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Gli studi sulla professionalità

1. Dalla professione alla professionalità

1.3 Gli studi sulla professionalità

I contributi della ricerca empirica sul tema della professionalità dell’assistente sociale registrano una carenza di studi, nella realtà italiana, che ha assunto prevalentemente due direzioni: una che studia la professionalità inserita in un contesto organizzativo e l’altra che valorizza gli aspetti considerati specificatamente professionali.

La prima direzione si è sviluppata prevalentemente in ricerche dove si è applicata una chiave di lettura sistemica; l’enfasi è sulla creazione di interdipendenze sia a livello interno che nei confronti dell’ambiente esterno. In questo filone si colloca ricerca condotta all’inizio degli anni Ottanta da Niero (1985), che propone la tesi dell’appropriazione da parte del professionista di alcune funzioni organizzative e in particolare “di quelle funzioni tramite le quali il soggetto organizzazione persegue i

propri fini” (1985: 62). L’autore per giungere a questa tesi considera l’organizzazione come sistema complesso individuando alcuni aspetti salienti tra cui: l’apertura del sistema, la turbolenza dell’ambiente, l’alta flessibilità dell’apparato che si caratterizza da un reciproco e continuo adattamento tra i vari comparti organizzativi, l’assunzione di funzioni differenziate in risposta alle diverse esigenze, l’incertezza che caratterizza i processi decisionali. Un ulteriore contributo al dibattito in questa direzione è quello di Erbetta Fontana e Cadario (1991:187-188) che considerano la professionalità dell’assistente sociale come effetto di numerose variabili micro e macro sociali tra cui: - processi strutturali e grado di sviluppo della formazione economico sociale nel momento storico considerato,

- modalità assunte dalla divisione sociale del lavoro a livello macro-sociale e dentro le organizzazioni formali che erogano servizi,

- interventi di welfare state, politiche sociali veicolate da apparati politico-amministrativi statuali a livello centrale e periferico,

- sistema dei ruoli inteso come insieme delle aspettative reciproche e socialmente determinate di cooperazione,

- cultura professionale come momento di codifica e legittimazione del sapere e come momento di diffusione del patrimonio di conoscenze, nonché di difesa degli interessi di categoria,

- quadri teorici di riferimento, approcci interpretativi, strumenti descrittivo esplicativi, di fenomeni, processi, relazioni, rapporti sociali,

- azione soggettiva individuale intenzionale soggettiva.

Questi autori evidenziano come alla costruzione della professionalità dell’assistente sociale concorrono diversi fattori: sistemici, istituzionali e interpersonali. Ciò equivale a dire che la professionalità non può essere riferita solo a conoscenze e abilità individuali nell’eseguire compiti prescritti formalmente, ma che è caratterizzata anche da dinamiche che la connotano nel rapporto con l’organizzazione di appartenenza. Anche Cavagnino (1992) studia il rapporto tra organizzazione e professionalità nell’analisi dei servizi in chiave sistemica e propone una visione limitante dell’organizzazione rispetto al lavoro professionale:

“è l’organizzazione che interferisce, limita la potenzialità creativa della sua professionalità pur lasciando degli spazi di libertà nell’uso del modello di intervento” (1992:69).

In altre parole, quando Cavagnino (1992) parla di “spazi di libertà” emerge la differenziazione tra la totalità dei compiti istituzionali attribuiti all’organizzazione e la realizzazione di tali compiti nelle singole unità con la messa in atto di specifiche conoscenze e competenze.

Una seconda direzione ha riguardato la professionalità più specificatamente come applicazione di un corpo di conoscenze maturate dalla professione. Tali studi hanno messo in evidenza che gli assistenti sociali sono poco attenti e interessati a una preparazione teorica, sin dalla fase formativa (Facchini, 2010), e che tendono, una volta inseriti nei contesti di lavoro, ad agire facendo riferimento a teorie fondate a partire dall’esperienza di lavoro (Milana, 1992; Fargion, 2002) e a modalità e procedure che si sono consolidate nel tempo in un determinato servizio come prodotto di mediazioni interne e esterne al servizio stesso, che Ferrario chiama “modello di fatto” (1996: 47).

A cavallo tra queste due direzioni che hanno assunto gli studi relativi al servizio sociale in Italia, si può collocare il contributo di Giraldo (1996), autrice che individua nel

carico di lavoro e nelle continue richieste di rispondere all’emergenza dei problemi contingenti, la difficoltà all’estrinsecarsi di una professionalità matura tesa a praticare nel concreto le competenze tecnico-professionali.

A livello internazionale la professionalità dell’assistente sociale è al centro di un vivace dibattito tanto che si possono individuare differenti filoni .

Un primo filone riguarda il livello di professionalizzazione che il servizio sociale, inteso come professione, ha raggiunto a livello europeo e mondiale. In questo filone si possono individuare recenti e differenti studi tra i quali si possono distinguere: coloro che si focalizzano maggiormente sull’importanza dell’ambito formativo e coloro che, concepiscono la formazione solo come un livello della professionalizzazione accanto ad altri, ugualmente rilevanti.

Tra i primi si collocano gli studi di Campanini e Frost (2004) che pongono particolare attenzione all’aumento del livello di formazione professionale nel servizio sociale e all’armonizzazione delle differenze in ambito europeo anche in seguito al processo di Bologna. Le autrici analizzano e comparano la strutturazione dei livelli formativi dell’assistente sociale e evidenziano le difformità presenti nel contesto europeo pur in un incremento del livello di formazione alla professione che ha interessato tutti i Paesi. Infatti con la dichiarazione di Bologna (1999) si è dato avvio in ambito europeo a un processo di creazione e condivisione degli standard della formazione universitaria centrata sull’ apprendimento di competenze professionali in tutti gli ambiti formativi e quindi anche per gli assistenti sociali55. Gli studi inerenti la formazione degli assistenti sociali sono passati dall’acquisizione di conoscenze al favorire lo sviluppo di competenze intese come aspetto fondamentale della professionalità da sviluppare in termini di: conoscenze (teoriche), consapevolezza (di sé), abilità (skill) e atteggiamenti. La competenza professionale è così definita come:

insieme di conoscenze, consapevolezze, abilità e atteggiamenti che un professionista mette in campo quando affronta, in maniera intelligentemente critica, situazioni professionali” (Agten, 2007),

non solo in fase formativa, ma anche nel lavoro pratico che va incrementata nel tempo secondo la prospettiva di life long learning. Sempre in questa linea si pone il lavoro di Martinez-Brawley e Aguado (2008): la loro analisi del processo di

55 Il lavoro di individuazione di competenze specifiche è attualmente in corso, all'interno del progetto Tuning coordinato dall'Università di Deusto e vede come esperta europea per l’ambito “Social Work” la

professionalizzazione in Spagna utilizza una chiave di lettura storica e evidenzia la crescita del livello formativo anche grazie agli stimoli ricevuti con l’ingresso nell’ Unione Europea.

Tra i secondi, fra gli studi più interessanti si ricordano quelli di Weiss et al., (2004), e Weiss e Welbourne (2008) effettuati con l’utilizzo degli attributi di Greenwood (1957) arricchiti con l’introduzione della dimensione del potere professionale. Gli autori effettuano comparazioni sul livello di professionalizzazione raggiunto dagli assistenti sociali in differenti nazioni su scala mondiale. Anche in questi studi, caratterizzati da una forte diversità su base nazionale, emerge come i livelli della formazione professionale e l’approfondimento di conoscenze specifiche hanno subito un incremento nella preparazione della figura professionale dell’assistente sociale. Si evidenzia, quindi, una crescita degli aspetti professionali in ambito formativo nei differenti Paesi pur nelle eterogeneità che caratterizza lo sviluppo della professione. Anche la dimensione del potere emerge con connotazioni rilevanti sia nei rapporti con l’esterno, come abilità di esercitare influenza su altre professioni con cui l’assistente sociale si trova a collaborare, sia sul fronte interno, come abilità di lavorare in modo cooperativo come gruppo organizzato o entità professionale tramite associazioni professionali e esercitare così influenza sullo stesso gruppo professionale.

Un recente filone studia il ruolo delle nuove tecnologie e il loro impatto sulla professionalità dell’assistente sociale (Ley e Seelmeyer, 2008; Capra, 2008). Questi studi si concentrano sui mutamenti che l’informatizzazione e l’uso di internet comportano nelle pratiche di lavoro quotidiane per il notevole ruolo che stanno assumendo, ma evidenziano anche lo scarso utilizzo che ne viene fatto nei servizi alla persona.

Un altro filone riguarda il dibattito relativo alle ricadute delle trasformazioni dell’welfare state sulla professionalità dell’assistente sociale. Per alcuni autori si stanno producendo fenomeni di nuovo professionalismo dove il professionista assistente sociale non è più inserito nell’Ente pubblico in logiche di aiuto universale (Dewe et al., 2006). Il dibattito in corso riguarda in particolare le ricadute che le logiche manageriali di gestione dei servizi possono avere sulla professionalità dell’assistente sociale con il rischio di de-professionalizzazione per un adattamento alla logica organizzativa non sempre conciliabile con la logica di aiuto dei servizi alle persone (Dal Pra Ponticelli, 2006). In questo ambito, in Svezia, vi sono studi sullo sviluppo della professionalità dell’assistente sociale collegata alla privatizzazione dei servizi (Dellgran e Höjer, 2003,

2005; Liljegren et al., 2008). Questi studi concepiscono, accanto alle visioni tradizionali che vedono la professionalizzazione come processo collettivo (Abbott, 1988), come processo individuale di acquisizione di competenze e di abilità (Schön,1983) e, infine come processo di socializzazione di crescita identità sociale e culturale che comincia durante la formazione (Camilleri, 1996), anche la professionalizzazione come processo societario. Si mette così in luce quella dimensione che stressa l’espansione dell’welfare state, la crescita dei gruppi professionali e l’incremento dell’expertise professionale.

Infine si sta sviluppando un filone che studia la professionalità a partire dalla pratica. Tali ricerche trovano il loro riferimento in un lavoro etnografico svoltosi in Gran Bretagna nei servizi che si occupano di minori (Pithouse, 1998) e sono stimolati da più di un decennio anche nel nostro Paese (Giraldo, 1996; Ferrario, 1998) dagli studiosi di servizio sociale56. Si tratta di ricerche qualitative in cui si esplorano i significati dati all’azione e alle pratiche dell’assistente sociale studiando “ciò che fa” e “come lo fa” dove si pone l’enfasi più sui processi che sui risultati57. Questi studi sottendono l’idea di un professionista competente che costruisce la sua professionalità nel contesto di riferimento declinando le conoscenze teoriche, deontologiche e la congruenza tra le pratiche lavorative e i valori (Chicco, 2006).

56 Dal Pra Ponticelli rileva che in Italia si è sviluppata maggiormente la ricerca applicata ai servizi sociali in termini di efficacia e efficienza della strutturazione organizzativa dei servizi e dell’operatività dell’assistente sociale al loro interno anche per la particolare posizione che rivestono i docenti di servizio sociale nell’Università. Quasi sempre, infatti, sono “docenti a contratto” con la conseguente difficoltà a accedere ai fondi della ricerca universitaria e a dedicarsi allo studio e alla ricerca a tempo pieno in Dal Pra Ponticelli M. “Verso un modello italiano i servizio sociale. Quali prospettive per la formazione?” in Villa F. (a cura di) “Social work education. Un confronto internazionale su esigenze e modelli di

formazione per il servizio sociale” Vita e Pensiero, Milano, 1991 pagina 89.

57 Scrive Ferrario che si tratta di: “unico valido canale per scoprire come funziona una professione, che

lavora sull’incertezza di fronte alla complessità, a volte imprevedibile rispetto alle prospettive teoriche (Ferrario, 1998:54).

Anche Giraldo sottolinea:“…come il far ricerca, avendo per oggetto ciò che fa l’assistente sociale, i

connotati molteplici della sua professionalità, sia una modalità conoscitiva con effetti di ricaduta molto importanti nella riflessione teorica; favorisce, orienta, confronti sull’esistente e sulle possibili linee di tendenza della professione, ancorati a dati, rilevati scientificamente, a verifica di esplicite ipotesi di ricerca. E ciò non è fatto irrilevante se si hanno presenti i giudizi sommari, il pressapochismo nella valutazione comune di certi fenomeni, nel caso specifico, le caratteristiche i problemi di una

2. La professionalità nel servizio sociale