvenuto in passato e le chiede la possibilità di utilizzare questa strategia, già sperimentata in passato con i figli” (N, 26,3).

Quindi, nel primo momento, per salvaguardare il benessere dell’anziano, l’assistente sociale crea un fronte comune con gli alleati e, in un secondo momento, istaura un aperto dialogo con chi tenta di ostacolare l’aiuto in atto sia prospettando la situazione di rischio in cui l’anziano potrebbe venirsi a trovare e da cui potrebbe avere negative ripercussioni; sia esplicitando le conseguenze delle azioni minacciate, come emerge nello stralcio di intervista all’assistente sociale coinvolta nel caso sopra riportato:

“C’è una presa in carico di due servizi e due servizi si fanno carico di sostenere il progetto più adatto alla sig.ra Luigia, di far fronte comune di fronte a una richiesta inopportuna del figlio, perché se non è in grado di curarla non può portare a casa una persona.

Quindi, significa: vediamo i figli e cerchiamo di capire perché adesso hanno questa richiesta e gli esplicitiamo quella che secondo noi dovrebbe essere la situazione più tutelante per la loro madre. In questo caso abbiamo evidenziato che le prove sulla pelle delle persone sono già state fatte in passato e non si dovrebbero più fare.

Ci si è mossi cercando di sgombrare il campo da giudizi sul figlio del tipo “sei tu che non vai bene a curare tua madre”, ma cercando di evidenziare come sono i bisogni socio-sanitari della madre che implicano la cura in una struttura.

Poi, francamente, io ho esplicitato che avendo un compito di tutela delle persone che sono in carico e che non sono in grado di tutelarsi da sole, se il figlio dovesse andare a prendere la madre, come servizi ci muoveremmo sul piano della tutela, nel senso che faremmo anche una segnalazione al giudice

tutelare per evidenziare che secondo noi la sig.ra Luigia con un progetto alternativo alla residenzialità sarebbe messa a rischio nel suo benessere. In fondo, in struttura, ha trovato un equilibrio che le dà serenità ed è inopportuno andare a modificarlo” (I, 2:5).

Quindi, la pratica lavorativa dell’assistente sociale si articola, non solo nel diretto contatto con l’anziano, ma anche interagendo con chi tenta di ostacolare l’intervento. Con questi ultimi, assume un ruolo fondamentale la sottolineatura sulle ricadute negative che alcuni agiti potrebbero avere sulla persona anziana.

Si nota così come il lavoro dell’assistente sociale si giochi in un incessante riposizionamento, concetto che mi ricorda un recente studio in cui Gui (2008:184) interpreta il ruolo tecnico dell’assistente sociale come accompagnamento alla ricerca del migliore equilibrio possibile tra le istanze degli utenti, le risorse sociali presenti e attivabili e gli attori umani e materiali che a partire dall’ambiente di vita degli utenti, non sempre si pongono a favore del benessere delle persone164. Emerge, quindi, che la pratica lavorativa dell’assistente sociale non si configura tanto nella ricerca e nel mantenimento della corretta impostazione del processo di aiuto e del controllo dei suoi esiti (Dal Pra Ponticelli, 1987; Bartolomei, Passera, 2005); ma nella capacità di accompagnamento dell’anziano e del suo nucleo familiare nella lettura delle necessità emergenti e nella definizione delle risorse appropriate. Si tratta di un’attivazione di interventi sulla base di necessità materiali, a partire dalle quali si lavora, in primo luogo con l’anziano e con il caregiver, nell’impostazione del piano di intervento individualizzato alla ricerca dei servizi attivabili che possono essere di aiuto alla specifica situazione. Se ciò permette di fronteggiare le necessità di assistenza dell’anziano, d’altro canto, si rileva come tale pratica di lavoro sia quasi esclusivamente appiattita su dati di realtà, che per quanto costituiscano la base essenziale del lavoro dell’assistente sociale, se considerati come unica guida nello svolgimento del lavoro, rischiano di porsi come trappole per l’efficacia dell’intervento. Infatti, se i dati di realtà non vengono riportati a quadri interpretativi più ampi, non aiutano il professionista nella lettura dell’evoluzione del piano di intervento. Ciò appare rilevante, come emerge negli studi di casi relativi al lavoro dell’assistente sociale con le

164 Scrive Gui commentando gli esiti di una ricerca condotta prevalentemente nei servizi della Regione Friuli Venezia Giulia: “Il compito tecnico, allora, non starà nella predefinizione e prescrizione degli esiti

del processo di aiuto, ma nella capacità di orientare e sostenere ponendosi accanto nella ricerca del migliore equilibrio possibile fra le diverse istanze dei soggetti, le provocazioni ambientali a cui essi sono sottoposti e le risorse sociali, presenti e attivabili, in un incessante riposizionamento e mutamento degli

persone anziane (Battistini, 1990), soprattutto per cogliere il significato degli eventuali insuccessi e poterli gestire in modo che favoriscano non solo la tutela del benessere dell’anziano, ma anche l’evoluzione in termini positivi della situazione di disagio in cui l’utente vive.